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«Chi mette al mondo un figlio lavora per il Paese e va premiato»

«L'inverno demografico è alle porte, dobbiamo cambiare mentalità e comunicare che la famiglia è una bella avventura. E a maggio aspettiamo le parti sociali agli stati generali sulla natalità»

Per Gigi De Palo, 42 anni, presidente del Forum delle associazioni familiari, ci vuole un deciso cambio di rotta perché stiamo per fare i conti con un vero e proprio inverno demografico. Ma i temi che sono il cuore del suo impegno sono finalmente diventati argomento di seria discussione politica.

L’assegno unico, dopo tanti annunci, non è entrato nella Manovra. Ma è un traguardo il fatto che se ne sia parlato?

«L’“assegno unico” o “assegno universale per figlio” è una riorganizzazione di risorse esistenti che invece di essere distribuite in maniera cervellotica e complicata, mette insieme assegni familiari, detrazioni e vari bonus. Facendo arrivare nelle tasche delle famiglie 250 euro a figlio, fino a 18 anni, ogni mese e senza distinzioni di reddito. Si trasmetterebbe così il messaggio che un figlio è un bene comune e non va discriminato in base al reddito. Chi lo mette al mondo sta lavorando per il Paese e va premiato. Perché pagherà le pensioni, contribuirà al welfare. Questo cambio di mentalità è quello che mi aspetto per il futuro. Diventare un Paese che investe sui figli».

La Manovra non ha previsto molto per la famiglia...

«Il problema è che i Governi durano un anno. Lavoro con tutto me stesso ma è dura se continuano a cambiare gli interlocutori. Per la nostra proposta servono almeno due leggi di bilancio. La prima per la simulazione e la sperimentazione. La seconda per realizzarla. La grande vittoria è che d’ora in poi non sarà più un argomento del Forum ma della scena politica. Finalmente se ne parla e tutti i partiti hanno una proposta di legge sull’assegno universale».

Se i giovani non mettono su famiglia è una questione di politiche familiari o anche culturale?

«L’aspetto culturale è importante ma perché influisca ci vuole tempo. Dovremo lavorare su due fronti. Da una parte, promuovendo l’assegno unico che metta più soldi nelle tasche delle famiglie. Dall’altra cominciando a raccontare la famiglia come qualcosa di bello e avventuroso e non un peso da sopportare».

La denatalità riguarda tutte le classi sociali?

«Paradossalmente riguarda soprattutto il ceto medio. I ricchi cadono in piedi, i poveri secondo i dati stanno meglio in Italia rispetto a Paesi come la Francia o la Svezia. Da noi ci sono infatti gli assegni familiari, il Rei o il Reddito di cittadinanza. Chi sta sempre peggio è il ceto medio perché appena il reddito diventa normale crollano gli assegni. Vivere dignitosamente e avere uno stipendio non deve essere discriminante. Ricordiamoci che la seconda causa di povertà in Italia è la nascita di un figlio».

Perché in Italia tanta resistenza verso politiche familiari che non siano meramente assistenziali?

«Succede un po’ quello che accade per il turismo su cui non si investe perché con tutte le bellezze che abbiamo va avanti da solo, e così sfruttiamo solo una parte del nostro patrimonio. Lo stesso capita alla famiglia. Se otto malati di Alzheimer su dieci vengono assistiti in casa, per esempio, questo spinge la politica a occuparsi di altre emergenze. Ma i nodi stanno arrivando al pettine. La diminuzione dei matrimoni e delle nascite inciderà profondamente sul Paese. Ci vuole lungimiranza. Con gli Stati generali sulla natalità che abbiamo organizzato per maggio, cercheremo di coinvolgere non solo la politica ma tutte le parti del sistema: imprese, sindacati, banche, media e associazioni».

Quanto può contribuire il ministero per la Famiglia?

«Può fare molto e per fortuna abbiamo un ministro, Elena Bonetti, con cui parliamo lo stesso linguaggio. La verità è che nel nostro Paese il ministero della Famiglia dovrebbe essere con portafoglio e più importante di quello dell’Economia. Anzi, dovrebbe occuparsene il ministro dell’Economia con delega specifica alla denatalità. Che è il tema del futuro poiché il Paese nel 2035 avrà un numero insostenibile di non autosufficienti e il welfare crollerà».

Quanto conta la sua speciale e numerosa famiglia nel suo impegno?

«È fondamentale. Ho davanti a me ogni giorno il motivo per cui giro come una trottola e pungolo la politica. Non voglio che i miei figli emigrino, non per scelta ma per necessità o perché non possono realizzare i loro sogni. Non mi rassegno a un futuro in cui potrò vederli solo su Skype».

Orsola Vetri

© www.famigliacristiana.it, martedì 31 dicembre 2019

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