Il vademecum. I cellulari alla Messa? Ecco perché non basta che siano silenziosi
Don Paolo Padrini è un sacerdote che di cellulari e tablet se ne intende. Non certo perché è uno di quei «preti e anche vescovi» che hanno «tanti telefonini alzati» durante la Messa, come ha ammonito oggi papa Francesco durante l’udienza generale in piazza San Pietro; ma perché è un esperto del mondo digitale ed è il “padre” di iBreviary, l’applicazione che permette di avere a portata di clic i testi della Liturgia delle Ore in cinque lingue e che è stata scaricata da oltre tre milioni di persone in tutto il mondo. «Bisogna essere chiari – spiega il sacerdote 45enne della diocesi di Tortona –. Il cellulare e il tablet sono un supporto alla preghiera ma non si usano per pregare. Soprattutto occorre chiedersi quando questi strumenti rischiano di arrecare disturbo al personale incontro con il Signore». Don Padrini fa un esempio. «Giustamente papa Francesco ha censurato l’uso del telefonino durante le celebrazioni. Mi permetto di aggiungere che il cellulare andrebbe lasciato a casa quando si va a Messa. E, se proprio lo portiamo con noi, va spento. Non è sufficiente impostarlo in “modalità silenziosa”». Perché? «È vero che con questa scelta non si disturbano gli altri e che non suonerà nel corso dell’Eucaristia. Ma, se il telefonino resta collegato alla rete, è come se nella nostra mente rimanesse un canale perennemente aperto che distrae anche l’anima. Infatti sentiremo sempre la vibrazione oppure avremo la curiosità di tirare fuori dalla tasca l’apparecchio per controllare se qualcuno ci ha chiamato. E ciò distrae dal dialogo con Dio che si crea nella liturgia».
Con un tocco di sarcasmo Francesco ha ironizzato sul fatto che nella Messa il sacerdote «non dice: “In alto i nostri telefonini per fare la fotografia!”». E ha avvertito: «È una cosa brutta». Che coinvolge sia i laici, sia i pastori. «Il Papa – afferma don Padrini – si riferiva a ciò che accade nelle celebrazioni che presiede. Tutti siamo tentati dal desiderio di prendere il cellulare se abbiamo di fronte il Pontefice. E lo facciamo sia per amore verso il Papa, sia perché partecipiamo a un grande momento di Chiesa. In preda a una sorta di furore eroico vogliamo immortalare l’attimo con un video o una fotografia. Si tratta di una giustificazione? Assolutamente no. La Messa non è un evento per riprese o scatti. È l’abbraccio con il Padre e il Figlio attraverso la Parola e i segni dell’azione liturgica. Pertanto le uniche antenne da issare sono quelle dello Spirito Santo e non le antenne che catturano altre onde, destinate a inquinare quei frangenti». Poi precisa: «In una celebrazione la partecipazione dell’assemblea si declina nell’ascolto, nelle parole della liturgia, nel canto. Non sicuramente nell’impiego di strumenti come il cellulare che non sono parte di questo contesto. Basterebbe il buon senso per capirlo». Eppure è arrivato il rimprovero di Francesco che ha ricordato: «La Messa non è uno spettacolo». E ha esortato «Ricordatevi: niente telefonini». «Il Papa – sottolinea il sacerdote – ribadisce che una celebrazione non è un set fotografico. E con le sue parole ci invita a custodire gli atti che compiamo. Lo dico anche laicamente: con il cellulare sempre in mano perdiamo il gusto per ciò che stiamo facendo. Pensiamo a quando in un concerto ci mettiamo a filmarlo invece di lasciarci conquistare dalla musica...».
Comunque iBreviary ha fatto breccia. «Innanzitutto l’App è legata alla preghiera personale – sostiene don Padrini –. A mio avviso, un cellulare o un tablet non è adatto per la preghiera comunitaria. Infatti dico “no” all’uso di questi strumenti nella Messa. E poi il breviario digitale va meditato in “modalità aereo”, ossia evitando che il telefonino suoni o che sullo schermo appaiono notifiche di messaggi e mail. Soltanto così il cellulare sarà consono alla preghiera. Del resto, non basta educare all’impiego intelligente dei device elettronici. Serve anche educare gli strumenti, vale a dire impostarli in maniera coerente. Tutto ciò eviterà di essere succubi della tecnologia o addirittura di essere manipolati da essa, fino quasi a diventarne schiavi».