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Caritas. Il progetto "Apri", saranno accolti mille migranti nelle diocesi

Saranno coinvolti richiedenti asilo e rifugiati più vulnerabili. Oliviero Forti: «Pronti a farci carico nelle comunità dei percorsi di ospitalità»

Dalle Caritas diocesane 1.000 posti per la buona accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati più vulnerabili. Necessaria per rimediare almeno in piccola parte alla 'irregolarizzazione' e alla precarietà provocata proprio dai decreti detti 'sicurezza'. Il Capo dello Stato, per alcuni contenuti, ha chiesto al governo di cambiarli. Anche perché vanno in una direzione incomprensibile – almeno se l’obiettivo era la sicurezza – visto anche il concomitante calo degli arrivi. Eppure secondo l’analisi del ricercatore dell’Ispi Matteo Villa, per effetto della normativa promossa dall’ex ministro dell’Interno ed entrata in vigore da ottobre 2018, entro fine anno il numero degli irregolari in Italia aumenterà di almeno 140mila unità, comprendendo anche le persone che avevano la protezione umanitaria abolita dai nuovi testi. Oggi a Roma, poche ore dopo il discorso del cardinale Gualtiero Bassetti sulla necessità dell’accoglienza diffusa per vincere la paura, Caritas italiana presenterà il progetto 'Apri', mille posti per sei mesi nelle diocesi (finora 50) che risponderanno alla chiamata.

«L’acronimo – spiega Oliviero Forti, responsabile immigrazione dell’organismo pastorale della Chiesa italiana – richiama i famosi quattro verbi del Papa riferiti ai migranti (Accogliere, proteggere, promuovere e integrare, ndr) e il gesto di aprire loro la porta. Riprende lo schema del progetto 'rifugiato a casa mia', parte dello stile Caritas degli ultimi anni e che era rivolto soprattutto a chi, attraverso i corridoi umanitari, entrava in sicurezza e legalmente in Italia e veniva seguito per un anno da una comunità che se lo prendeva in carico con famiglie tutor e volontari. Ora ci rivolgiamo a chi è già in Italia, ma rischia di finire in strada nonostante sia regolare. La situazione è preoccupante sia per i beneficiari, molti dei quali non sanno più dove andare, sia per il sistema di accoglienza».

Perché? «La nuova normativa – risponde Forti – ha messo molta gente in regola in strada. Ha chiuso gli Sprar ai richiedenti asilo, i quali sono finiti nei grandi centri dove non si fa attività di integrazione. Inoltre molti centri di accoglienza sono stati chiusi con il taglio dei fondi. Molte piccole associazioni e cooperative non hanno più partecipato ai bandi e magari hanno chiuso. C’è anche il problema dei rifugiati che hanno terminato il percorso nei nuovi Siproimi e non sanno dove andare. Per tutte queste persone il rischio concreto è di non trovare alloggio e lavoro perché non hanno più ricevuto formazione e supporto adeguato ». Spesso sono rimaste solo le realtà promosse dalle Caritas a farsi carico dei richiedenti asilo e dei rifugiati sui territori in questa politica di accoglienza al ribasso che ha fatto perdere molti posti di lavoro.

«Non bisogna avere paura di affermare che per fare buona accoglienza occorrono anche figure professionali accanto ai volontari. Ad esempio i mediatori linguistici e culturali. Parliamo anche di italiani. Quindi c’è un serio allarme nelle comunità per l’aumento dell’illegalità. 'Apri' vuole dare alle persone la possibilità di proseguire in sicurezza i percorsi interrotti».

Cosa propone in concreto la Caritas? «Grazie a fondi della Cei e a quelle delle diocesi – risponde Forti – aiuteremo le famiglie tutor che si renderanno disponibili e i volontari a mettere a punto progetti di sei mesi per l’accoglienza e l’integrazione. Ci prenderemo in carico le situazioni dei vulnerabili in tutta Italia, quindi famiglie con bambini e singoli con fragilità. Miriamo, a livello nazionale, a dare qualche chance di integrazione in più a chi è in regola con i permessi». Il progetto utilizzerà fondi della Cei e risorse delle diocesi, non fondi pubblici. «Prevediamo di erogare con i fondi Cei un contributo di dieci euro per ciascun beneficiario mentre le Chiese locali copriranno gli altri costi. Per la riuscita del progetto servirà un grande apporto dei volontari per aumentare il livello qualitativo».

Paolo Lambruschi

© Avvenire, venerdì 24 gennaio 2020

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