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Ambiente. La Giornata (più vera) della Terra

Oggi il 50° dell’evento dedicato al pianeta che ora appare vittima dell’umanità predatrice. La pandemia sintomo del mancato rispetto dell’interdipendenza tra gli esseri umani e le altre specie viventi

Fin dall’inizio, esattamente mezzo secolo fa negli Stati Uniti, venne chiamata Giornata della Terra (Earth Day), divenendo un simbolo forte dell’impegno ecologista nascente. Poi, nel 2009, l’Onu ha integrato il 22 aprile nella propria agenda ufficiale, denominandolo Giornata mondiale della Madre Terra (International Mother Earth Day). Adesso, in piena pandemia planetaria, l’odierna edizione del cinquantenario potrebbe essere un nuovo punto di svolta: dopo una simile crisi, quanti potranno ancora vedere la Terra solo come un “vascello spaziale” inerte su cui siamo imbarcati? Nel 2009, anno segnato dall’attesa e poi dal cocente fallimento della Cop15 di Copenaghen, l’Onu giustificò la propria denominazione dagli accenti non molto scientifici spiegando che «riflette l’interdipendenza che esiste fra gli esseri umani, le altre specie viventi e il pianeta che tutti abitiamo ». Almeno a parole, dunque, il superamento e la messa al bando della concezione di un’umanità predatrice di risorse e convinta di potersi comportare da free rider, vivendo senza pagare mai biglietti. Ma l’edizione celebrata oggi nel mondo giunge pure 5 anni dopo l’Enciclica Laudato si’ di Francesco, che sarà evocata o letta in numerosi contesti.


Annullati gli incontri che riuniscono normalmente un miliardo di persone in 193 Paesi.
Ma potrebbe servire paradossalmente a comprendere meglio il mondo e i suoi fragili equilibri attraverso forum e collegamenti online

Non a caso, le celebrazioni partiranno in Italia con una dedica speciale a papa Francesco. Anche ben al di là della cristianità, l’enciclica appare già come una pietra miliare, con un vasto favore riscosso pure negli ambienti diplomatici, intellettuali e scientifici. Di quell’“interdipendenza” planetaria evidenziata dall’Onu, troppo a lungo comodamente interpretata da certi Paesi solo in chiave economica, adesso l’umanità confinata scopre altre dimensioni già additate da decenni dalla comu- nità scientifica ed ecologista. Quest’anno, certo, sono stati annullati molti dei consueti eventi all’aperto, coordinati dall’Earth Day Network, che abitualmente riuniscono circa 1 miliardo di persone in 193 Paesi. Ma potrebbe essere paradossalmente l’occasione giusta per comprendere più che mai la Terra e i suoi fragili equilibri. Attraverso forum, dirette, non stop su radio e tv, in rete e sui social, si esploreranno pure meglio i sentieri futuri ispirati dalla riflessione sulla Madre Terra. Tenendo presente ad esempio che accanto all’umanesimo cristiano risuonato nel cuore dei lettori della Laudato si’, avanzano pure tesi apertamente disfattiste presso parti non più trascurabili dell’ecologia politica internazionale, anche seguendo la controversa “Ipotesi Gaia” lanciata negli anni Settanta dall’ecologo britannico James Lovelock e dalla microbiologa statunitense Lynn Margulis: l’idea (difficilmente dimostrabile in modo rigoroso) che da sempre siano gli organismi viventi nel loro insieme a tenere e condividere le redini dei parametri essenziali degli habitat terrestri, come temperature, composizioni chimiche, ossidazione, acidità.


Questa edizione giunge cinque anni dopo l’Enciclica Laudato si’ di Francesco, che sarà evocata o letta in numerosi contesti Non a caso, le celebrazioni partono in Italia con una dedica speciale al Papa La speranza: uscire da questa emergenza pronti a fare meglio

Ma una volta ipotizzato questo “pianeta vivente” in senso estremamente forte ed organico, gli eccessi dell’Antropocene (massimo impatto odierno dell’uomo) rischiano di apparire fuori dalla portata di ogni tentativo di correzione umana, suscitando persino una sorta di spleen paralizzante. Non tutti la pensano così, certo. Prima di essere ricoverato a causa del coronavirus e poi dimesso, il filosofo francese della scienza Bruno Latour ha ad esempio lanciato un messaggio all’insegna della speranza, intitolato: «Immaginare i gesti-barriera contro il ritorno della produzione della pre-crisi». L’idea, insomma, che l’umanità potrebbe uscire dalla pandemia ben più consapevole dei delicati equilibri terrestri, preparandosi a fare meglio. La giornata di oggi sarà forse un’occasione unica per approfondire proprio il dialogo trasversale fra chi, anche al di fuori della cristianità, continua a coltivare la speranza di una Terra migliore, e chi rischia più che mai di lasciarsi sommergere dalla rassegnazione, più o meno influenzato dalle concezioni e ipotesi ecologiche più estreme. 'Dobbiamo agire in modo decisivo per proteggere il nostro pianeta tanto dal coronavirus, quanto dalla minaccia esistenziale dello smembramento climatico', ha già lanciato il portoghese António Guterres, Segretario generale dell’Onu. Parole che fanno riferimento anche ai 17 obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’Onu, ovvero la strada pragmatica più autorevole disegnata finora assieme dalla comunità internazionale.

Daniele Zappalà, Parigi

© Avvenire, mercoledì 22 aprile 2020