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La teoria del gender è una cattiveria. Ma gay e transessuali vanno accolti

Il Papa rispondendo ai giornalisti che viaggiano con lui da Baku a Roma, chiarendo meglio il senso delle parole di sabato a Tbilisi contro «l'ideologia del gender che vuole imporre una cultura attraverso un indottrinamento» che Francesco definisce ancora una volta «colonizzazione ideologica». Poi ha parlato di pace, del suo viaggio tra le popolazione terremotate, di 13 nuovi cardinali, dei colloqui con la Cina e di molto altro

​La “cattiveria” della teoria del gender insegnata nelle scuole. Il dovere di accompagnare e avvicinare al Signore i gay e i trans. L’importanza della dialogo e dei negoziati per risolvere le controversie internazionale. Il desiderio di recarsi quanto prima tra le popolazione terremotate. Tredici nuovi cardinali in arrivo e i viaggi previsti nel 2017. I colloqui con la Cina. Sono stati questi, e altri ancora, i temi affrontati da Papa Francesco nella consueta conferenza stampa tenuta sul volo di ritorno a Roma dopo il viaggio in Georgia e Azerbaigian. Di seguito ne pubblichiamo ampi stralci in una trascrizione non ufficiale.


Sull’ecumenismo e la fede che ha trovato in Georgia
«Oggi l’ecumenismo si deve fare camminando insieme, pregando gli uni per gli altri e che i teologi continuino a parlare tra loro e a studiare fra loro». «Ma la Georgia è meravigliosa, una cosa che io non mi aspettavo, una nazione cristiana, nel midollo».


Sul conflitto Armenia-Azerbaigian per il Nagorno-Karabach
«Credo che l’unico cammino è il dialogo, il dialogo sincero» e «se non si può arrivare a questo» si deve «avere il coraggio di andare ad un tribunale internazionale, andando all’Aia per esempio e sottomettersi al giudizio internazionale, non vedo altro». «L’altro è la guerra ma la guerra distrugge sempre, con la guerra si perde tutto». E i cristiani devono «pregare per la pace, perché questi paesi intraprendano questo cammino di dialogo, di negoziato o di andare ad un tribunale internazionale».


Sulla «guerra mondiale contro il matrimonio» e le parole forti contro il divorzio pronunciate sabato in Georgia
«Tutto quello che ho detto» è nell’esortazione Amoris Letitiae (AL), «quando si parla di matrimonio come dell’unione dell’uomo e della donna come li ha fatti Dio, come immagine di Dio», «questa è la verità». «Il matrimonio è immagine di Dio, uomo e donna in una sola carne, quando si distrugge questo si sporca o si oscura l’immagine di Dio». Poi l’Amoris Letitiae «di come trattare le famiglie ferite e cerca di risolvere questi problemi». «Nel matrimonio ferito, nelle coppie ferite c’entra la misericordia. Il principio è quello ma le debolezze umane, i peccati esistono e sempre l’ultima parola non l’ha la debolezza, l’ultima parola non l’ha il peccato, l’ultima parola l’ha la Misericordia».

Per questo nell’AL si parla «del matrimonio come è ma poi vengono i problemi, come prepararsi per il matrimonio, come educare i figli» e poi nel capitolo 8 quando si parla dei casi delle famiglie ferite si indica di affrontare questi casi «con 4 idee: accogliere, accompagnare, discernere ogni caso e integrare».

Nel leggere l’AL «tutti vanno al capitolo 8, ma si deve leggere dall’inizio alla fine». «Per me il centro, il nocciolo dell’AL è il capitolo 4. Serve per tutta la vita. Ma si deve leggere tutta».


Sulla "teoria del gender"
«Prima di tutto: io ho accompagnato nella mia vita di sacerdote, di vescovo e anche di Papa persone con tendenza e con pratica omosessuali. Li ho accompagnati e avvicinati al Signore, alcuni non possono... Ma le persone si devono accompagnare come le accompagna Gesù. Quando una persona che ha questa condizione arriva davanti a Gesù, lui sicuramente non dirà: “Vattene via che sei omosessuale!”. Quello di cui ho parlato è la cattiveria che oggi si fa con l’indottrinamento della teoria del gender. Mi raccontava un papà francese che a tavola stava parlando con i figli, e ha domandato al ragazzo di dieci anni: “Tu che cosa voi fare da grande?”. “La ragazza!”.

E il papà si è accorto che nei libri di scuola si insegnava la teoria del gender, e questo è contro le cose naturali. Una cosa è che una persona abbia questa tendenza o questa opzione, o anche chi cambia il sesso. Un’altra cosa è fare l’insegnamento nelle scuole su questa linea, per cambiare la mentalità. Queste io le chiamo “colonizzazioni ideologiche”. L’anno scorso ho ricevuto una lettera di uno spagnolo che mi raccontava la sua storia di bambino e di ragazzo. Prima era una bambina, una ragazza che ha sofferto tanto. Si sentiva ragazzo ma era fisicamente una ragazza. Lo aveva raccontato alla mamma dicendo di voler fare l’intervento chirurgico. La mamma le ha chiesto di non farlo mentre lei era viva.

Era anziana, è morta presto. Ha fatto l’intervento, ora è un impiegato di un ministero in Spagna. È andato dal vescovo e il vescovo lo ha accompagnato tanto. Un bravo vescovo questo, “perdeva” tempo per accompagnare quest’uomo. Poi si è sposato, ha cambiato questa identità civile e lui - che era lei ma è lui - mi ha scritto che sarebbe stato di consolazione venire da me. Li ho ricevuti. Mi ha raccontato che nel quartiere dove lui abitava c’era un vecchio sacerdote, il vecchio parroco, e c’era il nuovo. Quando il nuovo parroco lo vedeva, lo sgridava dal marciapiede: “Andrai all’inferno!”. Il vecchio, invece, gli diceva: “Da quanto tempo non ti confessi? Vieni, vieni..”. La vita è la vita, e le cose si devono prendere come vengono. Il peccato è il peccato. Le tendenze o gli squilibri ormonali danno tanti problemi e dobbiamo essere attenti a dire che tutto è lo stesso: ogni caso accoglierlo, accompagnarlo, studiarlo, discernere e integrarlo. Questo è quello che farebbe Gesù oggi. Per favore ora non dite: il Papa santificherà i trans! Già mi vedo le prime pagine dei giornali... È un problema umano, di morale. E si deve risolvere come si può, sempre con la misericordia di Dio, con la verità, ma sempre col cuore aperto».

Sulla visita ai terremotati

«Sono state proposte tre date possibili, due non le ricordo bene... la terza la ricordo bene, è la prima domenica d’Avvento». «Devo ancora scegliere». La visita la «farò privatamente da solo come sacerdote, come vescovo e come Papa, ma da solo, così voglio fare e vorrei sentirmi vicino alla gente».


Sui prossimi nuovi cardinali
I criteri di scelta «saranno gli stessi dei due concistori precedenti». «Sto studiando i nomi». «La lista è lunga ma ci sono soltanto 13 posti, si deve pensare di fare un equilibrio». «Mi piace che si veda, nel collegio cardinalizio, l’universalità della chiesa e non soltanto il centro, diciamo per dire europeo». La data può essere la fine dell’anno, o all’inizio dell’anno prossimo. «La fine dell’anno c’è il problema della fine dell’anno santo, ma si può risolvere»


Sull’agenda dei viaggi nel 2017
«Sicuramente andrò in Portogallo», e al momento è fissata una visita solo a Fatima. In India e Bangladesh è «quasi sicuro». In Africa «ancora non è sicuro il posto». In Colombia solo se il processo di pace sarà «blindato» e «irreversibile».

Sul processo beatificazione padre Jaques
La Congregazione delle cause dei santi farà «gli studi», «l’intenzione è andare su questa linea, fare ciò che necessario per vedere se ci sono le ragioni» derogare alla norma secondo la quale bisogna attendere cinque anni dalla morte per iniziare il processo di beatificazione.

Sui rapporti con la Cina
«Voi conoscete bene la storia della Cina: c’è la Chiesa patriottica e quella nascosta. Si parla, ci sono delle commissioni, io sono ottimista. Adesso credo che i Musei Vaticani hanno fatto un’esposizione in Cina. Ci sono tanti professori che vanno a insegnare nelle università cinesi. Tante suore e molti preti che possono lavorare bene lì. Le relazioni tra Vaticano e Cina si devono fissare in un buon rapporto, ci vuole tempo. Le cose lente vanno bene, quelle fatte in fretta non vanno bene. Il popolo cinese ha la mia stima. L’altro giorno all’Accademia delle scienze c’è stato un convegno sulla Laudato si’ e c’era una delegazione cinese. Il presidente mi ha mandato un regalo. Mi piacerebbe andare, ma non penso ancora...».


Su chi premierebbe col Nobel per la pace
«Non saprei dire quale scegliere tra tante gente che oggi lavora per la pace oggi, è molto difficile». «Io mi auguro che a livello internazionale, lasciando da parte il premio Nobel per la pace, ci sia un ricordo, una riconoscenza, una dichiarazione sui bambini, più fragili, sui minorenni, sui civili morti sotto le bombe. Credo che quello è un peccato contro Gesù Cristo».


Sulle elezioni americane
«In campagna elettorale mai dico una parola, il popolo è sovrano e soltanto dirò: studia bene le proposte, prega e scegli in coscienza». «Poi esco dal problema e vado ad una finzione, perché non voglio parlare del problema concreto». «Quando succede che in un Paese qualsiasi, ci sono 2,3,4 candidati che non diano soddisfazione a tutti, significa che è la vita politica di quel paese forse è troppo politicizzata ma non ha tanta cultura politica e uno dei lavori della Chiesa è insegnare ad avere cultura politica. Ci sono paesi, penso anche all’America latina sono troppo politicizzati, ma non hanno cultura politica, sono per questo partito elettorale o quell’altro ma approssimativamente, senza un pensiero chiaro sulle basi, le proposte».


Sul fatto che non sono state rispettate le volontà testamentarie di Giovanni Paolo II che aveva chiesto di bruciare le sue carte private
«Lei dice di un Papa che indica di bruciare le sue carte, le sue lettere. Ma questo è il diritto di ogni uomo e ogni donna. Ha il diritto di farlo prima di morire. Chi non ha rispettato quella volontà sarà colpevole, non lo so, non conosco bene il caso. Di tanta gente non è stato rispettato il testamento».


Sui criterio seguito per visita in Armenia, Georgia e Azerbaigian
«Il primo viaggio è stato in Albania perché lei ha scelto di andare in Albania un un paese che non è dell’Unione Europea. Poi sono andato a Sarajevo, Bosnia-erzegovina che non è della Unione Europea». I tre presidenti di questi tre paesi caucasici «sono venuti in Vaticano ad invitarmi, e con forza». Tutti e tre i Paesi «hanno un atteggiamento religioso diverso, gli armeni sono fieri della loro armenità, e loro sono cristiani la grande maggioranza, cristiani apostolici, cristiani cattolici e un pochino di cristiani evangelici». «La Georgia è un paese cristiano, ma ortodosso, i cattolici sono pochi». L’Azerbaigian «è un paese che al 96, al 97% musulmano», e «i cattolici sono al massimo 600».

«E io vado lì per i cattolici, per andare alla periferia della comunità cattolica». «E’ proprio una periferia, è piccolina. Ho detto che mi faceva ricordare la comunità periferica di Gerusalemme, la Chiesa nel Cenacolo, aspettando lo Spirito Santo». «Sì, è piccola, non è perseguitata perché in Azerbaigian c’è un grande rispetto e una grande libertà religiosa». Questi Paesi caucasici «sono paesi periferici, come l’Albania e la Bosnia Erzegovina». «Io l’ho detto, la realtà si capisce meglio, si vede meglio dalle periferie che dal centro>. <Ma questo non toglie la possibilità di andare in un grande paese, come il Portogallo, la Francia».

Gianni Cardinale

© Avvenire, 3 ottobre 2016

 

Papa a Baku: religione autentica non usa Dio per imporre violenza

 

​L’incoraggiamento al «piccolo gregge» di cattolici a vivere la propria fede all’insegna del servizio. L’esortazione a superare le controversie internazionali – come quella con la vicina Armenia – con «il dialogo e il negoziato» e non attraverso «sanguinosi conflitti». Il grido «mai più violenza in nome di Dio!», perché Dio «non può giustificare nessuna forma di fondamentalismo». Sono questi alcune dei messaggi lanciati da Papa Francesco nella sua breve ma intensissima visita nell’Azerbaigian, paese a stragrande maggioranza islamica, ma istituzionalmente laico, dove i seguaci della Chiesa di Roma sono appena alcune centinaia.

Il successore di Pietro è giunto a Baku domenica mattina dopo i due giorni dedicati alla Georgia. Primo appuntamento la messa celebrata nella piccola chiesa dell’Immacolata. Ai cattolici presenti ha ricordato i due «aspetti essenziali» della vita cristiana: «la fede e il servizio». E ha spiegato che la fede «non va confusa con lo stare bene o col sentirsi bene», ma è «il filo d’oro che ci lega al Signore». E in questo la nostra parte è appunto il «servizio».

Fede e servizio insomma «non si possono separare» e sono intrecciati, ha sottolineato evocando una immagine cara ai popoli caucasici, come la trama e l’ordito di «un bel tappeto».

Tenendo presente che il servizio non è l’«essere ligi ai propri doveri» o «compiere qualche opera buona», ma offrire una «disponibilità totale, una vita piena a disposizione, senza calcoli e senza utili».

Dopo essersi fermato a pranzo con la piccola comunità salesiana, unica presenza di clero cattolico in Azerbaigian, il Papa si è recato nel palazzo presidenziale per la visita di cortesia al capo dello stato Ilham Aliev, in carica dal 2003 quando è succeduto al padre Heydar. Successivamente il vescovo di Roma ha tenuto un discorso nel moderno Centro Heydar Aliyev, dove si è svolto l’incontro con i rappresentanti delle istituzioni.

Prima di lui il presidente nel suo saluto ha lamentato l’occupazione armena della regione del Nagorno-Karabach che ha causato un milione di rifugiati azeri. Il Papa nel suo intervento non ha citato esplicitamente la questione, che è costata già una guerra. Ma dopo aver espresso «accoratamente» la sua «vicinanza a coloro che hanno dovuto lasciare la loro terra e alle tante persone che soffrono a causa di sanguinosi conflitti», ha auspicato che «la comunità internazionale sappia offrire con costanza il suo indispensabile aiuto» e ha rivolto « tutti l’invito a non lasciare nulla di intentato per giungere ad una soluzione soddisfacente«attraverso «l dialogo e il negoziato»

Parlando della situazione interna dell’Azerbaigian il pontefice si è detto particolarmente lieto per le cordiali relazioni che la comunità cattolica intrattiene con quella musulmana, quella ortodossa e quella ebraica. «Tali buone relazioni – ha aggiunto -rivestono un alto significato per la pacifica convivenza e per la pace nel mondo e mostrano che tra i fedeli di diverse confessioni religiose è possibile la cordialità dei rapporti, il rispetto e la cooperazione in vista del bene di tutti».

Infatti «l’attaccamento ai genuini valori religiosi è del tutto incompatibile con il tentativo di imporre con violenza agli altri le proprie visioni, facendosi scudo del santo nome di Dio». Questo concetto è stato ripreso anche nel corso dell’ultimo appuntamento in terra azera, la visita alla grande moschea “Heydar Aliyev” per l’incontro interreligioso.

Dio – ha ribadito il Pontefice – non può essere invocato per interesi di parte e per fini egoistici, non può giustificare alcuna forma di fondamentalismo, imperialismo o colonialismo>. <Ancora una volta – ha insistito – da questo luogo così significativo, sale il grido accorato: mai più violenza in nome di Dio!Dio – ha ribadito il Pontefice – non può essere invocato per interesi di parte e per fini egoistici, non può giustificare alcuna forma di fondamentalismo, imperialismo o colonialismo>. <Ancora una volta – ha insistito – da questo luogo così significativo, sale il grido accorato: mai più violenza in nome di Dio!».

Subito dopo questo suo ultimo discorso Papa Francesco e ripartito per Roma. Durante il volo si è tenuta la consueta conferenza stampa. Atterrato a Ciampino ha fatto ritorno in Vaticano.

Gianni Cardinale

© Avvenire, 3 ottobre 2016

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