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Bahrein. Il Papa e la preghiera per la pace: per i cristiani unità nella diversità

L’incontro ecumenico nella Cattedrale di Nostra Signora d’Arabia ad Awali. «Quanto ci unisce supera di molto quanto ci divide»

Nella seconda parte della sua seconda giornata in Bahrein papa Francesco si è recato innanzitutto alla Moschea del Palazzo reale per l’incontro con i membri del Consiglio islamico dei saggi. Li ha salutati come coloro che vogliono «promuovere la riconciliazione per evitare divisioni e conflitti nelle comunità musulmane»; che «vedono nell'estremismo un pericolo che corrode la vera religione»; che «si impegnano a dissipare interpretazioni errate che attraverso la violenza fraintendono, strumentalizzano e danneggiano un credo religioso». Cioè coloro che «intendono favorire nei giovani un'educazione morale e intellettuale che contrasti ogni forma di odio e intolleranza». E perciò ha invocato pace su di loro.

Lo scenario era quello del cortile antistante la moschea. Un quadrato racchiuso tra portici con gli archi a cuspide tipici dell'islam, al centro del quale è stato collocato un enorme tavolo a ferro di cavallo. Vi sedevano da un lato i membri del Consiglio islamico, dall’altro la delegazione pontificia. Un bambino ha cantato alcuni versetti coranici, una ragazza ha letto il brano dell’uccisione di Abele, tratto dalla Genesi. E nel posto della presidenza l'imam di Al Azhar, Ahmad Al-Tayyeb, con a fianco il Papa, l'ospite d'onore.

La moschea non è lontana dal padiglione dove in mattinata si è tenuto il Forum. E in effetti anche questo discorso di Francesco ha richiamato in alcuni passaggi quello della mattina. Come ad esempio quando ha auspicato «relazioni amichevoli, mutuo rispetto e fiducia reciproca con quanti come me – ha sottolineato il Pontefice – aderiscono a una fede religiosa diversa».

A fare da ponte tra i due momenti l'incontro privato tra il Papa e l'imam, il sesto di sempre, che si tiene nel pomeriggio nella residenza in questi giorni adoperata dal Pontefice (in Bahrein non c'è una nunziatura, perché il nunzio risiede in Kuwait). E a riprova di una intesa sempre più profonda Francesco ha detto alla più alta autorità sunnita dell’islam: «Oggi sei stato molto coraggioso quando hai parlato di dialogo tra gli islamici». Il Pontefice si riferiva a un passaggio del discorso tenuto in mattinata dall’imam durante la sessione del Forum, in cui aveva teso la mano agli sciiti per incontri di chiarimento e riconciliazione.

Si misura anche da questi particolari il progresso sulla strada indicata dalla Dichiarazione di Abu Dhabi e dalla Fratelli tutti. Come ha sintetizzato Francesco, «il Dio della pace mai conduce alla guerra, mai incita all'odio, mai asseconda la violenza». E perciò incontrarsi, conoscersi, prendere a cuore l'altro, mettere la realtà davanti alle idee è il miglior modo per svoltare. Di qui la sua invocazione finale a non seguire «le chimere del potere» e «a ricordare che Dio e il prossimo vengono prima di ogni altra cosa». Dunque bisogna allontanare la tentazione di cedere a chi insulta il nome dell'Altissimo, alimentando «la violenza, la guerra e il mercato delle armi, il commercio della morte che attraverso somme di denaro sempre più ingenti sta trasformando la nostra casa comune in un grande arsenale». La pace va per altre strade. Quelle che il Papa sta percorrendo in Bahrein in questi giorni.

Il pomeriggio di Francesco si è quindi concluso con l’incontro ecumenico di preghiera per la pace nella Cattedrale di Nostra Signora d’Arabia ad Awali.

Il Papa e il patriarca Bartolomeo sono stati di nuovo l’uno di fianco all’altro. Come Pietro e Andrea. Nel pomeriggio, il primus inter pares dell’ortodossia ha fatto visita a Francesco nella sua residenza di questi giorni bahreniti. Poi insieme hanno pregato nella Cattedrale. «Quanto ci unisce supera di molto quanto ci divide», ha sottolineato il Pontefice, ricordando però che l’unità si deve fare necessariamente nella diversità. «Lo Spirito a Pentecoste non conia un linguaggio identico per tutti», ma ognuno comprende gli altri, pur continuando ciascuno a parlare il proprio idioma. Così deve essere per l’ecumenismo. Piuttosto bisogna interrogarsi: «Io, pastore, ministro, fedele, sono docile all’azione dello spirito? Vivo l’ecumenismo come un peso, come un impegno ulteriore, come un dovere istituzionale, oppure come il desiderio accorato di Gesù che diventiamo una cosa sola?».

Per questo Papa Francesco ha invitato a una più stretta collaborazione. «Essere qui in Bahrein come piccolo gregge di Cristo, disseminato in vari luoghi e confessioni (i cattolici sono 80mila, cui si aggiungono i cristiani di altre confessioni, ndr), aiuta ad avvertire il bisogno dell’unità, della condivisione della fede: come in questo arcipelago (il riferimento è alla natura insulare del Paese che ospita il viaggio del Pontefice, ndr) non mancano saldi collegamenti tra le isole, così sia anche tra di noi, per non essere isolati, ma in comunione fraterna». Da questo punto di vista Francesco ha esortato: «Prosegua anche la bella abitudine di mettere a disposizione di altre comunità gli edifici di culto per adorare l’unico Signore». Poi ha fatto riferimento all’ecumenico del martiri: «Quanti ce ne sono stati negli ultimi anni in Medio Oriente e nel mondo intero. Ora formano un cielo stellato che indica la strada a chi cammina nei deserti della storia».

Nella più grande e nuova delle due chiese attualmente esistenti nel Bahrein, costruita su un terreno donato dal re, Francesco ha perciò invitato a esercitare la carità («penso all'assistenza nei riguardi dei fratelli e delle sorelle che arrivano», ma soprattutto a interrogarsi se davvero i cristiani testimoniano la pace e sono persone di pace. Infine ha notato: «Non si può testimoniare davvero il Dio dell’amore, se non siamo uniti tra noi come Egli desidera». Un motivo in più per fare altra strada verso l’unità.

Mimmo Muolo, inviato in Bahrein

© Avvenire, venerdì 4 novembre 2022

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