Chi mangia la carne e beve il sangue di Cristo conoscerà la resurrezione, vivrà per sempre, in una salda comunione con Cristo per la quale rimane, dimora in Cristo, così come Cristo rimane, dimora in lui: corpo nel Corpo e Corpo nel corpo!
La vita di Gesù di Nazaret, vita terrena di un uomo, vita vissuta, è consegnata, offerta a noi umani come cibo da mangiare: quella carne fragile e mortale assunta dal Figlio di Dio è vita data, spesa, radicalmente offerta per noi umani.
Il pane per la vita eterna non è un semplice dono da parte di Gesù, ma è Gesù stesso, che dona tutta la sua persona. Gesù, sì, proprio Gesù, un uomo, un ebreo marginale di Galilea, il figlio di Maria e di Giuseppe, proveniente da Nazaret, è in verità la Parola di Dio e, in quanto tale, è cibo, pane per la nostra vita di credenti in lui.
Il segno operato da Gesù si rivela come un vero fallimento. La folla misconosce Gesù, lo interpreta e lo vuole secondo i propri desideri e le proprie proiezioni, non è disposta ad accettare un Messia, un Profeta al contrario: un uomo mite, un servo del Signore e degli umani, che chiede di comprendere che cosa indica quel pane donato in abbondanza.
Gesù “vide molta folla e si commosse per loro”. Lo sguardo di Gesù non è lo sguardo neutro di un sociologo o quello freddo e distaccato di un fotoreporter, perché Gesù guarda sempre con “gli occhi del cuore”
Si va in missione a due a due, non da soli, né in ordine sparso, né tanto meno da pionieri “sfusi”, ma sempre come cristiani “fusi” in un cuore solo e in un’anima sola, in comunione piena, al cento per cento, legati a Cristo, il primo missionario, e a tutti gli altri
Anche per tanta gente di oggi, che pure si dice cristiana, si verifica una situazione analoga a quella degli abitanti di Nazaret rispetto a Gesù: il vangelo non suscita l’impressione di qualcosa di nuovo e sconvolgente perché si crede di conoscerlo e lo si dà per scontato.
Gesù abolisce ogni sorta di sacro, poiché egli non era “sacro” come i sacerdoti, essendo un ebreo laico, non di stirpe sacerdotale, e poiché vedeva nelle leggi della sacralità una contraddizione alla carità, alla relazione così vitale per noi umani.
La tempesta sul mare di Galilea è una metafora della lotta contro le potenze del male, lotta che Gesù Cristo ha vinto. E noi possiamo vincerla in lui e con lui.
Così è il regno di Dio: piccola realtà, ma che ha in sé una potenza misteriosa, silenziosa, irresistibile ed efficace, che si dilata senza che noi facciamo nulla.