Arcivescovo

S.E. Giuseppe

Satriano

IN AGENDA

A Lesbo, prigione a cielo aperto. Dove l'Europa è un sogno

«È folle che l’Europa risponda con i gas lacrimogeni alla richiesta di aiuto che viene da persone che spesso fuggono dalla guerra – dice la portavoce di Save the Children, Giovanna Di Benedetto – soprattutto quando si tratta di bambini: noi siamo convinti che il modo in cui si sta implementando l’accordo tra la Ue e la Turchia sia inumano e illegale»

Sognando l'Europa. Per i profughi il futuro è un'ombra nera (Pablo Tosco/Oxfam)

Halibut scappa tutte le sere da un buco nella rete. Giura che è vero, che quando fa buio torna dentro. Non so se credergli, a cominciare da quel nome, quello di un pesce oceanico. Ma nel guizzo degli occhi c’è un’ombra di ribalda vitalità, come la voglia di condividere il suo segreto di Pulcinella e di far sapere a tutti che dal campo profughi di Moria si può anche uscire alla chetichella, assaporando schegge di libertà.
Halibut è siriano e non ha neanche quindici anni.

Per lui, come per migliaia d’altri, il sogno d’Europa si è trasformato in una porta girevole. Si entra a Lesbo, lembo estremo del continente, si esce a Dikili, in Turchia, da dove si era partiti. Accade ai siriani, ma non solo a loro: palestinesi, iracheni, curdi, pakistani, ci provano tutti, anche gli algerini, i tunisini, i migranti del Bangladesh. «Salpano all’alba su gommoni caricaturali, sfidano questo braccio di mare che attira tutti perché Turchia e Grecia sembrano baciarsi tanto sono vicine – dice Alexis Iannoutri della capitaneria di porto di Mitilene – qualcuno riesce a mettere i piedi sulla terraferma, qualcun altro non la vedrà mai, per tanti di loro non c’è nemmeno un pezzo di terra dovere essere seppelliti».

Ma per molti altri la porta d’Europa si è trasformata in una prigione a cielo aperto.

Siamo a Moria, centro di raccolta di migranti economici e migranti politici, di profughi e di disperati. Qui il tempo si è fermato dietro le volute di filo spinato e i reticolati che definiscono il perimetro di questo hotspot figlio dell’accordo fra la Turchia e l’Unione Europea. «Uno scandalo – dice Samir, volontario di origine turca – una specie di mercato degli schiavi: te ne vendo uno in cambio di due, ti restituisco un siriano ma me lo devi pagare bene... Ecco cos’è l’accordo fra la vostra Europa e il Paese di Erdogan».

Quelli che stanno peggio sono i pachistani. Il famigerato "Protocollo di Riammissione" ne falcidia a decine, alcuni di loro hanno tentato di togliersi la vita: «Neanche li ascoltano – reclamano le ong di Lesbo – non hanno diritto di parola. Il Protocollo è modellato solo sui siriani».

È abbastanza vero. Per ogni siriano riammesso in Turchia, un altro siriano sarà reinsediato nell’Ue, con un limite, però, di posti disponibili per il reinsediamento pari a 72mila in totale per il 2016. In compenso l’accordo fra Bruxelles e Ankara ha drasticamente ridotto il numero di migranti che si affacciano sulle sponde elleniche, un’ottantina di persone al giorno, nessuna delle quali siriana.

«È folle che l’Europa risponda con i gas lacrimogeni alla richiesta di aiuto che viene da persone che spesso fuggono dalla guerra – dice la portavoce di Save the Children, Giovanna Di Benedetto – soprattutto quando si tratta di bambini: noi siamo convinti che il modo in cui si sta implementando l’accordo tra la Ue e la Turchia sia inumano e illegale».

Dal quel fatidico 20 marzo - accusano le ong - circa 6.300 persone sono arrivate nelle isole greche e sono trattenute in modo del tutto arbitrario in veri e propri centri di detenzione. La maggioranza di esse ha fatto richiesta di asilo, ma la Commissione europea, nonostante l’impegno dello scorso 4 aprile a inviare nelle isole 1.500 tra funzionari e poliziotti per esaminare le richieste, non ha assicurato ancora il sostegno necessario al Greek Asylum Service, che può contare a Lesbo su appena una manciata di funzionari e operatori.
Perlustro gli angusti confini di Moria.

La polizia greca non ama i giornalisti, il diritto di cronaca qui è pura utopia, scattare fotografie può costare l’espulsione dall’isola. «Qui dentro – spiega Sophia, un tempo guida turistica oggi volontaria – ci sono almeno seicento fra minori e neonati e duecento sono quelli non accompagnati. I casi più delicati, insieme alle donne incinte, sono stati trasferiti a Kara Tepe, il campo gestito dal comune».

Ed è questo mescolarsi di buone intenzioni e di regole invalicabili che fa di Lesbo una sorta di tragico laboratorio dell’insensatezza umana: da un lato la pietà, la solidarietà, gli sforzi dell’isola perché il flusso dei migranti non si trasformi in un grande lager, dall’altro l’ordinata contabilità dell’hotspot che ha finito per trasformare le persone in numeri e i numeri in liste d’attesa d’imponderabile lunghezza intrappolate nel mulinello perverso di questa porta girevole che è diventata Lesbo.

Oggi sull’isola arriverà Papa Francesco, insieme al Patriarca ecumenico Bartolomeo e all’arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, Ieronymos II. Ma non tutti i migranti lo sanno. Ci sarà il premier Tsipras ad accogliere il Papa. Insieme andranno a deporre fiori sulla spiaggia dove i migranti partiti dalla Turchia sbarcano e talvolta annegano. Sarà lui ad aprire le porte di Moria, quelle porte che a tutti noi sono precluse, come se incontrare i migranti, parlare con loro, ascoltarli fosse un atto di sedizione.

«Respingi la tempesta aggiungendo fuoco», recita un frammento di Alceo, poeta di Mitilene. Non sappiamo se il fuoco della solidarietà basterà a sciogliere le catene della contabilità concordata con la Turchia. Ma siamo obbligati a sperarlo.

Giorgio Ferrari, inviato a Mitilene

© Avvenire, 15 aprile 2016

 

Il viaggio del Papa in Grecia sabato 16 aprile

A Lesbo i profughi aspettano Francesco

 

foto: Pablo Tosco/Oxfam

L'attesa per Papa Francesco a Lesbo coinvolge i tantissimi profughi da settimane bloccati nell’isola greca, assieme gli operatori umanitari che si adoperano per l’assistenza.

«Per noi il Papa è una fonte di ispirazione fortissima, il fatto che venga qui a mostrare la sua unità con i profughi ci dà la forza di andare avanti nel nostro lavoro di aiuto alle persone» ha spiegato Mari Stella Tsamatroupoulou, responsabile della Caritas Hellas.
La Caritas Hellas, come altre ong, non opera più nel centro di Mòria «da quando è stato trasformato da centro di accoglienza a centro di detenzione – ha aggiunto la responsabile – non possiamo sostenerlo, è fuori dall’idea che abbiamo di accoglienza».
«Il disagio che vivono queste persone è indescrivibile, credo che il gesto del Papa sia importante anche per riportare l’attenzione su di loro - Mari Stella Tsamatroupoulou -. Inoltre, il fatto che le diverse fedi si incontrino, è un gesto fortissimo di unità verso chi ha bisogno».

Per Amnesty International, la visita di Papa Francesco insieme ai vertici della chiesa ortodossa è una grande opportunità per «accendere i riflettori sulla drammatica sofferenza di migliaia di migranti e rifugiati arbitrariamente detenuti».
«Nel campo di detenzione di Moria, a Lesbo, abbiamo assistito coi nostri occhi all'impatto devastante che l'accordo tra Unione europea e Turchia sta avendo su uomini, donne e bambini tra cui un gran numero di rifugiati in condizioni di vulnerabilità, detenuti in modo arbitrario. Il papa dovrebbe dire con chiarezza che non cambiare questo stato di cose sarebbe una vergogna per l'Europa – sottolinea Gauri van Gulik, vicedirettrice per l'Europa di Amnesty International -. Durante la sua visita, Papa Francesco metterà in evidenza il ruolo determinante svolto della solidarietà locale e internazionale per aiutare le persone più vulnerabili nel contesto dell'attuale crisi dei rifugiati. Auspichiamo che Papa Francesco possa anche denunciare le violazioni, la paura e l'incertezza di migliaia di migranti e rifugiati intrappolati in un limbo, a Lesbo come in altre parti della Grecia».

foto: Pablo Tosco/Oxfam

Secondo Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio quello di Papa Francesco è un «forte messaggio di accoglienza verso chi bussa alle porte dell’Europa», per questo dalle pagine di Famiglia Cristiana, lancia l’idea di un sinodo ecumenico dei cristiani europei sulla questione dei rifugiati: «Le Chiese europee non possono restare prigioniere delle logiche istituzionali o delle politiche dei loro Paesi, senza una visione del futuro. Mi chiedo se questo non sia il momento di una convocazione dei cristiani europei, un sinodo ecumenico che affronti la grande questione dei rifugiati e l’Europa».

foto: Pablo Tosco/Oxfam

«Per come stanno le cose oggi, abbiamo fondati timori che molte persone – oggi trattenute in quelli che sono diventati veri e propri centri di detenzione nelle isole greche – possano essere rinviate in Turchia senza essere state informate pienamente sui loro diritti e quindi senza avere avuto nemmeno l’opportunità di chiedere asilo in Europa», ha sottolineato Elisa Bacciotti, direttrice Campagne di Oxfam Italia. «Non può essere questo il nuovo volto dell’Europa, che mette al primo posto la sicurezza delle frontiere a prezzo della deportazione di esseri umani. Ci auguriamo che Papa Francesco e il Patriarca Bartolomeo, come leader spirituali e morali, possano contribuire a richiamare l’Unione europea al rispetto dei suoi valori fondanti: il rispetto della dignità e dei diritti umani».

foto: Pablo Tosco/Oxfam

«La visita del Papa è assolutamente la benvenuta! Spero che Papa Francesco possa riuscire a risvegliare le coscienze dell’opinione pubblica e delle nostre autorità - ha commentato Michele Telaro, capo progetto di Medici senza frontiere a Lesbo -. Poi, onestamente, non mi aspetto che la visita del Papa possa far cambiare idea all’Unione europea, perché la volontà politica che è stata messa in gioco è molto forte ed è evidente».
«Il Papa ha chiesto “ponti e non barriere”, ma in questo momento, invece, l’Unione europea - ha proseguito il capo progetto di Medici senza frontiere a Lesbo - vuole proprio creare delle barriere e respingere queste persone, chiudere le proprie frontiere e, in qualche modo, vuole subappaltare l’assistenza umanitaria e la protezione internazionale ad altri, alla Turchia».

foto: Pablo Tosco/Oxfam

Ilaria Solaini

© Avvenire, 15 aprile 2016