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“Se tratteniamo solo per noi il ricordo delle persone amate, finiamo per morire di malinconia…”

«Accade anche a noi – a volte – di stare incantati come i discepoli al momento dell’ascensione di Gesù al cielo. Incantati nel ricordo di una persona amata che non c'è più, e che tuttavia vorremmo ancora avere vicino a noi; oppure incantati nel ricordo di quei momenti belli della vita in cui abbiamo conosciuto una consolazione, una certezza, una promessa» (don E. Dotto).

Il 30 marzo e il 2 aprile del 2009 salivano al cielo rispettivamente don Tonino Ladisa e don Vito Marotta.

Due sacerdoti, due uomini di grandi capacità umane, intellettuali e spirituali che hanno fondato il loro impegno pastorale nel discernimento spirituale, nella cura delle relazioni e l'attenzione alle persone.

Due uomini, due sacerdoti con una dote in comune: il sorriso, genuino, semplice, spiazzante.

Mons. Vito Angiuli così ricordava don Tonino il giorno delle sue esequie: «della tua esistenza possiamo evidenziare qualche gemma luminosa. Hai trattato tutti con uno stile di soave leggerezza e accattivante levità, rendendo tutto più facile, più spontaneo, più gioioso […] Hai sempre lavorato senza sosta, senza risparmio di energie, con gratuità e generosità […] Hai vissuto la tua responsabilità pastorale con intelligenza e creati­vità».

Ordinato presbitero il 6 febbraio del 1977, soprattutto nel campo vocazionale don Tonino ha espresso il meglio di sé: come educa­tore, padre spirituale rettore, direttore del CDV.

Ha vissuto la sua responsabilità pastorale con intelligenza e creati­vità anche nella guida della comunità parrocchiale della Cattedrale; come assistente di Azione Cattolica; nella conduzione dell’Ufficio diocesano per il laicato e nella presenza incisi­va nel Capitolo Metropolitano.

Alla Chiesa di Bari-Bitonto, ma anche oltre i confini di questa comunità diocesana, ha donato versi di una dolce raffinata poesia, per cantare con fede al Signore durante la celebrazione litur­gica, soprattutto per intonare lodi mariane e canti eucaristici, degni del mistero celebrato.

Don Vito Marotta, inguaribile ottimista, sempre pronto al sorriso, ha messo al servizio di Dio e della Chiesa diocesana le sue doti e competenze di comunicatore. Uomo di carità, sempre attento ai bisogni delle persone, don Vito cercava in ogni uomo il volto di Dio, instancabilmente.

Nel dicembre del 1977 moriva il vica­rio parrocchiale della parrocchia S. Maria Maggiore di Gioia don Vito Palumbo e l’ar­civescovo Magrassi, ai funerali, invitava qualcuno dei giovani a pren­derne il posto. Un giovane studente di Medicina, Vito Marotta, si presentò dopo un po’ di tempo da mons. Magrassi dicendosi pronto a entrare in seminario per sostituire don Vito che era stato suo educatore. Verrà ordinato presbitero il 17 ottobre del 1985.

È stato direttore dell’Ufficio Comunicazioni Sociali per la nostra arcidiocesi dal 1989 e incaricato regionale dello stesso ufficio per la Conferenza Episcopale Pugliese, direttore responsabi­le del Bollettino diocesano “L’Odegitria” e del “Notiziario diocesano”, ha fondato la scuola diocesana di comuni­cazione. Giornalista pubblicista, presidente regionale e consigliere nazionale della Unione Cattolica Stampa Italiana, è stato per anni collaboratore de “La Gazzetta del Mezzogiorno” per la quale segui­va la rubrica “Dal pulpito”.

Ma era la parrocchia la sua “famiglia allargata”: chiamava i bambini per nome, li ricordava tutti. Preziosi i suoi consigli ai catechisti durante la catechesi. Comunicatore istintivo, ricorreva spesso a cineforum o alla filmografia più diffusa per ricavarne metafore ed insegnamenti valoriali ed etici, “vicinissimi” al Vangelo.

Don Vito non aveva dubbi: un buon pastore deve radunare il suo gregge, non esitava, quindi, ad andar di casa in casa e con il suo sorriso fanciullesco, conquistare la fiducia dei parrocchiani. Così lo ricordano i parrocchiani di Modugno, Loseto, Bitritto.

“Vorrei essere /volto di Dio”, scriveva don Vito, … “vorrei essere/pane spezzato”.

«Anche la sua malattia - sono le parole dell’amico di sempre, don Biagio Lavarra, “di fanciullezza, di giovinezza, di età matura e spe­riamo di vecchiaia...” (come scriveva don Vito) - è stata vissuta un po’ all’insegna del “dimentico di me stesso per correre verso la meta”. Nonostante la sua infermità ha continuato a programmare le attività pastorali, come un film a diversi tempi. Le ultime scene, senza di lui, le ha lasciate a noi, consegnandoci nella sintesi della sua vita sacerdotale, “donarsi sempre agli altri”, un canovaccio d’a­more da seguire nel suo ricordo».

Come afferma nel sottotitolo di una sua poesia riguar­dante l’essere sacerdote, per don Vito «la missione di ognuno di noi è rispettare il volere di Dio».

Sappiamo bene a distanza di cinque anni dalla sua morte quanto sia stato fino in fondo “volto di Dio” con quel suo sorriso onnipresente, anche nel dispiacere (Enzo Quarto).

Don Tonino, don Vito, due uomini, due sacerdoti che a distanza di anni dalla loro nascita al cielo ricordiamo con nostalgia sentendone la mancanza.

Ma «se tratteniamo solo per noi il ricordo delle persone amate scomparse e dei momenti belli passati finiamo per morire nella malinconia. Se invece a partire dalla memoria grata e gioiosa del bene ricevuto siamo capaci di guardare avanti, allora possiamo ricevere e donare un futuro promettente, un futuro carico di speranza» (don E. Dotto).

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