Il fuoco e il varco
Eppure manca qualcosa. O, per meglio dire, oggi succede qualcosa di più. Papa Wojtyla viene proclamato Beato e noi siamo chiamati a guardarlo in modo diverso. Affascinati non tanto da quel che ha fatto, ma dal perché l’ha fatto. «Cercano di capirmi dal di fuori – disse una volta Giovanni Paolo II –. Ma io posso essere compreso solo dal di dentro».
Oggi la sua santità non è più un segreto, è stata ufficialmente riconosciuta dalla Chiesa. Fin da giovane Karol Wojtyla ha vissuto un rapporto di straordinaria immediatezza con Dio. «Non è poi così difficile essere santi», era solito dirgli Jan Tyranowski, il sarto che insieme ai vestiti cuciva nelle menti dei ragazzi di Wadowice, alla vigilia della seconda guerra mondiale, il filo delle cose eterne. «Lascia agire in me il mistero, fallo agire nel mio corpo affranto dalla debolezza», recita una poesia scritta da un Wojtyla nel pieno delle sue forze. Già viveva nello spirito quel che poi avrebbe sperimentato nella carne con la sofferenza e la malattia. Chi lo ha conosciuto da vicino è sempre rimasto colpito da come Giovanni Paolo II pregava, immerso totalmente in Dio. Per lui pregare era come respirare, lo faceva con naturalezza anche mentre studiava, viaggiava o si trovava in mezzo alla gente. «Hombre, yo soy un mistico! », rispose prontamente a chi, durante uno dei suoi primi viaggi in America Latina, gli fece i complimenti per il suo perfetto spagnolo. «L’ho imparato leggendo San Giovanni della Croce e Santa Teresa d’Avila», spiegò. Karol Wojtyla è stato un uomo che bruciava di un grande fuoco interiore con cui ha incendiato il mondo. Un contemplativo in azione, ecco il suo capolavoro di santità. Adesso che viene elevato all’onore degli altari il più grande errore sarebbe quello di considerarlo alla stregua di un santino edulcorato e buonista. No, la sua vita è stata una lotta. Fin da ragazzo ha dovuto affrontare perdite familiari e gravi privazioni, ha sperimentato l’occupazione nazista e la dittatura comunista, ha combattuto i regimi totalitari dell’Est, ma anche il permissivismo dilagante all’Ovest. È stato sbeffeggiato dai potenti quando condannava le guerre, è stato criticato e osteggiato anche all’interno della Chiesa. Ha alzato la voce in tante occasioni, si è arrabbiato perfino coi suoi amati connazionali che dopo la caduta del comunismo rincorrevano falsi modelli di libertà.
«Giovanni Paolo II si è mosso col desiderio d’aprire dappertutto delle vie d’accesso a Cristo, rendendo percorribile a ogni uomo il varco verso la vita vera», è la sintesi efficace che ne ha tracciato Benedetto XVI, legato a lui da un affetto personale oltre che da una lunga consuetudine di lavoro. Non è un caso che sia il primo Papa in mille anni a beatificare il suo predecessore. Lo farà, significativamente, nel giorno in cui si festeggia la Divina Misericordia, il messaggio con cui s’identifica il senso più profondo del pontificato di Giovanni Paolo II. «Io prego ogni giorno affinché la misericordia di Dio avvolga tutto il mondo e lo salvi dalla disperazione», disse una volta. È dentro quest’abbraccio avvolgente che oggi ci sentiamo ancor più vicini al Beato Karol Wojtyla.
© Avvenire, 1 maggio 2011
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