Sarah e l'adolescenza da custodire
Già donna? O ancora bambina? O, magari, una «ambigua» - aggettivo che  piace tanto - via di mezzo? Ancora  una volta il mondo dei grandi si  trova spiazzato di fronte ad una vita,  quella di Sarah, portatrice sana  di una condizione esistenziale  chiamata adolescenza. Condizione bella e  difficile, inafferrabile  armonia di alti e bassi, originalissima  miscela di codici condivisi e  rielaborazioni personali.
Presenti e sfuggenti, ora sorridenti ed entusiasti, un minuto dopo arrabbiati e aggressivi. Dolci come zucchero, poi amari come una brutta medicina. Troppa complessità per le rigide tassonomie della società occidentale in costante invecchiamento. E se lo zio di Sarah questa splendida età ha voluto distruggerla per possederla, la pubblica opinione continua senza dignità lo scempio dell’adolescenza con ardite psicologizzazioni da ascensore, sociologismi da caffè al bar, tautologie da enalotto.No, Sarah non ha colpe, né implicite né esplicite. Inutile che andiate a cercarle nelle sue relazioni, nella sua agendina, nei suoi pensieri, nelle sue risposte ad un retorico questionario scolastico. Non ha provocato nulla di quanto le è accaduto. Ha solo vissuto la sua età. Ha scoperto la sua bellezza come ogni ragazza di 15 anni. Si stava cimentando nella vita come tutte le sue coetanee. Provava a piacersi, e a piacere.
L’adoloscenza non ha le ombre inquietanti che cerchiamo per placare le nostre coscienze.
 L’unica imputata, insieme alla violenza sfrenata a spietata di un uomo  di 53 anni, è e resta la solitudine. La solitudine che fiorisce in un  mondo dove pochi, pochissimi, sanno leggere il senso vero di un  silenzio, di una smorfia, di una parola confusa, di una risposta  spiazzante, di un grido muto.
 Quanto male si eviterebbe se ci fossero persone in grado di piegare il  capo sui giovani cuori delle nostre città. Se ci fossero angeli che  aiutano i giovani cuori a battere con regolarità, a non nutrirsi di  improvvise accelerate e brusche frenate, angeli che i giovani cuori li  custodiscono, senza nutrire il desiderio di comprarli con la moneta  dell’illusione.
 La vicenda di Sarah ha sconvolto l’Italia. Ingessati dalla diretta tv  che ne annunciava con falsa pietà la morte alla madre, con un gesto  meccanico abbiamo portato la mano alla fronte. Potevamo pregare, fare  silenzio. Invece, in una sorta di inciucio collettivo, ci siamo messi  alla ricerca dei «lati oscuri», delle «dinamiche poco chiare». Appagati  dal «mostro» sollecitamente affibbiato allo zio, volevamo trovare un  aggettivo anche per Sarah, così da metterci sotto le coperte più sereni.  Niente da fare. Sarah era solo un’adolescente. La sua vita non si  presta a giudizi. Gli ospiti dei talk show possono solo passarsi bolle  di sapone. Non hanno il coraggio di dirsi l’unica cosa sensata: in casa,  in classe, per strada produciamo solitudini. Ne produciamo in  abbondanza, abbastanza perché uno zio 53enne si senta autorizzato a  violare un’esistenza, fingere dolore, mortificare un corpo.
Chiara, Marco, don Vito
© www.giovani.azionecattolica.it, 8 ottobre 2010
            