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Silenzio: «Fermatevi e sappiate che io sono Dio» (salmo 46,11)

Messaggio di Mons. Giuseppe Satriano alle sorelle e ai fratelli della Chiesa di Bari Bitonto per il Natale 2021

Carissime sorelle e carissimi fratelli,

l’altro giorno, nel visitare parrocchie e presidi di umanità, sono passato a salutare le Suore Missionarie della Carità, fondate da Madre Teresa di Calcutta, presenti nella nostra Diocesi e impegnate nel servizio ai più poveri.

Nella gioia fraterna dell’incontro mi hanno fatto dono di un piccolo presepe realizzato con un pezzo di stoffa immerso nella cera. Con esso un biglietto che l’accompagnava: “Il silenzio è il solo mezzo per entrare nel grande mistero di Dio”. Questa frase così semplice mi ha introdotto in quell’evidenza che avvolge la narrazione del Natale di Gesù: il silenzio.

 

Un’emorragia di umanità che ci toglie le parole

Il Natale ritorna in un tempo ancora difficile e faticoso per molti. Un'altra ondata pandemica sconvolge la vita di tanti nel mondo: perfino le roccaforti del benessere avvertono il doloroso impatto con un virus che cambia continuamente la propria capacità devastante e ci ammutolisce.

I dati a riguardo e le continue trasmissioni radiotelevisive sull’argomento da un lato assicurano il servizio dell’informazione, ma dall’altro alimentano insicurezza e scetticismo per i molti contraddittori, spesso volgari e rabbiosi, a cui si assiste.

A questo si aggiunge l’inarrestabile fiume umano di bambini e adulti che bussano alle porte dell’Europa, fuggendo da guerre, persecuzioni, carestie e povertà, e che spesso si ritrovano a misurarsi con la chiusura di cuori, rintanati nella sicurezza di fili spinati e di mura ciclopiche. Non così per il virus che attraversa continenti e, passando da frontiera a frontiera, ancora una volta, evidenzia la piccolezza di politiche miopi e mette a nudo la nostra incapacità di comprendere la vita.

Dinanzi a questo scenario, il Natale di Gesù torna a riproporci la verità contenuta nella mangiatoia di Betlemme. Compassione, tenerezza e vicinanza ci vengono donate come chiaro invito a rimanere umani. Nel silenzio di cui è avvolto, il Natale ci invita a radicare il cuore in Dio, orientando la vita a un approccio mite, capace di aprire strade profumate di futuro e di speranza, come per i pastori e i Magi.

 

Silenzio dell’uomo e silenzio di Dio

I quadri narrati da Luca, come anche da Matteo, nei vangeli dell’Infanzia di Gesù, sono intrisi di silenzio, in particolare la narrazione del Natale.

In una società stordita dal “chiasso”, dalla disattenzione, dall’arroganza, il silenzio diviene disponibilità all’ascolto, spazio umile in cui riscoprire la propria pochezza e la grandezza del mistero di Dio che si fa prossimo alla nostra umanità.

Spesso ci lamentiamo del “silenzio di Dio” e non ci accorgiamo che Lui tace proprio perché noi parliamo e, privi di umiltà, non stiamo ad ascoltarlo, presi dai nostri pensieri e dai luoghi comuni che occupano il cuore. Anche le nostre liturgie si sono spesso impoverite di spazi di silenzio e tutto risulta frettoloso e sterile.

Il Natale di oggi si è ridotto a un’ulteriore occasione di maggior vita profana, a un caleidoscopio di colori e suoni, a un mercato di rumori senza vita.

 

«Fermatevi e sappiate che io sono Dio»

Mi piace leggere queste parole del salmo 46 come il primo vagito di Gesù indirizzato all’umanità. Incapace di parlare, il Bambino attira la nostra attenzione, rapisce il nostro sguardo e ci invita a rallentare, a fermarci, a riprenderci la vita, a esercitare la capacità di pensare. Davanti alla mangiatoia, nel silenzio, possiamo assaporare tutta la straordinaria grandezza dell’amore di Dio per noi.

Anche Maria e Giuseppe, mentre meditano ogni cosa, indicano la via del silenzio che permette al cuore di fasciare in maniera feconda e generativa la storia di ciascuno.

Quello di Maria, come quello di Giuseppe, è un silenzio intriso di futuro, capace di scrutare gli orizzonti di Dio. Un silenzio orante in cui il quotidiano si apre alla Grazia, la vita ritrova il senso e la dignità che Dio le ha dato e genera gesti concreti di fiducia.

Il Bambino della mangiatoia è Dio che si è fatto carne, per me, per noi. Solo lasciandoci toccare da questa verità, possiamo aprirci a conversione, a un cambiamento reale di vita.

 

Siamo disposti ad accogliere nel silenzio il Verbo che viene?

È questa la domanda a cui ciascuno è chiamato a rispondere, con tutto il bagaglio di provocazione che tale accoglienza comporta.

Dio non può essere ridotto ai nostri schemi e concetti, alle nostre parole, che ne banalizzano l’essenza.

Prima delle nostre liturgie, prima dei momenti di intimità familiare, insieme a qualcuno o da soli, proviamo a vivere un breve momento di silenzio per accogliere il Signore che viene.

Con Lui il cuore e la vita si volgano verso i fratelli e le sorelle che siamo chiamati ad amare. Attraverso di Lui possiamo riconoscere più chiaramente la dignità di ogni essere umano, la bellezza del creato e il coraggio della responsabilità verso questa esistenza che ci è donata.

Ecco il sogno di Dio per l’umanità a cui il silenzio del Natale ci apre. Con Gesù che viene in mezzo a noi, povero tra i poveri, siamo chiamati a sognare, a mantenere vivo il fuoco di un impegno che sostenga, come affermava don Tonino Bello, i piccoli, i poveri nel “riscattarsi da tutte le carestie della storia”.

A ciascuno auguro che Gesù sia accolto nel silenzio per poter riscoprire l’unicità e l’inaudita bellezza della vita che ci è data.

Auguri in particolare a chi è solo, lontano, malato o in carcere. Auguri alle comunità e alle famiglie che fanno fatica. Auguri a chi ha perso un congiunto e si sente smarrito. Auguri a chi, nel dono di sé, si apre alla vita.

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E vvu?... ce stat'a'ffa?

Mi piace concludere questi auguri con alcuni versi in vernacolo. È uno stralcio della narrazione del Natale contenuto nell’opera “La Passione de Criste” di Vito Maurogiovanni, noto scrittore, sceneggiatore e commediografo barese, e interpretato dall’attore Vito Signorile.

Nella sua fase finale, il racconto si sofferma sull’annuncio degli angeli:

“E tutt'u munne e tutte la terre se descettò o cande de l'angieue ca decève: “viat'a vu, a vu ca tenite bbona volondà".

Se descetorene rè e reggine, chezzale e pasture, rè magi, fruttevendeli e veccijre, e tutte pegghiorene chedde ca tenèvene, ci teneve jore e ci tenevo argijnde, ci fermagge e ci gaddine, ci monete e ci mandelle e se metterene in camino percé tutte avevena sci o rre dei rè...

E vvu?... ce stat'a'ffa che la vocche aperte?... venite, venite tutte quande alla grotta sande...”

(“E tutto il mondo e tutta la terra si risvegliarono al canto degli angeli che dicevano: “Beati voi, voi che siete di buona volontà”. E si svegliarono re, regine, contadini, pastori, Re Magi, fruttivendoli, beccai. E tutti presero quel che possedevano: chi aveva oro e chi aveva argento, chi formaggio e chi galline, chi monete e chi mantelli e si misero in cammino, perché tutti dovevano andare dal Re dei re…

E voi? … Che state facendo con la bocca aperta?... venite, venite tutti quanti alla grotta santa”.)

Andiamo insieme alla grotta santa, Egli nasce nella notte, per annullare le tenebre che attanagliano la nostra esistenza.

Andiamo alla mangiatoia di Betlemme, Egli viene per restituire la paternità di Dio a ogni uomo. Gesù viene e ci porta la sua luce, la sua Grazia perché la vita vera irrompa e si attui la nostra liberazione.

 

croce vescovo.jpg don Giuseppe, Vescovo

 
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