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Il Papa alla Caritas: rendete l'amore di Dio forza di servizio

Le Caritas diocesane devono essere come "sentinelle capaci di accorgersi e di far accorgere, di anticipare e di prevenire, di sostenere e di proporre vie di soluzione" alle difficoltà delle persone

papa_mini.jpgEsse devono "ascoltare per conoscere" ma anche "per farsi prossimo, per sostenere le comunità cristiane nel prendersi cura di chi" necessita di un aiuto. A dirlo è Benedetto XVI che stamane ha ricevuto in udienza in Vaticano i partecipanti al convegno promosso da Caritas Italiana in occasione del 40esimo anniversario di fondazione dell'organismo della Conferenza Episcopale Italiana: con loro, anche il cardinale Bagnasco, presidente della Cei, affiancato dal presidente della Caritas mons. Giuseppe Merisi, dal direttore di Caritas Italiana mons. Vittorio Nozza, dai direttori delle Caritas diocesane e dai loro collaboratori.

Il papa ha ricordato che "al di sopra dell'aspetto puramente materiale della vostra attività, deve emergere la sua prevalente funzione pedagogica", che è rappresentato dall'importante compito educativo di "assumere la responsabilità dell'educare alla vita buona del Vangelo, che è tale solo se comprende in maniera organica la testimonianza della carità". "Il distintivo del cristiano - dice il papa - è che la fede si rende operosa nella carità: ciascuno di voi è chiamato a dare il suo contributo affinché l'amore con cui siamo da sempre e per sempre amati da Dio divenga operosità della vita, forza di servizio, consapevolezza della responsabilità".

Benedetto XVI si rivolge ai rappresentanti delle Caritas diocesane e parrocchiali chiedendo loro di "non desistere mai da questo compito educativo, anche quando la strada si fa dura e lo sforzo sembra non dare risultati". "È importante - dice - che le persone sofferenti possano sentire il calore di Dio e lo possono sentire tramite le nostre mani e i nostri cuori aperti" ed è importante che ciò accada "attraverso i segni concreti" attraverso cui "voi parlate, evangelizzate, educate". "L'individualismo dei nostri giorni, la presunta sufficienza della tecnica, il relativismo che influenza tutti - argomenta il papa - chiedono di provocare persone e comunità verso forme alte di ascolto, verso capacità di apertura dello sguardo e del cuore sulle necessità e sulle risorse, verso forme comunitarie di discernimento sul modo di essere e di porsi in un mondo in profondo cambiamento".

"Vi auguro - auspica Benedetto XVI - di sapere coltivare al meglio la qualità delle opere che avete saputo inventare: rendetele, per così dire, parlanti, preoccupandovi soprattutto della motivazione interiore che le anima, e della qualità della testimonianza che da esse promana". Naturalmente, spiega ancora, "l'umile e concreto servizio che la Chiesa offre non vuole sostituire nè, tantomeno, assopire la coscienza collettiva e civile": semplicemente "le si affianca con spirito di sincera collaborazione, nella dovuta autonomia e nella piena coscienza della sussidiarietà". Ecco allora l'obiettivo di "realizzare una presenza capillare sul territorio" e di "leggere l'evolversi della vita delle persone che lo abitano, le difficoltà e le preoccupazioni, ma anche le opportunità e le prospettive".

"Rispondere ai bisogni - continua Benedetto XVI - significa non solo dare il pane all'affamato, ma anche lasciarsi interpellare dalle cause per cui è affamato, con lo sguardo di Gesù che sapeva vedere la realtà profonda delle persone che gli si accostavano". Il pensiero allora - dice il papa - "non può non andare anche al vasto mondo della migrazione", come pure alle "calamità naturali e guerre che creano situazioni di emergenza". "La crisi economica globale - continua - è un ulteriore segno dei tempi che chiede il coraggio della fraternità, il divario tra nord e sud del mondo e la lesione della dignità umana di tante persone, richiamano ad una carità che sappia allargarsi a cerchi concentrici dai piccoli ai grandi sistemi economici. Il crescente disagio, l'indebolimento delle famiglie, l'incertezza della condizione giovanile indicano il rischio di un calo di speranza. L'umanità non necessita solo di benefattori, ma anche di persone umili e concrete che, come Gesù, sappiano mettersi al fianco dei fratelli condividendo un po' della loro fatica. In una parola, l'umanità cerca segni di speranza: la nostra fonte di speranza è nel Signore. Ed è per questo motivo che c'è bisogno della Caritas; non per delegarle il servizio di carità, ma perché sia un segno della carità di Cristo, un segno che porti speranza".

© Avvenire, 24 novembre 2011