Arcivescovo

S.E. Giuseppe

Satriano

IN AGENDA

Il Papa apre la Porta Santa a Bangui «Capitale spirituale del mondo»

Lo straordinario gesto di Francesco nella Cattedrale della capitale della Repubblica Centrafricana: questo Paese soffre per l'incomprensione e l'odio e la mancanza di pace. Qui l'Anno Santo della Misericordia arriva in anticipo. Tutti insieme chiediamo amore e pace". In mattinata la visita a un campo profughi e la commovente accoglienza dei bambini.

Il Papa ha aperto la Porta Santa della Cattedrale di Bangui, alle 17,15, proclamando la città "capitale spirituale del mondo". Prima entrare nella Cattedrale, Francesco si è soffermato davanti alla porta ancora chiusa e rivoltosi al popolo di Dio, ha detto in Italiano: "Oggi Bangui diviene la capitale spirituale del mondo. L'Anno Santo della Misericordia viene in anticipo a questa terra. E' una terra - ha aggiunto - che soffre da diversi anni per l'odio, l'incomprensione, la mancanza di pace".

Bangui, ha ripetuto il Papa, diviene la capitale spirituale della preghiera per la misericordia del Padre. Tutti noi chiediamo pace, misericordia, riconciliazione, perdono, amore. Per Bangui, per la Repubblica Centrafricana e per tutti i Paesi che soffrono la guerra chiediamo la pace. E tutti insieme - ha sollecitato Francesco - chiediamo amore e pace". Parole che i fedeli hanno nripetuto in coro. "Con questa preghiera cominciamo l'Anno Santo in questa capitale spirituale del mondo qui oggi", ha concluso, aprendo la porta e incamminandosi verso l'altare maggiore della Cattedrale per celebrare la Messa.

 

L'arrivo a Bangui: "umiltà, dignità e lavoro"
Il Papa è arrivato questa mattina a Bangui e subito ha consegnato ai centrafricani tre parole di speranza: "Unità, dignità e lavoro". Sono il motto di questa martoriata nazione, ma quanto di più inapplicato oggi nel Paese. Francesco, invece, giunto in una torrida domenica, tra l'entusiamo della gente e gli attenti sguardi dei caschi blu disseminati ovunque e armati di tutto punto, ne fa il punto di ripartenza, "la bussola sicura - dice - per le Autorità che hanno il compito di condurre i destini del Paese".

All'appuntamento con la presidente della transizione, Catherine Samba-Panza, cattolica, il Pontefice si presenta "come pellegrino di pace" e "apostolo di speranza". E tale lo vede la gente, che sotto il sole gli fa ala lungo i nove chilometri dall'aeroporto al Palazzo presidenziale, cinque dei quali percorsi da Francesco a bordo della papamobile scoperta. Per Bangui è finalmente una domenica di festa.

Gli unici "scoppi" che si sentono sono quelli delle urla di giubilo. E l'approccio senza timori del Papa contribuisce a rasserenare gli animi. Specie quelli dei bambini, che ricevono la sua visita in uno dei campi profughi della città. La via della definitiva riconciliazione, tuttavia, è lunga ma non impossibile. Bergoglio elogia gli sforzi della comunità internazionale e delle autorità nazionali per normalizzare il Paese. E quindi si sofferma su ognuna delle tre parole chiave.

Unità significa evitare "la tentazione della paura dell'altro, di ciò che non ci è familiare, di ciò che non appartiene al nostro gruppo etnico, alle nostre scelte politiche o alla nostra confessione religiosa". E' la descrizione di tutto ciò che è alla base delle guerre civili del Paese. Francesco invece invoca "l'unità nella diversità", una sfida che richiede "creatività, generosità, abnegazione e rispetto per gli altri".

Quindi la dignità. "Ogni persona ha una dignità", sottolinea il Papa. "Tutto deve essere fatto per tutelare la condizione e la dignità della persona umana". E chi ha di più deve "deve aiutare i più poveri". "Pertanto l'accesso all'istruzione e all'assistenza sanitaria, la lotta contro la malnutrizione e per garantire a tutti un'abitazione decente dovrebbe essere al primo posto di uno sviluppo attento alla dignità umana".

Infine il lavoro. Le risorse ci sono per migliorare il Paese, afferma Francesco. gli abitanti devono impegnarsi, ma il Papa parla anche ai "partners internazionali e società multinazionali" e mette l'accento "sulla loro grave responsabilità nello sfruttamento delle risorse ambientali, nelle scelte e nei progetti di sviluppo, che in un modo o nell'altro influenzano l'intero pianeta". Quanto ai governanti locali, essi devono essere i primi a dare l'esempio di unità, dignità e lavoro. E la Chiesa in questo può dare il suo contributo. "Pertanto non dubito - afferma Francesco, che le autorità centrafricane attuali e future si adopereranno costantemente per garantire alla Chiesa condizioni favorevoli al compimento della sua missione spirtuale".

Infine al corpo diplomatico chiede che le organizzazioni internazionali aiutino il Paese a "progredire soprattutto nella riconciliazione, nel disarmo, nel consolidamento della pace, nell'assitenza sanitaria e nella cultura di una sana amministrazione a tutti i livelli".

La visita al campo profughi
La tappa successiva è la visita al campo profughi di Saint Sauveur, che dista poche centinaia di metri dal palazzo presidenziale. Ci vivono 4mila persone praticamente a abbandonate a se stesse, che devono mendicare acqua e cibo, con il solo aiuto dei missionari comboniani e in parte dell'Onu che fornisce loro le tende. Le mamme hanno preparato cartelli con le parole, pace, amore, uguaglianza, rispetto.

Il Papa prende lo spunto da quei cartelli e preso un microfono, sottolinea: "Ho letto ciò che i bambini hanno scritto. Noi dobbiamo lavorare e pregare e fare di tutto per la pace. Ma la pace senza amore, senza amicizia, senza tolleranza e senza perdono non è possibile. Ognuno di noi deve fare qualcosa. Io auguro a voi e a tutti i centroafricani la pace, una grande pace tra voi. Che possiate vivere in pace qualsiasi sia l'etnia, la cultura, la religione, lo stato sociale, perché tutti siamo fratelli". Poi invita: "Mi piacerebbe che diciamo insieme: 'Tutti siamo fratelli'. Mamme e bambini lo ripetono tre volte. "E per questo, poiché tutti siamo fratelli, vogliamo la pace", conclude il Papa.

Leggi il testo integrale dell'omelia

Mimmo Muolo

© Avvenire, 29 novembre 2015