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“Ho udito il suo lamento. In ascolto dei sofferenti”

Omelia di S.E. Mons. Giuseppe Satriano, Arcivescovo di Bari-Bitonto nella S. Messa trasmessa su Rai1 della VI Domenica di Pasqua. Cattedrale di Bari, 14 maggio 2023

Letture: At. 8,5-8.14-17; Sal. 65; 1 Pt. 3,15-18; Gv. 14, 15-21

 

In questi giorni stiamo vivendo, qui a Bari, il Convegno Nazionale della Pastorale per la Salute organizzato dalla Conferenza Episcopale Italiana dal tema “Ho udito il suo lamento. In ascolto dei sofferenti”.

È uno spazio di confronto, un’opportunità di grazia per mettersi in ascolto di domande di senso per troppo tempo invase, ma che restituiscono orizzonte al vivere la relazione con il mondo dei sofferenti.

Anche l’odierna Liturgia ci aiuta, con la forza coinvolgente della Parola, nella luce della Pasqua, a contemplare e assaporare l’atteggiamento con cui il Cristo si accosta ai suoi, disorientati e addolorati per la sua dipartita ormai prossima.

Giovanni presenta Gesù e il suo discorso di addio e, non servendosi di sinonimi o di termini diversi, deliberatamente, insiste con la parola ‘amore’, nella sua forma più alta e sublime: agape.

È un invito pressante che ha il sapore di un testamento.

Il Maestro sembra ascoltare il lamento, lo smarrimento profondo dei suoi, e nell’intento di rassicurarli promette il dono di “un altro Paràclito”.

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Paràclito è il nome con cui viene indicato il dono dello Spirito.

Paràclito è un’altra manifestazione concreta dell’amore che consola, che non lascia orfani.

Egli si fa compagno del nostro viaggio esistenziale e, soprattutto, si mette accanto alle ferite del vivere.

Gesù ci offre parole di una tenerezza infinita. Egli sa che sta per andare incontro alla morte e anziché farsi consolare, è Lui che consola. Non soltanto noi non possiamo più vivere senza di lui, ma anche lui, ormai, non riesce a stare lontano da noi.

La struggente dolcezza con cui egli ripete la parola “amore” diviene appello a una vita che impari a lasciarsi amare da Dio e in Lui si radichi.

Un impegno autentico e generoso nella storia, che apra i cuori e l’esistenza del mondo al futuro, profumandolo di speranza.

La vita del Cristo, lungi dall’essere una mera filosofia esistenziale o un esercizio morale costellato di rinunce, è un viaggio affianco all’uomo.

Anche il brano di Atti vede Filippo farsi vicino a tanti e compiere il prodigio della prossimità, possibile solo quando si entra nella vita dell’altro amandolo per quello che è.

Nelle ombre, che spesso caratterizzano il nostro esistere, lo Spirito irrompe per farci danzare il vivere come fiducia nell’amore di Dio.

Desidero raccontarvi una storia:

“In un radioso mattino un piccolo ragno decise di costruire la sua tela. Girovagò a lungo ai margini del bosco, salì su un alto albero, poi si calò giù attaccandosi ad un filo lucente che veniva giù dal cielo, e si posò su una siepe di rose, impreziosita dalla brina del mattino.

Cominciò a costruire la sua tela lasciando che il filo, lungo il quale era disceso, reggesse il lembo superiore di tutto l’impianto.

Realizzò un’opera bella e grande, slanciata verso l’alto, tanto da scomparire nell’azzurro del cielo.

Gli animaletti che passavano di lì si complimentarono con il ragno: la sua tela scintillava alle prime luci del mattino. Egli ne era fiero e orgoglioso.

Una mattina si svegliò di pessimo umore e così decise di fare un giro d’ispezione sulla tela.

Controllò ogni angolo, tirò ogni filo, rimise tutto in ordine, finché notò nella parte superiore della rete il filo teso verso l’alto, di cui non ricordava la funzione e nemmeno l’esistenza. Quel filo non andava da nessuna parte.

Il ragno si rizzò sulle zampette e, non riuscendo a capire dove andasse a finire, si disse: «A cosa serve questo stupido filo, via i fili inutili!».

Un colpo di mandibole e... patatrac, tutto gli rovinò addosso e scivolò per terra, nel fango creato dalla brina mattutina.

Era bastato un solo istante per distruggere una magnifica opera.

Grande fu lo stupore quando, alzando il capo, si accorse che il filo era ancora lì pronto a riaccogliere la sua tela.

Miei cari il messaggio è chiaro, non c’è parte di noi inaccessibile all’amore di Dio, non c’è angolo in cui la luce del suo perdono non possa giungere, non c’è piega, né piaga che la sua misericordia non possa fasciare e curare.

Su questa certezza si fonda la nostra speranza, dono grande del quale, come ha affermato Pietro nella prima lettura, dobbiamo rendere ragione.

La speranza, infatti, quando c’è, non si nasconde, trasfigura il volto, dona luce allo sguardo e possiede il calore e la delicatezza di una mano amica che sa accarezzare e accompagnare.

Giuseppe Satriano, Arcivescovo di Bari-Bitonto

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