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II Domenica di Pasqua anno C. Tommaso, nostro "gemello" nella fede

Tommaso diventa l'anello di congiunzione tra la prima generazione e la nostra di oggi. Credente è propriamente chi, superato il dubbio e la pretesa di vedere, accetta la testimonianza autorevole di chi ha veduto.

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Otto giorni dopo, venne Gesù

"Tommaso, uno dei dodici, soprannominato Didimo" (v. 24). Didimo, cioè "gemello", ma di chi? A pensarci bene di ciascuno di noi! Non c'è nessuno più di lui che ci assomigli e probabilmente è tempo di restituire a questo incredulo, positivista, intrattabile personaggio un'aura più rispettabile. Aveva visto bene chi affermava: "Mi è stata più utile la fede difficile di Tommaso che quella immediata della Maddalena (!)". Per questo Tommaso ci è quasi simpatico perché dà voce alla nostra stessa incertezza nei riguardi della fede, alla nostra "fatica" di credere. Se infatti credere è non pretendere né di vedere, né di toccare, ma appunto dare fiducia, allora la questione è aperta. Noi siamo infatti abituati a ragionare sempre coi sensi e farne a meno è come non avere più la terra sotto i piedi. Eppure questo non ha impedito all'uomo di imparare a navigare sulle acque o a volare nel cielo.

1. "Gesù venne, si fermò in mezzo a loro" (v. 19). Quel che sorprende di questa come di altre apparizioni è che in realtà non sono mai attese né tantomeno ricercate. Inizialmente la scena è sempre dominata dalla paura quando non anche dalla rassegnazione. Poi all'improvviso accade l'imprevisto. Questa imprevedibile materializzazione del Risorto rispetto agli attoniti ed increduli discepoli è una "traccia" da interpretare. Di fatto i discepoli si lasciano travolgere da un fenomeno inaspettato, inizialmente pure incomprensibile. Da questo punto di vista la fede nella resurrezione "è scaturita da questo travolgimento e cioè da un avvenimento che precedeva il loro pensare e volere, che anzi lo rovesciava" (J. Ratzinger). È decisivo ritrovare questa priorità del fatto della resurrezione sulla sua interpretazione non solo per stare a quel che lasciano emergere i testi evangelici, ma più profondamente perché solo così si salvaguarda il realismo dell'evento-chiave del cristianesimo, senza il quale la fede non starebbe più in piedi. C'è prima l'apparizione del Risorto, poi il kerigma e finalmente la fede. In questo senso la parola di coloro che vedono il Risorto è la parola di un evento che supera i testimoni.

2. "Gli altri discepoli gli dissero: Abbiamo veduto il Signore. Ma egli rispose: Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato non crederò" (v. 25). Se la fede nasce da un Imprevisto, resta vero però che non diventa tale se non passa dal semplice vedere - ormai impossibile - al puro credere. E Tommaso diventa così l'anello di congiunzione tra la prima generazione e la nostra di oggi. Credente è propriamente chi, superato il dubbio e la pretesa di vedere, accetta la testimonianza autorevole di chi ha veduto. Al tempo di Gesù, visione e fede erano abbinate, anche se non automatiche (quanti pur vedendo i miracoli di fatto, lo rifiutarono poi), ma ora nel tempo nostro, la visione non deve più essere pretesa: basta la testimonianza apostolica. Il segno che conduce alla fede si è trasformato, dunque. Non è più oggetto di visione diretta, ma di testimonianza. Il che non significa affatto che al credente sia preclusa l'esperienza personale del Cristo risorto. Tutt'altro. Gli è offerta l'esperienza del perdono, della pace, della gioia, come controprova vitale della verità pasquale.
È tempo d'altra parte che ci si persuada che non esiste un'unica forma di accesso alla realtà che è data dalla conoscenza tecnico-scientifica. Senza dubbio questo metodo è legittimo e garantisce da false presunzioni e da ricorrenti superstizioni. Ma il reale è enormemente più ampio di quello che è rilevabile con gli strumenti della scienza. Da questo punto di vista ciò che è razionale è senz'altro reale. Ma non tutto ciò che è reale è necessariamente razionale. Così come tutto ciò che è storico è vero, ma non tutto ciò che è vero è storicamente dimostrabile in senso stretto. Per di più, nel caso della resurrezione, come dimostrare un evento che per definizione è "meta-storico" (non metà storico!), cioè al di là di questo tempo e di questo spazio?

3. "Beati quelli che pur non avendo visto crederanno". La fede è strutturalmente "ecclesiale", cioè dipende dalla mia libertà in connessione con quella degli altri. Non è affatto scontato pensarla così oggi, quando la fede sembra rinascere come una ricerca solitaria, del tutto sganciata dagli altri, quasi che ognuno ricominci - in questa che è l'avventura decisiva - semplicemente dal proprio io. Degli altri - realisticamente - non si può fare a meno, anche se in qualche caso gli altri possono diventare pure un "ostacolo". Ecco descritta in breve quella compagnia singolare che si chiama "chiesa". E di qui due posizioni insidiose, che si rivelano ben presto inconcludenti scorciatoie. C'è per un verso chi cerca Cristo senza la comunità, e chi dall'altra cerca la comunità senza Cristo.
Alla prima posizione fanno riferimento tutti quelli che bypassano la chiesa, puntando direttamente a Dio. Ma con quale coerenza e soprattutto con quali esiti? È possibile in una ricerca così basilare prescindere dagli altri? Non c'è il rischio di una fede che segue più i propri bisogni, istinti, pregiudizi che non un vero cammino, altro da sé? E a pensarci: onestamente da chi abbiamo appreso le prime domande e le prime risposte sulla fede? E come è possibile sperimentare il perdono se non viene fuori di noi?
Altrettanto vacua è la pretesa di chi sembra cercare la comunità "senza" Cristo. E qui si ha piuttosto a che fare con tanti che fanno parte della chiesa, ma per i più svariati motivi. Avendo perso irrimediabilmente il senso della ricerca dell'Unico necessario. Sono quelli - per intenderci - che cercano più semplicemente ‘un posto al sole' (leggi gratificazione); sono quelli che vivono frustrazioni e complessi e cercano un'alternativa o via di fuga (leggi compensazione); o ancora sono quelli che vanno a passare il tempo (leggi socializzazione). In tutti questi casi manca la vera radice che è Cristo e così fatalmente prendono il sopravvento altre logiche: critiche, contrapposizioni, delusioni.

Tommaso più che mettere il dito nelle piaghe di Cristo (il testo evangelico per sé non autorizza a ritenerlo) mette in realtà il dito nella piaga che è la nostra fede sempre in pericolo. Per sprofondare fortunatamente alla fine nelle parole che ne svelano l'autentica statura: "Mio Signore e mio Dio!".


Commento di mons. Domenico Pompili
tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi" Anno C
Ave, Roma 2009

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