Conoscere Dio: una questione seria
È un pensiero semplice, decisivo e valido per qualsiasi uomo, che fa tornare in mente un celebre pensiero di Pascal: «Lo stato dopo la morte – scrisse il filosofo – è eterno, qualunque ne possa essere la natura». Pertanto le nostre azioni e i nostri pensieri devono regolarsi in modo completamente diverso in rapporto alla reale natura dell’eternità che ci aspetta, ed «è impossibile fare un passo con sensatezza e con discernimento senza regolarlo in vista di tale esito». In effetti, ognuno di noi cerca giustamente di formarsi una vasta e solida competenza e di approfondire continuamente le conoscenze della sua professione, o anche di altri campi dello scibile più o meno importanti; dall’altra parte, però, spesso ci accontentiamo di una conoscenza religiosa ferma – anzi, sbiadita nella memoria – al catechismo imparato alle elementari e adeguata a quella capacità di comprensione; oppure (nel caso degli indifferenti) tralasciamo del tutto di interessarci alla conoscenza più decisiva che esista, quella relativa al nostro destino eterno.
Un altro grande filosofo come Kierkegaard scrive: se il cristianesimo ti è stato annunziato «tu devi farti un’opinione intorno a Cristo», intorno alla verità o alla falsità di questo annunzio, perché la verità o la falsità circa il Salvatore dell’uomo «è la decisione di tutta l’esistenza». Infatti, qualora fosse vero che esiste Dio e che egli sceglie di incarnarsi e di morire per ciascun uomo, ciò «non è per un capriccio ozioso», non è qualcosa che Dio ha fatto perché si stava annoiando e non aveva nulla da fare: «No, se Dio fa questo, la serietà dell’esistenza dipende da questo fatto», perciò «ognuno deve avere un’opinione in merito». In effetti, è opportuno fare chiarezza sul fine ultimo della ricerca della conoscenza: essa ci deve aiutare a compiere il bene, a conseguire la virtù, a ben vivere e a ben morire.
Ciò vuol dire che dobbiamo cercare una giusta proporzione tra ciò che sappiamo per via della nostra professione, o per interesse, e ciò che è imprescindibile conoscere per comprendere il senso della vita: posso apprendere tutto sull’informatica, sull’economia, sul calcio, sulla musica..., ma quello che conta principalmente è tentare di rispondere alle grandi domande: chi sono? Da dove vengo? Dove vado? Esiste Dio? Qual è il senso della vita? Che cosa è bene e male? Così, non di rado, diciamo che la fede è un dono, e perciò chi non ce l’ha non può fare nulla. A ben vedere, tuttavia, se è vero che la fede è una virtù teologale infusa – cioè impressa da Dio nell’anima – nello stesso tempo possiamo predisporci a ricevere questo dono, come chi prepara un terreno affinché possa essere seminato. Ciò vuol dire che chi è incerto sull’esistenza di Dio e sull’esistenza del Dio di Gesù Cristo può comportarsi come chi cerca un tesoro – perché tale sarebbe Gesù Cristo qualora fosse reale anche per lui – senza esser certo che esista e nondimeno si mette a cercarlo. Etsi daretur, vivere come se esistesse. Per esempio facendo letture adeguate, interpellando persone. E chiedendo al «Dio sconosciuto» di donargli la fede.