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Il vescovo. «Le ostie ritrovate intatte, anche Gesù sotto le macerie ad Arquata»

Il vescovo D'Ercole parla di «segno di speranza», ricordando che le particole ritrovate dopo tanto tempo «avevano il profumo, la freschezza delle ostie appena fatte»

Del ritrovamento chiamiamolo sorprendente, avvenuto il 16 gennaio ad Ascoli Piceno, Avvenire ha dato conto nei giorni scorsi, trovando un’eco comprensibile fra i lettori. Parliamo del ritrovamento del tabernacolo della chiesa di Santa Maria Assunta di Arquata del Tronto, andata distrutta nel terremoto del 30 ottobre 2016. All’interno c’era una pisside con 40 ostie consacrate, perfettamente integre: non solo senza segni di muffa, ma del loro colore naturale. Ostie rimaste tre mesi sotto le macerie, poi finite insieme a resti e detriti in un grande magazzino messo a disposizione della diocesi da industriali locali, a “temperatura ambiente”: il freddo rigido dell’inverno, il caldo torrido dell’estate e un tasso di umidità non indifferente.

Autore della scoperta è stato don Angelo Ciancotti, il parroco della Cattedrale di Ascoli. Originario di Arquata, dopo il terremoto si è recato più volte sul posto per seguire i lavori di recupero di quello che era rimasto dei beni ecclesiastici. «Conoscevo bene tutte le chiese della zona – dice don Ciancotti – tenevo il conto degli oggetti recuperati. C’era il tabernacolo della chiesa di Pescara del Tronto, ma continuava a mancare quello di Arquata. Ho iniziato a fare ricerche, ho inviato delle richieste formali fino a che il sovrintendente dei nucleo Tutela beni culturali dei carabinieri mi ha detto di averlo ritrovato e di averlo consegnato al deposito della diocesi. Mi sono recato là con alcuni amici e l’ho finalmente visto. Il giorno di san Marcello Papa, il 16 gennaio appunto, l’ho preso e l’ho portato nella sagrestia della Cattedrale e l’ho fatto pulire».

Di lì a poco don Ciancotti è riuscito ad aprire il tabernacolo con una chiave, rimanendo a bocca aperta. A ricordarlo gli si incrina la voce: «È stato un grande stupore... per chi ha fede... sa, le ostie di per sé sono solo acqua e farina ed erano intatte, senza alcun segno di corruzione». Ora le ostie si trovano nella cappella del Santissimo Sacramento della Cattedrale. «In quella cappella c’è il crocifisso del 1200 di Arquata – spiega sempre il sacerdote – e di fronte la Sindone di Borgo D’Arquata [una copia della Sacra Sindone di Torino, rinvenuta nel corso di lavori di restauro della chiesa dedicata a san Francesco eseguiti nel XVII secolo e venerata per secoli dalla popolazione locale, ndr], ovvero la morte, la Risurrezione e ora la presenza reale di Cristo. Sono dei segni forti per tutta la nostra diocesi, che sta vivendo un momento di grande difficoltà».

Il vescovo di Ascoli Piceno Giovanni D’Ercole racconta anche lui l’impressione avuta quando si è recato a vedere il tabernacolo e la pisside ritrovati: «In genere le ostie che si conservano per tanto tempo sanno di stantio. Queste invece avevano il profumo, la freschezza delle ostie appena fatte. Nessuno parla di miracolo, ma certamente la cosa ha sorpreso tutti. Ora stiamo cercando di capire anche cosa fare di queste ostie, se conservarle o consumarle, su questo mi consulterò con la Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti». Nessun clamore, insomma, nessuna enfatizzazione, sottolinea D’Ercole, «però un significato lo abbiamo colto e abbiamo voluto trasmetterlo: Gesù non ci ha abbandonati. È come se il Signore ci avesse detto: ho sofferto il terremoto con voi, anch’io sono finito sepolto sotto le macerie, ma resto vivo e sempre in mezzo a voi».

Anche la gente ha colto questo significato, spiega sempre il vescovo: «Le persone si recano a pregare davanti alla Cappella del Santissimo Sacramento in Cattedrale. Alla domenica, dopo la Messa delle 11, c’è un tempo di adorazione e diversi si fermano. E so che chi prega ritorna poi a casa confortato spiritualmente. Questa è una grande grazia. Tanti nei paesi colpiti dal terremoto hanno perso tutto e si sentono abbandonati, pensano di poter contare ormai solo su se stessi». In realtà la diocesi ha fatto e continua a fare tanto per loro. Il segno delle ostie di Arquata ricorda inoltre che c’è una presenza, ben più potente, che non abbandona mai.

Andrea Galli

© Avvenire, sabato 24 febbraio 2018

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