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Quel fiume in piena di voci che sanno dire grazie

Giovanni Paolo II e un dialogo che non si interrompe. Le preghiere per una guarigione o per una vita da accogliere o per un lavoro da trovare, per un amore lacerato o cercato. E tanti «grazie» disseminati in biglietti di ogni formato: per la maternità, per la famiglia, per la vocazione, per il lavoro. Biglietti segnati dalla vita che entra a contatto con il Mistero, nella semplicità del linguaggio e del cuore.

wojtyla.jpgÈ fatta così la comunicazione dei devoti con Giovanni Paolo II, in un filo diretto iniziato durante il suo pontificato e mai interrotto, arricchito anzi dai messaggi di inaspettati autori che lo dicono Beato prima ancora di quel 1° maggio 2011 in cui la Chiesa lo potrà proclamare tale.

È riduttivo parlare di «devoti», come se si potesse inquadrarli in una categoria precisa di fedeli. C’è gente, in questo fiume di comunicazione, che il Mistero l’aveva solo sfiorato e poi l’ha riscoperto grazie a lui. C’è un pezzo di mondo che coltiva questo dialogo, attraverso varie modalità: la preghiera innanzitutto, in ogni parte del pianeta; le visite alla tomba; le lettere e le e-mail alla postulazione della causa di canonizzazione. Perfino dei «post-it» incollati alle pagine di un libro. Davanti alla tomba, un’infinità di messaggi, poesie e disegni, poi raccolti e trasferiti alla postulazione, custoditi in un archivio dove risuonano le gioie e i dolori di uomini e donne.

I bambini sono tra i primi a lasciare un segno del loro affetto per l’«amico Karol», ma sono anche l’oggetto di tante lettere sofferte scritte da mamme in attesa, preoccupate per la salute del loro piccolo, o da donne che nascostamente piangono il figlio che non arriva e sentono di doverlo confidare solo a chi per la vita ha speso tutta la sua esistenza. Come tanti altri, chiamano per nome il loro dolore.

«Il suo cuore era per i poveri», è stato detto di Giovanni Paolo II, e lui è nel cuore dei poveri, coloro che attraverso di lui vogliono raggiungere Dio. Nelle lettere ve n’è la prova. E c’è la stessa familiarità che lui usava con la gente, lo stesso stile diretto, la medesima semplicità. Perché per dirsi la vera esperienza umana a volte non servono tante parole: ecco allora disegni coloratissimi nei quali Papa Wojtyla viene raffigurato in mezzo al verde, sulle montagne che amava, in mezzo alla folla, a cavallo, oppure mentre dalla finestra lancia le colombe in cielo (immagine che ricorreva ogni anno, alla fine di gennaio, in occasione della Carovana della Pace promossa dall’Azione Cattolica ragazzi di Roma). Ecco versi folgoranti, quelli di una bambina che scrive come un’adulta: «Il tuo silenzio / adesso / stordisce le orecchie del mondo / ma canta limpida / la Tua voce/. Sempre, per noi.../ timorosi della Luce... ».

Sì, il cuore di questa gente cerca la Luce e guarda a un uomo che ha percorso milioni di chilometri e stretto migliaia di mani per indicarla. Ripete il wojtyliano «Non abbiate paura», che dona coraggio. Invoca la pace, chiede il dono della vita, reclama giustizia, ma nel profondo cerca la Luce. Rinnova il suo «grazie», chi la grazia – interiore o «materiale» – l’ha avuta e chi l’attende, e chi vuol solo narrare il bello della propria vita a Giovanni Paolo, che ascolta dalla «casa del Padre». La gratitudine è il sentimento ricorrente, non solo tra i piccoli. Anche per me. A maggio nascerà mia figlia. Dopo il giorno del Beato Karol «il Grande», il giorno della Misericordia.

 
Angelo Zema
© Avvenire, 16 gennaio 2011
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