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La Renault 4 del Papa: 300 mila chilometri di carità

Lo stile e il modo di comunicare del papa stanno cambiando l'immagine della Chiesa. Tanti piccoli episodi, tante piccole scelte di vita, spesso sorprendenti, che contribuiscono ad avvicinare "la sposa di Cristo" ai fedeli e ai non credenti.

Sul colore, bianco latte, non ci sono dubbi: trattasi di papa mobile, al cento per cento. Ma certo, il modello, è decisamente originale. Si tratta di una Renault 4 del 1984, targata Verona 779684. Milioni di persone, sui giornali e in Tv, hanno visto Francesco salire su quell’utilitaria. Il Papa venuto dalla fine del mondo ci ha abituato a questi gesti (il bagaglio a mano in aereo, il pernottamento a Santa Marta, le telefonate, gli zucchetti regalati ai fedeli), simboli concreti e potenti della sua semplicità, della sua coerenza evangelica, di una Chiesa “povera per i poveri”. Ma quell’auto, beh, quell’auto era decisamente imprevedibile. Ancora una volta Francesco ha spiazzato tutti. Da dove salta fuori quella R4? Il mistero è presto svelato. E il bello è che dietro quell’utilitaria c’è una storia di carità lunga 300 mila chilometri.

L’auto apparteneva a don Renzo Zocca, oggi parroco di Santa Lucia di Pescantina, a Verona. Riposava in un garage un po’ acciaccata, anche se il sacerdote gli aveva fatto fare la revisione e l’aveva fatta certificare come auto d’epoca. Don Renzo, che a novembre compie 70 anni, ha un passato di sacerdote di periferie, fondatore della cooperativa l’Ancora, che dà lavoro e assistenza a tanta gente. La sua periferia è stata il quartiere operaio Saval, a Verona, di cui è stato parroco negli anni ’80. Un quartiere tutto falansteri  e cemento dove non c’era nulla di nulla e che ha faticosamente fatto risorgere. Ci arrivò a 35 anni, con al seguito il fratello di 14 anni che era rimasto orfano e a cui doveva fare da padre. Cominciò con la chiesa, un capannone con l’altare, poi arrivarono i centri per i disabili, per i poveri e per gli anziani. Don Renzo doveva combattere a mani nude contro gli spacciatori di droga che devastavano i suoi ragazzi e lo minacciavano di morte. Si prese anche una coltellata, ma andò avanti. “Volevo incarnare il Concilio in quella parrocchia di periferia che è stato il cuore della mia vita: vi ho trascorso 25 anni. Io e mio fratello alloggiavamo in un appartamento popolare al nono piano: dicevo scherzando che la mia era la canonica più alta d’Italia”

Ma la Renault 4?
Gliela regalò Eraldo Polato, vicepresidente di allora del Verona Calcio, di cui don Renzo è stato cappellano (anche nell'anno dello scudetto 1985, e infatti sull'auto è rimasto un adesivo della squadra). “Le servirà”, gli disse. E il colore bianco? Una coincidenza. Profetica. Con quell’utilitaria di 800 cc e 30 cavalli, con il cambio a 4 marce accanto al volante e i sedili simili a sedie a sdraio, don Renzo ha cominciato a percorrere in lungo e in largo il quartiere, sconfinando fuori dalla parrocchia: i campi scuola, l’oratorio estivo, i centri di accoglienza, la Val D’Aosta, le Dolomiti, Roma… insomma, alla fine il tachimetro segnava 300 mila chilometri.

“Quanti ricordi legati alla mia fedele R4! Fedele, perché guidando le chiedevo ad alta voce: non lasciarmi mai, e lei non mi ha mai lasciato per strada! “Il 15 luglio di quest’anno”, prosegue don Zocca, “cominciai a riflettere sulle parole di Francesco. Quelle che dicevano che il rinnovamento della Chiesa partiva dalle periferie. E così gli scrissi una lettera che chiedeva di incontrarlo. Volevo raccontare la mia esperienza. Ma volevo fargli anche un dono. Un dono che testimoniasse la mia esperienza. E quale dono migliore poteva essere la mia R4?”.

Don Renzo scrive una lettera a Francesco e la imbuca. Venticinque giorni più tardi, “esattamente il 10 agosto alle 10 e 19” il parroco è in canonica. Driin! Suona il telefonino. “Sono papa Francesco”. Era lui, era proprio lui, il Santo Padre! “Non riuscivo a rispondere, mi è andato via il respiro. Non sapevo cosa rispondere! Come si risponde a un papa al telefono? Alla fine dissi: sia lodato Gesù Cristo, che va sempre bene, ho pensato.”. La telefonata durò 35 minuti. “Gli parlai del mio progetto pastorale sulle periferie, lui era molto interessato. Poi gli ho confermato il mio proposito di regalargli l’R4. Ne sei proprio sicuro?, mi disse. Vuoi proprio portarmela? Non è meglio darla ai poveri? Io replicai che quella macchina aveva già dato tanto ai poveri e che ora doveva andare al papa, e non mi accorsi che le per la foga avevo alzato il tono di voce. Hai un'altra auto, mi chiese. Quando risposi che me ne rimaneva un'altra, più recente,  alla fine il Papa si convinse e mi disse: allora ci vediamo qui da me, aspetta che prendo l’agenda. Ho sentito il fruscio di alcuni fogli, poi: allora, sono libero il 5, il 6 o il 7 settembre, alle 15, alle 16 o alle 17. Quando vuoi venire? Io risposi istintivamente: aspetti che prendo la mia agenda, mi alzai per prenderla e a un certo punto, già in piedi, mi resi conto che stavo parlando al telefono con il Santo Padre. Mi scusai per la gaffe, lui rispose ridendo e concordammo per il 7 settembre alle ore 15”.

La macchina è stata affidata alle cure del meccanico Stefano che ha dato una lucidata alle candele, una sistemata al motore, messo a punto la pressione delle gomme. “Ha anche l’impianto a metano, il Vaticano non deve temere il caro benzina!”. Poi, dopo essere stata montata sul carro attrezzi, ha preso la via di Roma insieme al pulman con don Renzo e altri 100 pellegrini della sua parrocchia. “Quando ci incontrammo, di fronte a Santa Marta, di parrocchiani, accanto a quella Renault 4 bianca tirata a lucido, ce n’erano solo 50 per ragioni di sicurezza. Il papa uscì da Santa Marta e ci abbracciamo forte, per oltre un minuto interminabile. Prima dell’udienza privata, che sarebbe avvenuta in un’aula accanto alla Sala Nervi, gli confidai che stavo male per quegli altri 50 che erano rimasti fuori con il naso appiccicato ai cancelli di San Pietro. Lui rispose: e allora andiamo. Salimmo in quattro: io alla guida, lui accanto, dietro il meccanico Stefano e il mio assistente Luigi. Stefano mi disse: vai adagio, siamo in Vaticano! Il contachilometri segnava i 30 all'ora. Non le dico l’emozione di quei 50 parrocchiani che videro arrivare la R4 e scendere il Santo Padre”.

Dopo quell’incontro il quartetto risalì in macchina per tornare nell’aula delle udienze private. “Prima di congedarmi mi disse: scrivimi ancora. Io gli ho dato le chiavi e lui si è messo al volante. Mi aveva detto che anche lui aveva posseduto una R4 (in Argentina le chiamano "Renoleta") e che anche la sua non lo aveva mai tradito. L’ho visto allontanarsi su quell’auto, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Quelli della sicurezza accanto a me erano molto preoccupati perché avevano capito che d’allora in poi se ne sarebbe andato in giro per il Vaticano sulla mia auto. Io comunque nel bagagliaio gli ho lasciato anche le catene da neve. Non si sa mai”

Francesco Anfossi

© Famiglia Cristiana, 9 settembre 2013

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