Dio va amato amando gli altri come lui li ama. L’amore per gli altri è ciò che rende vero il nostro amore per Dio, è l’unico luogo rivelativo, l’unico segno oggettivo che noi siamo discepoli di Gesù, e dunque amiamo Gesù e amiamo Dio.
Il cristiano, obbediente alle leggi dello stato, deve tuttavia riconoscere sempre “ciò che è di Dio”. Ed è di Dio la persona umana, perché l’uomo, non Cesare, è l’effigie, l’immagine di Dio (cf. Gen 1,26-27), dunque è ciò che occorre rendere a Dio.
Tutti, buoni e cattivi, sono invitati al banchetto nuziale del Figlio di Dio con l’umanità. Ognuno riceve un abito di festa donato gratuitamente, che indica l’aver risposto liberamente “sì” all’invito del Re: un abito da accogliere e indossare, che non va meritato né comprato.
Il padrone non si stanca di mandare i suoi servi, insiste, bussa alla porta e arriva fino al dono del Figlio. È una storia di amore e di libertà.
Il brano evangelico ci suggerisce un metodo molto semplice per far verità e capire a che punto siamo: si tratta di andare oltre le parole che pronunciamo e di leggere la nostra vita per vedere se essa sia, nella concretezza dei fatti, un sì o un no di fronte alle esigenze della vita cristiana.
Il cuore della parabola è nell’annuncio di questa scandalosa misericordia di Dio, che può stabilire una vera parità tra i suoi figli solamente abolendo ogni privilegio e agendo unicamente in base al criterio della più pura gratuità, contro ogni forma di meritocrazia
Proviamo a guardare la croce non dal basso, ma dall'alto, dalla prospettiva del Padre, e vi leggeremo scritta a lettere di sangue una sola parola: Amore. Infatti il Padre non se ne sta impassibile ad attendere che il Figlio gli presenti il prezzo del nostro riscatto, per potersi finalmente riconciliare con noi.
A volte a causa del peccato, dell’inimicizia, delle piccole cattiverie quotidiane, la vita della chiesa, della comunità, della famiglia diventa pesante. Ma nessuna illusione: l’altro si deve amare innanzitutto portando il suo peso, mettendosi sotto di lui, vivendo l’hypomoné, la pazienza.
Confessare Gesù quale Messia è confessare un Messia crocifisso, scandalo, ostacolo per gli uomini religiosi, e follia, idea pazza per gli uomini non credenti (cf. 1Cor 1,23). È confessare “un Messia al contrario”
Come i discepoli sulle strade polverose della Palestina, anche oggi è nella comunità dei fedeli che ciascuno può incontrare Gesù