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Don Andrea, sacerdote e martire

Questo è il testo dell'omelia pronunciata da mons. Luigi Padovese a Trabzon, il 5 febbraio 2010, in occasione dell'anniversario dell'uccisione di don Andrea Santoro.

p Don Andrea Santoro ANSA.jpgCari fratelli,
sono passati quattro anni da quando don Andrea è stato ucciso in questa Chiesa. Oggi, come quattro anni fa, ritorna sempre a stessa domanda: Perché? E’ lo stesso interrogativo che ci poniamo davanti a tante altre vittime innocenti dell’ingiustizia: Perché? Uccidendo don Andrea che cosa si è voluto annientare? La sola persona o anche quello che la persona rappresentava? Certamente nel colpire don Andrea era il sacerdote cattolico che si voleva colpire. Il suo sacerdozio è stata perciò la causa del suo martirio. Attraverso il suo sangue Don Andrea ha celebrato con Cristo l’unica eucaristia: “Questo è il mio sangue versato per voi e per tutti per il perdono dei peccati”.

Leggiamo nell’Antico Testamento che il sangue versato chiama altro sangue, ossia si ripaga con la vendetta. Eppure, da quando Gesù è morto in croce, il sangue versato non richiama più alla vendetta, ma al perdono. E’ un sangue che lava, purifica, dà vita. Perché? La risposta si trova nelle parole di Gesù sulla croce: “Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno”. Se infatti l’avessero saputo non l’avrebbero fatto. Spesso la colpa di chi fa il male sta nella sua cecità o nel ritenere vero e giusto ciò che non lo è. Non è mai giusto sopprimere una vita per affermare una idea. Non è mai giusto ritenere che chi non la pensa come noi è nel torto e va annientato. Questo è fondamentalismo che distrugge la società perché distrugge la convivenza. Questo fondamentalismo, a qualsiasi religione o partito politico appartenga, potrà forse vincere qualche battaglia, ma è destinato a perdere la guerra. Ed è la storia che ce l’insegna. Cari fratelli, il sangue che don Andrea ha versato in questa Chiesa non è stato inutile. Pensiamo a quanti fratelli e sorelle in tutto il mondo hanno conosciuto il suo sacrificio e sono stati confermati nella volontà di vivere per Cristo e, se necessario, di morire per Lui. Questo umile sacerdote, conosciuto da pochi, con la sua morte è divenuto testimone per molti. Chi voleva farlo scomparire, in realtà ha prodotto l’effetto contrario. Ora, per molti, in tutto il mondo il nome di Trebisonda è legato a quello di don Andrea. Egli voleva creare in questa città un punto d’incontro e un centro di dialogo tra cristiani e musulmani. Io spero vivamente che un giorno questo suo sogno si possa realizzare e che la città di Trebisonda divenga un esempio di pacifica convivenza e di fraternità dove tutti gli uomini sono uniti nella ricerca del bene comune. Non abbiamo tutti lo stesso Dio?

Mons. Luigi Padovese

© Avvenire, 3 giugno 2010

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