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Ong, la caccia alle streghe contro chi salva vite umane

Dai rapporti con gli scafisti al rimpatrio in Libia: la verità sul clima di persecuzione contro le organizzazioni umanitarie

È una narrazione che cresce, si allarga, fino a diventare un vortice che fa perdere il senso reale delle cose. “Ong uguale migrazione clandestina” è l’equazione che - ormai da mesi - si insinua tra le pieghe della cronaca. Prima utilizzando i social e i canali usuali della fake news; poi accompagnando la campagna dell’ultra destra europea ‒ e italiana ‒ raggiungendo il culmine con l’operazione Defend Europe, raccontata nei dettagli da Famiglia cristiana. E ora entrando dalla porta principale dell’ufficialità, come un sottotesto dell’imposizione del codice di condotta da parte del ministro dell’Interno Minniti.

Il vortice mediatico si basa in buona parte su malintesi e vere e proprie false notizie. Qual è il ruolo delle Ong? Che regole hanno? Possono essere utilizzate in funzione anti clandestini ‒ l’agente armato a bordo questo suggerisce ‒ mentre compiono salvataggi in mare? È giusto portare i migranti sulle coste italiane?

Riportarli in Libia? Quest’ultimo punto è il più chiaro. Le persone salvate mentre tentano di attraversare il mare tra il nord Africa e l’Italia non possono essere trasferite in nessun caso in Libia. Lo ha stabilito con cristallina chiarezza la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 23 febbraio 2012 che si è espressa sul ricorso presentato da un gruppo di cittadini somali ed eritrei. Il 6 maggio del 2009 la Guardia costiera italiana soccorse a 35 miglia marine a sud di Lampedusa un barcone con circa 200 migranti a bordo. Erano soprattutto cittadini somali ed eritrei che fuggivano da un’area di guerra, tentando di raggiungere l’Europa. Furono tutti riportati a Tripoli, riconsegnati a quello che all’epoca era un governo legittimo, legato da un accordo firmato un anno prima dal governo guidato da Silvio Berlusconi. L’allora ministro dell’interno Roberto Maroni annunciò l’avvenuto rimpatrio con una conferenza stampa, spiegando che erano stati applicati patti bilaterali firmati pochi mesi prima. Un gruppo di rifugiati riuscì nei mesi successivi a presentare un ricorso alla Corte di Giustizia europea, che nel 2012 si è espressa condannando lo Stato italiano per violazione, tra l’altro, dell’articolo 3 della Convezione europea dei diritti dell’uomo, ovvero la norma contro la tortura. I magistrati di Strasburgo hanno accertato che almeno una parte di quei migranti erano stati sottoposti a trattamenti inumani una volta giunti a Tripoli. La Libia, inoltre, non garantiva le opportune tutele sul rispetto della stessa Convenzione, effettuando a sua volta dei rimpatri verso le zone di guerra di provenienza dei rifugiati.

Oggi la situazione libica è ancora più complessa e nessuno può garantire su un trattamento rispettoso dei diritti umani nei centri di detenzione della Tripolitania. L’eventuale consegna alla autorità libiche dei migranti soccorsi in mare ‒ pratica che l’organizzazione Generazione identitaria ha annunciato di voler effettuare qualora incontrasse dei naufraghi nella zona Sar (ricerca e salvataggio) ‒ sarebbe una palese violazione delle norme europee. Quella strada non è percorribile.

Ong amiche degli scafisti? Il 3 maggio scorso la commissione Schengen della Camera dei deputati - presieduta dalla forzista Laura Ravetto - ha audito il contrammiraglio delle Capitanerie di Porto Nicola Carlone.  I parlamentari da diversi mesi stavano approfondendo proprio la questione delle migrazioni via mare e il ruolo delle Ong, stimolati dalla pubblicazione di alcuni articoli riconducibili al think tank Gefira legato al filone culturale identitario, nemico giurato della migrazione e da una ricerca di un giovanissimo blogger, Luca Donadel, rilanciata da Striscia la notizia. La tesi - che circola dall’autunno del 2016 - era chiara: le Ong vanno a braccetto con gli scafisti.

L’alto ufficiale delle Capitanerie di Porto non ha avuto invece dubbi nell’escludere non solo una collaborazione diretta, ma anche una qualche forma di incentivazione della migrazione illegale derivante dall’attività delle Ong: «Tengo a precisare comunque che la presenza delle Ong non comporta quello che viene detto un fattore di attrazione, ma spesso non dà impulso alle partenze», ha spiegato nel corso della sua audizione. Portando dati che parlano con chiarezza: non è possibile correlare un incremento ‒ che in realtà non c’è ‒ con l’attività di salvataggio della Organizzazioni non governative. E aggiungendo per maggiore chiarezza: «In questi giorni abbiamo un tempo abbastanza tranquillo, ci sono diverse unità mercantili, Ong, militari, e non sta succedendo niente». L’aumento dei viaggi in mare, in altre parole, non può essere ricollegato alla presenza delle organizzazioni non governative nell’area Sar.

Anche sul tema delle operazioni di salvataggio effettuate entrando nelle acque territoriali libiche (altro punto chiave delle critiche alle organizzazioni non governative) il contrammiraglio Carlone è stato chiaro: «Questo per rifarmi ad alcuni eventi che sono stati presentati dai media, dove le unità Ong o mercantili o unità di soccorso sono entrate nelle acque territoriali ma, per quanto ci riguarda, fino ad ora tutte le unità che sono intervenute sono sempre state autorizzate, i casi sono sporadici, sono circa 16 nell’anno 2016, quindi nessuna unità è entrata autonomamente quand’era sotto il nostro coordinamento». Insomma nessun allarme in questo senso è arrivato dalla Guardia costiera, se vi sono stati degli sconfinamenti questi sarebbero stati sempre autorizzati dalla centrale di Roma.

Andrea Palladino
 
© www.famigliacristiana.it, martedì 8 agosto 2017
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