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È il momento dei costruttori di pace

Come i santi del cielo sono davanti al “trono” di Dio, così gli operatori di pace, come diceva il fratello vescovo don Tonino Bello, sostano non «davanti alle poltrone dei tiranni, o davanti agli idoli di metallo», ma si prendono cura «di tutti i popoli oppressi dai poteri mondani, di tutte le vittime della guerra, di tutti i discriminati dall’odio, di tutti i violentati nei più elementari diritti umani»

Il dramma della guerra in Ucraina è una tragedia che mette a nudo le contraddizioni del nostro tempo. Non tocca a me analizzare i molteplici risvolti politici, sociali, economici e umanitari di questo conflitto. Ci sono specialisti che, in questi giorni, stanno proponendo approfondimenti accurati e ricchi di dati e di previsioni per il futuro dell’Europa e del mondo. Non è nemmeno mia intenzione soffermarmi sulle motivazioni culturali e storiche per cercare di capire le origini remote di quanto si sta verificando sotto i nostri occhi, quasi dietro l’angolo di casa. Le immagini che ci vengono proposte attraverso i mezzi di comunicazione sociale sono molto eloquenti e parlano da sole. Mio compito, invece, è ribadire quanto afferma il Vangelo: la guerra è la somma di tutti i mali e la pace è l’insieme di tutti i beni!

Nel famoso Discorso della Montagna, che Gandhi giudicava essere la pagina più alta di tutta la spiritualità umana, Gesù proclama solennemente davanti ai suoi discepoli e alla folla le otto beatitudini. La settima recita: «Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). Don Tonino Bello, nel famoso intervento del 1989 al raduno di Pax Christi a Verona, rilanciò questa beatitudine evangelica con queste parole: «In piedi costruttori di pace». “Beato” è colui che sta in piedi, vittorioso come Cristo risorto (cfr. Ap 5,6) e come i santi dell’Apocalisse: «Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello» (Ap 7,9). Gli operatori di pace “stanno in piedi” perché vivono le vicende del mondo non in un modo asettico e disincantato, in una sorta di Olimpo da cui guardare con sufficienza e disinteresse quanto avviene nella storia, ma pronti a incamminarsi sui sentieri impervi del Vangelo, disponibili anche a mettere in gioco la propria vita. Su questa via, nonostante tutte le difficoltà e le avversità della storia, don Tonino vedeva camminare non una piccola minoranza di sognatori visionari e di utopisti incalliti, ma «un popolo sterminato che sta in piedi. Perché il popolo della pace non è un popolo di rassegnati. È un popolo pasquale». Come i santi del cielo sono davanti al “trono” di Dio, così gli operatori di pace sostano non «davanti alle poltrone dei tiranni, o davanti agli idoli di metallo», ma si prendono cura «di tutti i popoli oppressi dai poteri mondani, di tutte le vittime della guerra, di tutti i discriminati dall’odio, di tutti i violentati nei più elementari diritti umani» (Bello, vol. IV, pp. 160-161). Questo popolo numeroso e invisibile della pace è un popolo di costruttori, non di arrampicatori sociali, di opportunisti pronti a svendere la propria anima al primo tiranno di turno. Essi sanno bene che la pace è un dono di Dio, ma sanno anche che è un compito affidato alla loro iniziativa. Accolgono l’imperativo che nasce dall’alto come una grazia da piantare sulla terra e far fiorire con l’assunzione della responsabilità personale e collettiva. In altri termini, la pace non è una grazia a buon mercato, ma un «nuovo martirio» (Bello, IV, n. 136, p. 150). La pace, che va costruita nella storia, - afferma don Tonino - è un’acqua che scende dal cielo: ma siamo noi che dobbiamo canalizzarla affinché, attraverso le condutture approntate dalla nostra genialità, giunga a ristorare tutta la terra. La pace è opera della giustizia (cfr. Is 32,17; Sal 85, 11), ma in ultima analisi, è una persona da seguire: la stessa persona di Gesù. Per questo, anche se viviamo una «esperienza frammentata di pace, scommettere su di essa significa scommettere sull’uomo. Anzi, sull’uomo nuovo. Su Cristo: egli è la nostra Pace. E lui non delude» (Bello, IV, n. 136, p. 150). Certo costruire la pace è un difficile compito. Essa è «una meta sempre intravista, e mai pienamente raggiunta. La sua corsa si vince sulle tappe intermedie, e mai sull’ultimo traguardo. Esisterà sempre un “gap” tra il sogno cullato e le realizzazioni raggiunte […]. La pace è un bene la cui interezza si sperimenterà solo nello stadio finale del regno, dove troverà nuovi motivi per continuare la corsa anche nella situazione di scacco permanente in cui è tenuto dalla storia» (Bello, IV, n. 127, p. 152). La triste guerra che si sta combattendo in Ucraina è il segno che bisogna promuovere una nuova stagione di testimoni che sappiano coniugare non solo la dimensione festiva, ma anche la dimensione feriale della pace abbinando la visione ideale a dimensioni quotidiane e a percorsi feriali. I veri costruttori di pace non condannano solo questa o quella guerra, ma la guerra in quanto tale, soprattutto quelle invisibili e nascoste che si combattono in varie parti del mondo e che non hanno nessuna visibilità mediatica. Sono le “guerre tra poveri” a cui manca tutto, anche la solidarietà e la pietà umana.

Monsignor Vito Angiuli, vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca

© www.famigliacristiana.it, domenica 27 febbraio 2022

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