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Il Papa al Giubileo dei catechisti: «L'insensibilità scava abissi»

Davanti ai tanti poveri siamo chiamati a “inquietarci” e a trovare vie per “incontrare e aiutare”, senza “delegare” o rimandare. Così il Papa nella Messa celebrata domenica

Davanti ai tanti Lazzaro, ai tanti poveri che vediamo, siamo chiamati a “inquietarci” e a trovare vie per “incontrare e aiutare”, senza “delegare” o rimandare. Così il Papa nell'omelia della Messa celebrata domenica in Piazza San Pietro per il Giubileo dei catechisti. A loro Francesco ha ricordato che, in un mondo in cui la mondanità “anestetizza l’anima”, non vanno emessi “giudizi amari sulla società, sulla Chiesa, su tutto e tutti” ma la missione è quella di “fare la storia” annunciando Dio-Amore.

Vivere e annunciare il comandamento dell’amore, superando la “cecità dell’apparenza” e le “tristezze mondane”, per essere “sensibili ai poveri”, che non sono un’“appendice” del Vangelo, ma una pagina centrale, sempre aperta davanti a noi. Papa Francesco si rivolge alle decine di migliaia di catechisti giunte da tutto il mondo e, riflettendo sulla parabola evangelica di Lazzaro “coperto di piaghe” di fronte all’opulenza del ricco che non si accorge di lui, invita ad aprirsi al prossimo: “Chi vive per sé non fa la storia. E un cristiano deve fare la storia! Deve uscire da sé stesso, per fare la storia! Ma chi vive per sé non fa la storia. L’insensibilità di oggi scava abissi invalicabili per sempre. E noi siamo caduti, in questo momento, in questa malattia dell’indifferenza, dell’egoismo, della mondanità”.
D’altra parte chi “non vede oltre la porta di casa sua” non è interessato a “quello che succede fuori”: “Non vede con gli occhi perché non sente col cuore. Nel suo cuore è entrata la mondanità che anestetizza l’anima. La mondanità è come un ‘buco nero’ che ingoia il bene, che spegne l’amore, perché fagocita tutto nel proprio io”.
Così si vedono “solo le apparenze” e non ci si accorge degli altri, perché si diventa “indifferenti a tutto”: “Chi soffre questa grave cecità assume spesso comportamenti ‘strabici’: guarda con riverenza le persone famose, di alto rango, ammirate dal mondo, e distoglie lo sguardo dai tanti Lazzaro di oggi, dai poveri e dai sofferenti che sono i prediletti del Signore”. Francesco esorta dunque a trarre insegnamento dalla povertà di Lazzaro, che si esprime “con grande dignità”, senza lamenti, proteste o parole di disprezzo: “Come servitori della parola di Gesù siamo chiamati a non ostentare apparenza e a non ricercare gloria; nemmeno possiamo essere tristi o lamentosi. Non siamo profeti di sventura che si compiacciono di scovare pericoli o deviazioni; non gente che si trincera nei propri ambienti, emettendo giudizi amari sulla società, sulla Chiesa, su tutto e tutti, inquinando il mondo di negatività. Lo scetticismo lamentevole non appartiene a chi è familiare con la Parola di Dio”.

Chi annuncia la speranza di Gesù, sottolinea il Pontefice, è “portatore di gioia”, ha davanti a sé “orizzonti” e non “un muro che lo chiude”: guarda “al di là del male e dei problemi”, attento al prossimo, a chi “è trascurato e scartato dal mondo”: “Il Signore oggi ce lo chiede: dinanzi ai tanti Lazzaro che vediamo, siamo chiamati a inquietarci, a trovare vie per incontrare e aiutare, senza delegare sempre ad altri o dire: 'ti aiuterò domani, oggi non ho tempo, ti aiuterò domani'. E questo è un peccato. Il tempo per soccorrere gli altri è tempo donato a Gesù, è amore che rimane: è il nostro tesoro in cielo, che ci procuriamo qui sulla terra”.
La missione è dunque annunciare “Dio-Amore”: “Non a forza di convincere, mai imponendo la verità, nemmeno irrigidendosi attorno a qualche obbligo religioso o morale. Dio si annuncia incontrando le persone, con attenzione alla loro storia e al loro cammino”.
Il Signore non è un’idea - spiega Francesco - ma una “Persona viva”: il suo messaggio passa con la “testimonianza semplice e vera, con l’ascolto e l’accoglienza, con la gioia che si irradia”: “Non si parla bene di Gesù quando si è tristi; nemmeno si trasmette la bellezza di Dio solo facendo belle prediche. Il Dio della speranza si annuncia vivendo nell’oggi il Vangelo della carità, senza paura di testimoniarlo anche con forme nuove di annuncio”.
In questo Giubileo, conclude il Papa, ci è chiesto di “non stancarci di mettere al primo posto” l’annuncio principale della fede, il Signore è risorto.
“Non ci sono contenuti più importanti, nulla è più solido e attuale. Ogni contenuto della fede diventa bello se resta collegato a questo centro, se è attraversato dall’annuncio pasquale. Invece, se si isola, perde senso e forza”.

© Avvenire, 26 settembre 2016

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