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XVII Domenica del tempo Ordinario. Uno dei discepoli disse: "Signore, insegnaci a pregare!"

I discepoli del Nazareno dovevano essere stati profondamente impressionati dalla frequenza e dal modo in cui Gesù pregava, sempre nei momenti cruciali e prima di scelte importanti, come la costituzione dei Dodici o la ferma decisione di dirigersi verso Gerusalemme; avevano intuito che la fonte segreta della sua straordinaria lucidità e libertà era da ricercare nella sua capacità di stare davanti a Dio in un rapporto unico e singolare. Così, desiderosi di avere anch'essi una formula di preghiera che li caratterizzasse come seguaci del Nazareno.

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Nel cap.13 di Luca abbiamo la più ricca e profonda catechesi sulla preghiera dei quattro evangeli.
I discepoli del Nazareno dovevano essere stati profondamente impressionati dalla frequenza e dal modo in cui Gesù pregava, sempre nei momenti cruciali e prima di scelte importanti, come la costituzione dei Dodici o la ferma decisione di dirigersi verso Gerusalemme; avevano intuito che la fonte segreta della sua straordinaria lucidità e libertà era da ricercare nella sua capacità di stare davanti a Dio in un rapporto unico e singolare. Così, desiderosi di avere anch'essi una formula di preghiera che li caratterizzasse come seguaci del Nazareno e li distinguesse dagli altri gruppi religiosi del tempo (farisei, sadducei, esseni e battisti), gli chiedono di insegnare loro a pregare.

La risposta del Maestro è costituita dalla splendida preghiera del "Padre nostro", che Tertulliano ha definito "il compendio di tutto il vangelo". In effetti questo testo, che è il culmine dell'orazione cristiana, è la sintesi dell'insegnamento di Gesù, riporta i suoi pensieri e le sue idee; è un po' il suo "testamento spirituale", estremamente sobrio (la redazione di Luca è anche più breve di quella di Matteo e probabilmente più vicina alla forma originaria pronunciata dal Signore), ma di una straordinaria profondità.

Cinque sono le richieste, due riguardanti Dio e tre l'uomo. Nella prima il verbo è al passivo; si tratta del cosiddetto "passivo teologico o divino", un modo di esprimersi abituale nella Bibbia che evitava il più possibile di nominare Dio e nello stesso tempo ne sottolineava la presenza e l'azione misteriosa nella storia, specie nei confronti dell'uomo.

Così la prima invocazione che il cristiano rivolge a Dio è che Egli stesso santifichi il Suo nome. Poiché nella cultura semitica il "nome" è sinonimo di colui che lo porta, si chiede a Dio di rivelare in pienezza la Sua persona, di farsi conoscere agli uomini come il Santo, l'unico Signore trascendente. E Dio si fa conoscere anzitutto nell'amore. "Io ho fatto conoscere il tuo nome - dice Gesù - e io lo farò conoscere ancora affinché l'amore con il quale tu mi hai amato sia in essi" (Giov.17, 26).

Anche la seconda richiesta è incentrata sulla manifestazione del Padre attraverso la venuta del suo Regno e anche qui ci troviamo al cuore della predicazione di Gesù, che ha per oggetto soprattutto tale annuncio; questo Egli aveva detto nel suo discorso programmatico tenuto alla sinagoga di Nazareth (Luca 4, 16-21); e questo aveva ripetuto nel "discorso della pianura": "Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio" (Luca 6,20).

Ora, che cos'è il regno di Dio e come viene? Esso è una realtà misteriosa, che nel vangelo è descritta soprattutto attraverso il linguaggio parabolico e che in sostanza coincide con la presenza e l'azione salvifica di Dio in mezzo agli uomini, con il suo amore misericordioso e universale, manifestato dal Figlio. Gesù infatti ha guardato gli uomini con lo stesso sguardo di Dio, cogliendo in ogni fratello - giusto o peccatore, giudeo o straniero - la sua verità, che è quella di essere figlio di Dio, immensamente amato dal Padre. Allora "venga il tuo regno" vuol dire guardare gli uomini in questo stesso modo, aiutare a capire che ogni essere umano è amato da Dio e ai Suoi occhi conta come tutti gli altri, qualsiasi cosa abbia fatto e in qualsiasi posizione si trovi.

Le prime due sono dunque davvero la richieste fondamentali, che già contengono in "nuce" la risposta alle altre tre, relative alla condizione umana. Infatti il perno di tutto il discorso (ma così difficile per noi da capire e vivere!) è proprio questo: "cercare anzitutto il Regno", cioè incontrare il Padre e lasciarsi amare da Lui, perché tutto il resto "sarà dato in aggiunta", visto che "il Padre sa bene di che cosa avete bisogno", come dice ancora Gesù nel capitolo successivo.

Ma allora la caratteristica principale della preghiera che il Maestro insegna ai suoi discepoli è una sconfinata fiducia in Dio: "Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto" (v.9), dove ritroviamo ancora il passivo teologico, che denota l'azione di Dio.

Per la verità tutto questo sembra clamorosamente smentito da un'obiezione abbastanza frequente: "Ho pregato tanto Dio, ma Lui non mi ha ascoltato!" Il fatto è che noi, come figli ancora piccoli, spesso e volentieri confondiamo quello che per noi è un male con un bene, e per di più molto desiderato. Ma come il padre, nel suo amore per il figlio, sa che cosa dargli al di là delle sue richieste, e si guarda bene dal fornirgli cose che lo ingannino o lo danneggino (come sarebbe una serpe al posto di un pesce), esattamente allo stesso modo fa con noi il Padre celeste. E quando finalmente noi stessi ci accorgiamo di aver magari chiesto uno scorpione scambiandolo per un uovo, allora possiamo ben ringraziare Dio di non averci dato ascolto!

E' probabilmente per questo che Luca ha concluso questa splendida catechesi sulla preghiera con la sola richiesta che davvero non può mai fallire: il dono dello Spirito santo, che - come dice S.Paolo - "viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, e intercede con insistenza per noi…….secondo i disegni di Dio" (Romani 8, 26-27).

Ileana Mortari

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