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Il cardinal Caffarra: «La confessione non è uno scoop»

Una giornalista del Quotidiano Nazionale ha fatto finta di confessarsi proponendo, di volta in volta, temi sensibili ai sacerdoti di turno. Una sorta di viaggio nei confessionali italiani. Ma l'arcivescovo di Bologna ribadisce la gravità spirituale del gesto.

“Con l’animo ferito da profondo dolore”. E’ accorata la nota con cui l’arcivescovo di Bologna cardinale Carlo Caffarra, anche a nome dei vescovi dell’Emilia Romagna, protesta contro la pubblicazione di un’inchiesta in quattro puntate di QN- Quotidiano nazionale, la testata giornalistica che riunisce Il Resto del Carlino, storico quotidiano bolognese, il Giorno e la Nazione.  L’inchiesta, dal titolo già pruriginoso, Peccatori e peccati, si configura come un viaggio all’interno dei confessionali che tasta il polso ai sacerdoti di oggi. Peccato che lo faccia con l’inganno e violando un sacramento.

Un’inviata del giornale, infatti, ovviamente senza qualificarsi,  ha fatto finta di confessarsi proponendo, di volta in volta, temi sensibili ai sacerdoti di turno,  per “scoprire quanto il clero corrisponda oggi al sentimento di papa Francesco”, come ha spiegato il direttore di QN, Andrea Cangini.

Parole che ovviamente non giustificano minimamente un’azione così grave, peraltro ripetuta più volte dalla sua giornalista. “Padre, sono lesbica e voglio battezzare mia figlia. Cosa devo fare? Mi sono innamorata di un’altra donna e mi sento respinta nella mia comunità. Commetto peccato?Sono divorziata e ho un nuovo compagno ma faccio ugualmente la Comunione. E’ grave?”. Questi i temi proposti alla buona fede dei confessori di turno, che nei giorni successivi si sono poi letti sulle pagine del quotidiano.

Tali servizi configurano oggettivamente una grave offesa alla verità di un Sacramento della fede cristiana, la Confessione”, spiega Caffarra ribadendo il suo sgomento.  Inoltre costituiscono “una grave mancanza di rispetto verso i credenti, che vi ricorrono come a un bene tra i più preziosi perché dischiude loro i doni della Misericordia di Dio e verso i sacerdoti confessori in quanto, esponendoli al dubbio di un possibile inganno, ne inficiano la libertà del giudizio, che è fondata sul rapporto fiduciario col penitente, come tra padre e figlio”.

Se sul suo sito il giornalista Franco Abruzzo fa notare come questo comportamento, a suo avviso, costituisca una precisa violazione alle regole della deontologia professionale, l’arcivescovo di Bologna conclude la sua nota ribadendone la gravità spirituale. La violazione della confessione infatti rientra tra i delitti più gravi a norma del motu proprio di Benedetto XVI, “Inter graviora delicta”.

Simonetta Pagnotti

© Famiglia Cristiana, 12 marzo 2015

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