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Per i cattolici la stagione di un «servizio» nuovo

«Ci vuole un governo più forte, questo non va bene, non è adeguato e per il bene del Paese vanno trovate soluzioni diverse».

todi180.jpgTocca a Raffaele Bonanni, affiancato da Natale Forlani, tracciare la sintesi di Todi davanti a una pattuglia agguerrita di giornalisti di ogni testata, persino straniere, che hanno atteso per lunghe ore la fine del dibattito. Che ha registrato una sessantina di interventi, davanti a una platea di 130 invitati, in rappresentanza dell’associazionismo cattolico. La soluzione però, può dire Bonanni a nome di tutti, «non può consistere nel voto anticipato, sarebbe la soluzione peggiore», sostiene. Anche perché questo implicherebbe di andarci con questa legge elettorale, mentre si tratta di «restituire ai cittadini il diritto di scegliersi i propri rappresentanti».
Per i cattolici è il momento di «scendere in campo, uscire dalla porta e andare in mare aperto contro i guasti che sono sotto gli occhi di tutti». Una riflessione articolata, quella di Todi, che ora andrà «rimodellata e plasmata». Riflessione però che intende rimanere strettamente in ambito «pre-politico», chiarisce Bonanni. E il dibattito il ieri al convento francescano di Montesanto, verrà ripreso ora anche a livello locale.
A tema è la fiducia stessa nella politica. E, non si tratta solo si uno strumento tecnico, è fondamentale per questo adottare un nuovo sistema di voto «che reintroduca la preferenza». Ma la soluzione non è certo quella che potrebbe scaturire da un successo del referendum, perché «passare dal Porcellum al Mattarellum sarebbe come andare dalla padella alla brace», sostiene Bonanni.
Dunque, serve un governo più forte in grado di recuperare un clima diverso e di adottare le misure urgenti, ormai non più rinviabili. Soprattutto a favore della famiglia, «che ha svolto in questi momenti di crisi un ruolo di vero e proprio ammortizzatore sociale, verso i disoccupati, i portatori di handicap, gli anziani». Per cui è urgente l’adozione del quoziente familiare, «con un correttivo per i redditi alti». Perché, spiega Bonanni, «se deve essere a costo zero, almeno vanno aiutate le famiglie con redditi medi e bassi, che non ce la fanno più, e chiedono urgentemente di veder ridotta la tassazione. E non è solo una misura di giustizia sociale, ma sarebbe anche un fattore di incentivo alla crescita e rilancio dei consumi». Così, «meno tasse» è una misura urgente anche per le imprese, le piccole soprattutto, che affrontano da sole i morsi della crisi.
Via alle domande. Una raffica. Chiedono a Bonanni del sistema proporzionale, e della fine del berlusconismo. «No a questo bipolarismo che è diventato una guerra senza esclusione di colpi», risponde il leader della Cisl, lasciando intendere che il problema è più ampio e tocca l’intero sistema politico, la sua capacità di dare risposte adeguate il bene comune. L’obiettivo, spiega Bonanni, è mantenere un sistema parlamentare, ridando forza e autorevolezza ai parlamentari, proprio con una legge elettorale che restituisca il criterio della «responsabilità» e della «rappresentatività».
Si inserisce anche la collega francese della <+corsivo>Croix<+tondo>, chiedendo lumi su come raccontare questa iniziativa in Francia, dove - dice chiaramente - sono interessati più che altro a sapere della fine del berlusconismo. «Il problema è rompere questo corto circuito. Non c’è niente da aspettarsi da una politica che non dà spazio alla partecipazione dei cittadini, ma questo è un problema anche francese». «Non è solo una questione di formule - interviene Forlani - questo governo non ce la fa e bisogna trovare formule diverse per il bene del Paese».
Le domande insistono tutte sullo stesso punto. Chiedete un passo indietro di Berlusconi, che fare di fonte alla prospettiva del voto? «Il voto servirebbe solo a ri-cristallizzare la stessa situazione di adesso», ripete Bonanni. «Serve un governo più forte, e per far valere le nostre ragioni non c’è solo la forma partito, lo faremo attraverso la nostra presenza nelle istituzioni». Più unita e più compatta, dopo Todi. Angelo Picariello

BAGNASCO: «CRISTIANI DA SEMPRE PRESENZA VIVA NELLA STORIA» di Mimmo Muolo
L'impegno politico non è un optional per i cattolici. Al contrario è un atto di coerenza con la propria fede, al punto che «se per nessuno è possibile l’assenteismo sociale, per i cristiani è un peccato di omissione». Perciò, «quanto più le difficoltà culturali e sociali sono gravi, tanto più essi si sentono chiamati in causa per portare il loro contributo specifico, senza complessi di sorta e senza diluizioni ingiustificabili». Di tale impegno, inoltre, «tutti dovrebbero semplicemente rallegrarsi», senza «temere per la laicità dello Stato». Perché la presenza dei credenti in Cristo nella sfera pubblica non mira a «imporre dei valori confessionali in un contesto pluralistico e complesso», quanto piuttosto a ricordare i valori primari sui quali si fonda ogni convivenza umana. Vita, famiglia, libertà educativa e religiosa. Principi non negoziabili dai quali discende «ogni altro valore necessario al bene della persona e della società».
È questo in sintesi il discorso con cui il cardinale Angelo Bagnasco ha aperto ieri a Todi il seminario nazionale "La buona politica per il bene comune" promosso dal Forum delle persone e delle associazioni d’ispirazione cattolica nel mondo del lavoro. Il presidente della Cei ha anche espresso «la totale esecrazione» per i gravissimi fatti di Roma e rinnovato «gratitudine e stima» alle Forze dell’ordine per il loro servizio.
Il focus del discorso del porporato resta però il perché dell’impegno dei cattolici in politica e le fonti che devono alimentarlo. Bagnasco ha preso spunto dall’episodio evangelico in cui Pietro cammina sulle acque su invito di Gesù e comincia ad affondare quando si indebolisce la sua fiducia nel Signore. Anche i cristiani che devono attraversare «il mare del tempo» e dei problemi odierni possono essere preda della paura e rischiare di andare a fondo. Per questo, ha ricordato il presidente della Cei, «il punto sorgivo della presenza sociale e civile dei cattolici» deve essere «il primato della vita spirituale, quel guardare fermamente al volto di Cristo che con la forza del suo Spirito sprigiona dinamismi virtuosi d’intelligenza e di dedizione». Di qui l’importanza dell’eucaristia, «poiché chi riconosce Gesù nell’ostia santa, lo riconosce nel fratello che soffre, che ha fame e sete, che è forestiero, ignudo, malato, carcerato».
Dall’eucaristia discende anche una vera e propria antropologia, cioè «l’autentica concezione dell’uomo, della sua dignità, dei suoi bisogni veri, non indotti e imposti da una cultura prona all’ideologia del mercato». Un’antropologia, ha ribadito Bagnasco, che è l’esatto contrario dell’individualismo, i cui esiti fallimentari sono sotto gli occhi di tutti. Se infatti «si concepisce l’uomo in modo individualistico come oggi si tende – ha esemplificato il presidente della Cei –, come si potrà costruire una comunità solidale dove si chiede il dono e il sacrificio di sé? E se lo si concepisce in modo materialistico, chiuso alla trascendenza e centrato su se stesso, come riconoscerlo non "qualcosa" tra altre cose, ma "qualcuno" che è qualitativamente diverso dal resto della natura? E su che cosa potrà poggiare la sua dignità inviolabile? E quale sarà il fondamento oggettivo e non manipolabile dell’ordine morale?». Domande che hanno una risposta unica: «Solo Dio Creatore e Padre – ha sottolineato il cardinale – può fondare e garantire la più alta delle creature, l’uomo».
Ecco perché, come ha tenuto a ribadire il presidente della Cei, la religione non può essere confinata nel privato. Negare la dimensione pubblica della fede, «significa creare una società violenta, chiusa e squilibrata a tutti i livelli, personale, impersonale, civile». Al contrario «i cristiani da sempre sono presenza viva nella storia, consapevoli che la fede in Cristo, con le sue implicazioni antropologiche, etiche e sociali, è un bene anche per la Città». Tra l’altro questa è una presenza che non intacca la laicità dello Stato, «valore acquisito e riconosciuto dalla Chiesa». La laicità, infatti, «indica in primo luogo l’atteggiamento di chi rispetta le verità che scaturiscono dalla conoscenza naturale dell’uomo che vive in società, anche se tali verità sono nello stesso tempo insegnate da una religione specifica». Ecco allora perché quelle verità sono «principi non negoziabili». Perché, ha concluso Bagnasco, «sono in gioco le sorgenti stesse dell’uomo». E intorno a queste sorgenti deve coagularsi l’impegno politico dei cattolici.

© Avvenire, 18 ottobre 2011