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Una Giornata mondiale da «testimoni»

Due sole idee. La prima. Occorre scoprire quale uso fanno i parrocchiani dei nuovi media; se usano la posta elettronica; se partecipano ai social network; basta un questionario... E subito dopo invitare i parrocchiani a mettersi in rete tra loro. La seconda. Grazie alla rete, offrire loro servizi.

Manifesto_gmcs10[1].jpgSe ci siete battete un colpo. E battetelo bene, gentili «Testimoni digitali» – pionieri Portaparola per primi – reduci del convegno romano o perché c’eravate fin dall’inizio, o perché presenti all’udienza nell’Aula Paolo VI il 24 aprile, o perché l’avete seguito da casa via web, o ancora semplicemente leggendo le quattro pagine giornaliere di cronache e commenti di Avvenire. C’eravate comunque. E adesso, subito, senza poter prendere fiato, è già il tempo della finale. Una finale, certamente.

Questa è la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali che si celebra domenica 16 maggio. È un’occasione che si presenta una volta sola all’anno; se non la perdiamo, può essere il big-bang che fa volare sull’onda dell’entusiasmo per un anno intero. Il primo problema? Noi sappiamo che è una finale. Noi. E i nostri parroci? Dove i Portaparola sono già attivi, non c’è problema. Ma – chiedendo scusa per la prima persona – nella parrocchia della cittadina del Nord dove l’anno scorso andavo a Messa alla domenica? Fatalità volle che la Giornata mondiale cadesse due domeniche dopo la Giornata diocesana di Avvenire. Il celebrante ignorò l’una e l’altra. La seconda volta andai in sacrestia a chiederne il motivo ed ebbi l’impressione che cascasse dalle nuvole. La risposta fu la solita: «Sa, con tutte le Giornate e tutti gli eventi e tutte le proposte... non possiamo certo seguire tutto». Ragionevole. Nel dubbio meglio non seguire niente, abbandonandosi docili al solito tran-tran pastorale. La prima cosa dunque è informare il parroco restio. Non per chiedergli di fare qualcosa in più, lui, ma di permettere a voi di fare qualcosa in più. Di nuovo. Qualcosa in sintonia con Benedetto XVI che il 24 aprile, per l’ennesima volta, ribadiva: «Il mondo delle comunicazioni sociali entri a pieno titolo nella programmazione pastorale». Nel Messaggio per la Giornata aveva scritto pure: «I nuovi media offrono ai presbìteri prospettive sempre nuove e pastoralmente sconfinate». Che sia quello 'sconfinate' a turbare gli animi? E allora, come impostare una finale? Di sicuro vanno evitate le esortazioni. Le parole di chi esorta suonano noiose. Semmai, in una finale bisogna stupire e sorprendere. Bisogna aver chiaro l’obiettivo: fare gol, che nel nostro caso significa far diventare la centralità dei media, la loro importanza nel plasmare e diffondere modelli di pensiero e stili di vita, e quindi la necessità di comprenderli e viverli con competenza, far diventare tutto ciò una consapevolezza diffusa, non limitata al cerchio degli appassionati. Vale per gli animatori della comunicazione e della cultura quanto per ogni altro profilo pastorale: gli animatori della carità richiamano la comunità al dovere della carità; quelli della liturgia aiutano a vivere meglio la liturgia; i Portaparola, i «testimoni digitali», devono essere contagiosi.

Due sole idee. La prima. Occorre scoprire quale uso fanno i parrocchiani dei nuovi media; se usano la posta elettronica; se partecipano ai social network; basta un questionario... E subito dopo invitare i parrocchiani a mettersi in rete tra loro. La seconda. Grazie alla rete, offrire loro servizi. Ad esempio, ogni settimana il film, lo spettacolo tv, il programma radio, la canzone, il sito e l’articolo di giornale da leggere assolutamente... e quello da evitare a ogni costo, motivando le vostre scelte. Ma questo si può fare, con la buona vecchia carta stampata, già tra undici giorni. Non esortare, dunque, ma offrire occasioni.

Suscitare il piacere della scoperta delle idee brillanti. Alimentare l’abilità critica. Il 16 maggio occupate il sagrato, erigete bacheche come barricate, squillate le trombe, fatevi vedere e sentire. È una finale, perbacco. Giocatevela fino in fondo.

Umberto Folena

© Avvenire, 5 maggio 2010