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Dossier. Sciocchezze, ma non si può dire

Due casi di verità deformata che riguardano Famiglia Cristiana e la stampa cattolica. Ma la smentita è impossibile.

1. Mi smentisci? Non ti pubblico

 

stampa2_2302347.jpgChe cos’è la verità? Si chiedeva Pilato davanti a un Gesù di Nazaret vittima dei potenti del suo tempo. E che cos’è la verità oggi storpiata dai poteri mediatici che si riempiono la bocca di democrazia, ma poi non hanno il coraggio di registrare una pur lieve voce di precisazione e smentita?

     I fatti. Un settimanale, noto per il suo anticlericalismo, dedica un lunghissimo articolo ai presunti privilegi e favori che la Chiesa riceverebbe dallo Stato attraverso l’otto per mille. Infilza una serie infinita di corbellerie, ma tocca i vertici  del ridicolo e dell’imprecisione (perché non c’entra nulla con l’otto per mille) quando aggiunge all’insieme, come ciliegina sulla torta, anche i presunti privilegi goduti dalla stampa cattolica, sprezzantemente definita quella delle “sante gazzette” con “testate improbabili”. Tra queste “sante gazzette” vengono citate anche Famiglia Cristiana e Avvenire

     Qual è la tecnica usata? Quella delle mezze verità, ovvero di dire una cosa, ma di tacere il resto. È vero infatti che tante testate cattoliche usufruiscono di benefici da parte dello Stato, ma sono gli stessi benefici goduti da tutta una serie di testate, religiose e non, sante e laiche. Si tratta di una legge dello Stato volta a mantenere il pluralismo dell’informazione con dei contributi ai più deboli, così come esiste una legge che aiuta l’emittenza locale di fronte allo strapotere dei grandi monopoli.  Dov’è dunque lo scandalo? Solo nella testa di chi monta il caso.

     Logica vorrebbe perciò che chi ha preso una tale cantonata facesse un atto di umiltà e pubblicasse eventuali precisazioni. Invece cala il silenzio e non viene pubblicata una riga di chi prova a far presente l’errore. È successo che Avvenire sia intervenuto con più pezzi sull’argomento. Così pure il presidente della Fisc (la federazione italiana dei settimanali cattolici) ha pubblicato un intervento molto pertinente e documentato (vedi anche l'altro articolo). Anche l’ufficio stampa di Famiglia Cristiana ha inviato al settimanale una breve nota, rimasta impubblicata. 

     La riportiamo: "Gentile direttore, riguardo l'anticipazione del libro di Stefano Livadiotti I senza Dio, pubblicata da l'Espresso del 24 novembre scorso, non intendo replicare a quanto Livadiotti scrive sull'otto per mille alla Chiesa cattolica. Non mi pare però segno di onestà intellettuale l'affiancare al discorso sull'otto per mille il tema dei contributi statali all'editoria. Discutibilissimo anch'esso, se si vuole, ma che certamente non riguarda solo l'editoria cattolica. Sarebbe bastato, per dare le proporzioni, citare a fronte delle cifre riportate da Livadiotti per Avvenire e Famiglia Cristiana, l'entità delle somme che percepiscono giornali come L'Unità e la Padania, il Foglio e il Secolo d'Italia, magari anche L'Avanti! di Lavitola... 

     Qui sta, a nostro modo di vedere, la disonestà intellettuale di chi ha imbastito il servizio: perché questi ultimi no e le "sante gazzette" sì? Possibile che in Italia si debba ragionare sempre in termini di anticlericalismo anziché di leggi uguali per tutti? E usare toni dispregiativi verso chi si vuole additare come avversario? 

Cordiali saluti 

Mauro Broggi,  direttore Comunicazione St Pauls International e Periodici San Paolo".

     Altro episodio. Prendendo spunto dagli 80 anni di Famiglia Cristiana, un giornalista di un quotidiano dedica un’intera pagina alla storia del nostro settimanale e ne approfitta per rievocare alcuni episodi critici. Sulla storia di un giornale si possono avanzare tante opinioni e tutte plausibili, si può andare a spulciare su tutto e trovare qualcosa da dare in pasto ai lettori a mo’ di gossip e di pettegolezzo. Ma mettere in dubbio le posizioni dottrinali di un giornale come Famiglia Cristiana e dei suoi direttori non è accettabile. 

     È quanto ha fatto il quotidiano in questione, che ha attribuito a uno dei direttori di Famiglia Cristiana,  don Leonardo Zega, “posizioni spregiudicate sull’etica sessuale”. L’articolo non documenta alcuna “spregiudicatezza”, ma tanto basta per denigrare e infangare la memoria di un sacerdote che ha servito la Chiesa italiana per circa trent’anni.

    Siccome per un sacerdote le questioni morali e dottrinali sono parte fondante del suo ministero, attribuire a don Zega spregiudicatezza in questo campo significa danneggiarne la memoria. Anche in questo caso l’ufficio stampa del nostro settimanale ha inviato una lettera al direttore del quotidiano. Abbiamo atteso invano che il  quotidiano pubblicasse, ma evidentemente anche qui la democrazia è a senso unico e la verità è solo quella di chi scrive. 

     Ecco il testo inviato: "Gentile direttore, La ringrazio per l'attenzione prestata da La Stampa per gli 80 anni di Famiglia Cristiana con l'articolo del 20 novembre scorso "Famiglia Cristiana, il marketing della fede porta a porta". Ci preme però fare presente che mai Famiglia Cristiana e tantomeno uno dei suoi storici direttori, don Leonardo Zega, hanno assunto "posizioni spregiudicate sull'etica sessuale" che "non piacciono al Vaticano". Famiglia Cristiana e tutti i suoi direttori hanno sempre proposto la dottrina della Chiesa, in materia sessuale come in tutti gli altri aspetti della morale cattolica. 

Con i migliori saluti

Mauro Broggi, direttore Comunicazione St Pauls International e Periodici San Paolo".

     Un bel libro pubblicato nel Regno Unito parlava significativamente della professione giornalistica come di un “potere senza responsabilità”. Sarebbe ora che al potere si affiancasse la responsabilità. Non c’è legge che la imponga, ma non è un caso se una delle categorie più screditate in Italia di fronte all’opinione pubblica è quella dei giornalisti.

 
Giusto Truglia

 

Caro Espresso, a proposito di contributi...

 

 

zanotti_2302311.jpgIn un ampio servizio dedicato all’otto per mille in cui si confondono ancora Vaticano e Conferenza episcopale italiana (Cei) e in cui si raccontano verità parziali o strumentali, il settimanale L’Espresso in edicola la scorsa settimana ha dedicato un box alle “Sante Gazzette”.

     In poche righe si narra, prendendo le mosse dal libro in uscita I senza Dio, citando in questo caso il capitolo “Come mungere lo Stato”, dei contributi all’editoria destinati ad Avvenire, a Famiglia Cristiana e ai settimanali diocesani, mettendoli tutti insieme in una “lista delle Gazzette di ispirazione religiosa” che, secondo L’Espresso, “sarebbero generosamente sovvenzionate dallo Stato”.

     Non dice nulla, invece, L’Espresso, della legge del 1990 che stabilisce i contributi all’editoria, né dei principi in base ai quali tale legge e le precedenti sono state istituite. Non una parola per spiegare il pluralismo informativo e neppure per ragionare di libertà d’informazione o di democrazia informativa. Nulla di nulla dell’articolo 21 della Costituzione italiana, né del recente intervento del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha chiesto al governo di rivedere i tagli all’editoria, accennando al rischio di “mortificazione del pluralismo dell’informazione” nel nostro Paese. 

     Solo fango su “una lunga lista” che, sempre secondo L’Espresso, sarebbe “pure divertente da scorrere, infarcita com’è di testate improbabili”. È professionalmente sconcertante leggere toni così offensivi e basati su pregiudizi duri a morire. Certo risulta difficile per chi non abita il territorio italiano rendersi conto di ciò che si muove nel nostro Paese. Basterebbe svolgere piccoli sondaggi nei vari territori dal Nord al Sud dell’Italia per scoprire una ricchezza reale, spesso ignorata dalla grande stampa e dai network nazionali, ma molto vicina alla gente. 

     Un milione di copie, quattro milioni di lettori, forse danno fastidio a qualcuno, ma dicono di un radicamento sul territorio che può far sorgere parecchie invidie e far nascere disinformazione. In ultimo verrebbe da domandarsi se per le copie de L’Espresso spedite via Poste italiane fino al 31 marzo 2010 l’editore di quel settimanale abbia pagato la tariffa riservata ai periodici oppure l’intero importo ordinario. Nel primo caso è bene ricordare che lo Stato ha integrato per anni, con soldi dei cittadini, la differenza fra le due tariffe, anche per le spedizioni de L’Espresso. Si tratta di contributi indiretti, ma sempre contributi statali sono.

 

Francesco Zanotti

Presidente nazionale Fisc (Federazione italiana settimanali cattolici)

 

© Famiglia Cristiana, 10 dicembre 2011

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