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Monsignor Cacucci, mezzo secolo al servizio della sua comunità

L’anniversario. I cambiamenti della nostra società nei ricordi del Prelato. «Oggi il compito di un vescovo è soprattutto ascoltare»

Una piccola stanza, mobili antichi, aria condizionata e uno splendido quadro alla parete che ritrae i miracoli di San Nicola.

Sulla sediolina verde, monsignor Francesco Cacucci arcivescovo della diocesi Bari-Bitonto, accetta di sgranare i ricordi. Il 29 giugno 1966 veniva ordinato sacerdote. Cinquant’anni fa. Dalla memoria riemerge la cartolina del Seminario di Posillipo, a Napoli, dove ha studiato dal ‘62 al ‘66: «Dalla mia finestra si vedeva il mare e la città e la penisola sorrentina e il sole che nasceva dietro al Vesuvio. Indimenticabile». Ma i ricordi sono una pennellata. Monsignor Cacucci ha urgenza di parlare del presente: «Il peccato e la grazia, le luci e le ombre, la verità e l'errore si confondono spesso. Credo sia questa un'epoca di discernimento. Il compito di un sacerdote oggi, e di un vescovo, è soprattutto un compito di ascolto, di ascolto del tempo, di ascolto delle persone.

Una delle più grandi intuizioni di papa Francesco è stata il Giubileo della Misericordia: mi dicono i fratelli sacerdoti che di fronte alla presunta crisi della confessione, oggi c'è un desiderio grande di avvicinarsi a questo sacramento, non necessariamente per chiedere l'assoluzione quanto per essere ascoltati. E credo d’altronde che buona parte del mio tempo io lo impieghi ad ascoltare».

Vescovo da 29 anni, ad Otranto poi a Bari, città dov'è nato73 anni fa. «Una città che negli ultimi anni ho visto migliorare», spiega l'arcivescovo che nel capoluogo barese ha anche insegnato, giovanissimo, nel liceo «Scacchi». Prese servizio nel 1968. Ricorda l'epoca del «furore ideologico», della contestazione giovanile. «C’era la prospettiva del futuro, questo è vero, ma contemporaneamente c’era un desiderio di confronto e questo accadeva tranquillamente non solo sul piano civile ma anche ecc1esia1e». E gli anni successivi? «Inutile negarlo - risponde monsignor Cacucci - il secolarismo è inserito nelle pieghe della società, parlo di secolarismo non di secolarizzazione perché la secolarizzazione è un frutto maturo del Concilio. Ciò che invece ha preso piede, forse in modo più radicale, è stato una sorta di secolarismo cioè di considerazione della realtà come se Dio non esistesse perché fin quando c'è la critica, anche feroce, nei confronti della fede, c'è sempre un sopito desiderio di verificare se stessi, quasi di nostalgia. Tra gli anni Ottanta e Novanta, invece, mi è sembrato che questa nostalgia di Dio si sia molto attenuata». E oggi? «Viviamo nuovamente una sorta di passaggio da un secolarismo esasperato, dove guardare dai tetti in giù finisce con avere degli esiti disastrosi, soprattutto nei confronti delle nuove generazioni. Noi siamo di fronte a una nuova ricerca del sacro, ma quale sacro? Da una parte c'è questo desiderio indistinto di Dio, legato a nuove forme del sacro, ma c’è una immersione nella realtà immediata, nell’attimo fuggente, che non permette di fermarsi, di riflettere, di porsi gli interrogativi più profondi della vita. Questo è un aspetto prevalente, oggi, legato alla globalizzazione e alla causa della globalizzazione che è la realtà del nuovo mondo massmediale».

Carmela Formicola

La Gazzetta del Mezzogiorno, 28 giugno 2016

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