Arcivescovo

S.E. Giuseppe

Satriano

IN AGENDA

“Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8)

Relazione di don Gianni De Robertis all’incontro diocesano dei Ministri Straordinari della Comunione e degli altri operatori pastorali, svoltosi sabato 19 gennaio 2019 presso l’aula magna del Politecnico di Bari

Anzitutto desidero ringraziare padre Arcivescovo e padre Leonardo per questa occasione che hanno voluto darmi di parlare a voi che avete il compito così delicato di prendervi cura di quelle che sono le membra più deboli, più sofferenti, del Corpo di Cristo, e che proprio per questo, come ci ricorda San Paolo nella prima lettera ai Corinzi, devono essere circondate di maggiore cura:

“Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie; e quelle parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggior decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava, perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre” (1Cor 12,22-25).

Non solo prendervene cura voi, circondarle di onore, ma anche educare il popolo di Dio a farlo, a non dimenticarle, a fare loro visita, come ripetevo spesso ai Ministri della mia parrocchia.

Voi capite che per il servizio che mi trovo a svolgere da poco più di un anno, e che mi ha portato a viaggiare per quasi tutta l’Europa per trovare gli emigrati italiani, che sono tantissimi e vivono a volte le stesse discriminazioni che si trovano a vivere gli stranieri in Italia – viviamo nell’incubo dell’invasione, ma se c’è una emergenza oggi in Italia è piuttosto la fuga: nell’anno passato sono entrate in Italia con gli sbarchi 23.300 persone, nel 2017 erano usciti 128.000 italiani –; e per buona parte dell’Italia per vedere le condizioni in cui vivono immigrati e rifugiati e rom Voi capite che il mio pensiero non va solo agli infermi, ma a tutte le membra sofferenti di Cristo, a quelle più disprezzate, purtroppo a volte anche nelle nostre stesse comunità cristiane, come ha lamentato il Santo Padre proprio nel primo incontro a cui ho partecipato arrivando a Roma nel settembre 2017. Diceva a noi direttori europei:

“Cari fratelli e sorelle, non vi nascondo la mia preoccupazione di fronte ai segni di intolleranza, discriminazione e xenofobia che si riscontrano in diverse regioni d’Europa. Esse sono spesso motivate dalla diffidenza e dal timore verso l’altro, il diverso, lo straniero. Mi preoccupa ancor più la triste constatazione che le nostre comunità cattoliche in Europa non sono esenti da queste reazioni di difesa e rigetto, giustificate da un non meglio specificato ‘dovere morale’ di conservare l’identità culturale e religiosa originaria”.

Anche le nostre comunità cristiane sono vittime di una propaganda che distorce la realtà per motivi elettorali e stigmatizza lo straniero come extracomunitario, violento, terrorista, approfittatore.

Dunque grazie di questa occasione per condividere con voi qualche riflessione a partire da una parola di Gesù – gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date – che costituisce il tema della XXVII Giornata del malato, e che si trova in quello che viene detto il Discorso Apostolico, o missionario di Matteo. Si tratta del secondo dei 5 discorsi nei quali Matteo ha raccolto le parole di Gesù, che occupa tutto il capitolo 10.

Il capitolo si apre con la chiamata dei dodici, ai quali viene consegnato un potere (v.1). La logica di questa chiamata è difficilmente comprensibile (“Chiamò a sé quelli che egli volle”, scrive Marco), si tratta di una scelta gratuita.

 

Affonda però le sue radici in quanto è raccontato nei versetti immediatamente precedenti (9,35-38); nella compassione di Gesù davanti alle folle che ai suoi occhi appaiono come pecore senza pastore. Si tratta di un verbo estremamente pregnante (splanghizomai), che la Scrittura attribuisce sempre a Dio o a Gesù (Lc 7;15; 10). È quanto prova il samaritano per l’uomo lasciato mezzo morto dai briganti, che lo spinge a farsi prossimo, e che invece non provano il sacerdote e il levita della parabola, che passano oltre, non si avvicinano, forse per paura, o perché avevano da adempiere il loro servizio religioso, un servizio religioso che è altro dal prendersi cura dell’uomo ferito.

È da questa compassione di Gesù per le membra più deboli del suo popolo che nasce il nostro ministero – è un dono fatto a te ma non per te! E per viverlo, abbiamo bisogno di essere partecipi anche noi di questa compassione. Per questo Gesù esorta i suoi discepoli non immediatamente ad andare, ma a pregare, a chiedere un cuore di carne, partecipe dei suoi sentimenti di amore. Quanto sta accadendo in Italia e nel mondo, ha la sua ragione ultima nel venir meno dell’Amore (don Tonino).

Dopo averli chiamati e prima di inviarli, Gesù istruisce i dodici (10,5). Fra queste istruzioni c’è la Parola che vogliamo meditare: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”.

È interessante che anzitutto Gesù ci invita a fare memoria di ciò che abbiamo ricevuto in dono. Non è possibile essere apostoli di Gesù, dare gratuitamente, se non siamo consapevoli di avere gratuitamente ricevuto, senza nessun nostro merito. Noi siamo il discepolo che Gesù amava. C’è un legame profondo fra l’essere stati amati e perdonati gratuitamente, e la capacità a nostra volta di amare con gratuità (la peccatrice perdonata, Zaccheo, lo stesso Pietro, ecc.). Egli ha guardato l’umiltà (tapeinosis) della sua serva, come canta Maria. E Mosè ricorda al popolo che sta per entrare nella terra promessa: “Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi degli altri popoli – siete infatti il più piccolo di tutti i popoli –, ma perché il Signore vi ama e perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri” (Deut 7,7-8).

Il peccato trova la sua radice nel dimenticare che tutto ciò che abbiamo, l’abbiamo ricevuto (1Cor 4,7) e nel volerci sentire proprietari di ciò che invece ci è stato donato (Deut 8,12-20). Mi impressiona sempre sentire quelli che rivendicano l’Italia come ‘casa nostra’…dimenticando che siamo tutti stranieri e pellegrini su questa terra, e tutto quello che abbiamo rubato e continuiamo a rubare a ‘casa loro’.

Il ministero che abbiamo ricevuto non può diventare un titolo di vanto. Quando ci viene tolto, non dovremmo dispiacercene più che se ci venisse tolto di pulire i cessi in comunità, scrive Francesco di Assisi. Il desiderio di primeggiare distrugge le comunità!

Segue il comando di Gesù di dare gratuitamente, a chi non potrà mai ricambiare (Lc 14,12-14), senza aspettarsi nessuna ricompensa, anche solo quella dell’ammirazione altrui (Mt 6,1). Allora il nostro agire, la nostra vita, rivelerà qualcosa dell’agire di Dio, saremo veramente figli dell’Altissimo (Mt 5,43-48). È questo l’amore che salva, il dono che riscalda non solo il corpo ma il cuore. È a questo dono che dobbiamo educarci, non a gesti di carità che non costano niente (suor Rita Giarretta, che porta maglioni nuovi alle prostitute. Le sigarette date ai ragazzi del carcere).

Concludo con alcune parole di mons. Mario Delpini pronunciate il 7 dicembre 2017, in cui commenta l’ultimo brano che abbiamo letto… Anche noi siamo chiamati a compiere qualcosa di straordinario (è nel vostro nome!), che consisterà … in un sorriso allo ‘straniero’.

 

Don Gianni De Robertis,

direttore generale della Fondazione “Migrantes”

Prossimi eventi