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«Anche oggi, come ai tempi di San Paolo, nella Chiesa ci sono i fondamentalisti»

Francesco all’udienza generale: «Anche l’Apostolo quando annunciava che in Cristo non c’era più giudeo o pagano fu attaccato da chi sosteneva che avesse preso questa posizione per opportunismo pastorale e per “piacere a tutti”. È lo stesso discorso dei fondamentalisti di oggi». E avverte: «Quanti errori sono stati compiuti nella storia dell’evangelizzazione volendo imporre un solo modello culturale»

«Sono tante le tentazioni di voler imporre il proprio modello di vita come se fosse il più evoluto e il più appetibile. Quanti errori sono stati compiuti nella storia dell’evangelizzazione volendo imporre un solo modello culturale! La uniformità come regola di vita non è cristiano! L’unità sì, l’uniformità no! A volte, non si è rinunciato neppure alla violenza pur di far prevalere il proprio punto di vista».

È il richiamo di papa Francesco che all’udienza generale nell’Aula Nervi prosegue la sua catechesi sulla Lettera ai Galati di Paolo soffermandosi sul concetto di libertà dell’Apostolo: «Con la morte e risurrezione di Gesù Cristo, siamo stati liberati dalla schiavitù del peccato e della morte», spiega, «siamo liberi perché siamo stati liberati, liberati per grazia – non per pagamento -, liberati dall’amore, che diventa la legge somma e nuova della vita cristiana. L’amore: noi siamo liberi perché siamo stati liberati gratuitamente. Questo è appunto il punto chiave».

Francesco ricorda che «questa novità di vita» ci apre ad «accogliere ogni popolo e cultura e nello stesso tempo apra ogni popolo e cultura a una libertà più grande. San Paolo infatti dice che per chi aderisce a Cristo non conta più essere giudeo o pagano. Conta solo “la fede che si rende operosa per mezzo della carità”, Credere che siamo stati liberati e credere in Gesù Cristo che ci ha liberati: questa è la fede operosa per la carità».

Il Papa definisce questi «detrattori di Paolo» come «fondamentalisti che erano arrivati lì, lo attaccavano per questa novità, sostenendo che egli avesse preso questa posizione per opportunismo pastorale, cioè per “piacere a tutti”, minimizzando le esigenze ricevute dalla sua più stretta tradizione religiosa. È lo stesso discorso», rimarca Bergoglio, «dei fondamentalisti d’oggi: la storia si ripete sempre. Come si vede, la critica nei confronti di ogni novità evangelica non è solo dei nostri giorni, ma ha una lunga storia alle spalle».

Paolo, sottolinea il Papa, «non rimane in silenzio. Risponde con parresia - è una parola greca che indica coraggio, forza – e dice: “È forse il consenso degli uomini che cerco, oppure quello di Dio? O cerco di piacere agli uomini? Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servitore di Cristo!”. Già nella sua prima Lettera ai Tessalonicesi si era espresso in termini simili, dicendo che nella sua predicazione non aveva mai usato “parole di adulazione, né […] avuto intenzioni di cupidigia […]. E neppure […] cercato la gloria umana”, che sono le strade del “far finta di”; una fede che non è fede, è mondanità».

Francesco sottolinea che il pensiero di Paolo si dimostra di una “profondità ispirata”: «Accogliere la fede comporta per lui rinunciare non al cuore delle culture e delle tradizioni, ma solo a ciò che può ostacolare la novità e la purezza del Vangelo», avverte, «perché la libertà ottenutaci dalla morte e risurrezione del Signore non entra in conflitto con le culture, con le tradizioni che abbiamo ricevuto, ma anzi immette in esse una libertà nuova, una novità liberante, quella del Vangelo. La liberazione ottenuta con il battesimo, infatti, ci permette di acquisire la piena dignità di figli di Dio, così che, mentre rimaniamo ben innestati nelle nostre radici culturali, al tempo stesso ci apriamo all’universalismo della fede che entra in ogni cultura, ne riconosce i germi di verità presenti e li sviluppa portando a pienezza il bene contenuto in esse. Accettare che noi siamo stati liberati da Cristo – la sua passione, la sua morte, la sua resurrezione – è accettare e portare la pienezza anche alle diverse tradizioni di ogni popolo. La vera pienezza».

Francesco sottolinea che «nella chiamata alla libertà scopriamo il vero senso dell’inculturazione del Vangelo». E ricorda che nel corso della storia «non si è rinunciato neppure alla violenza pur di far prevalere il proprio punto di vista. Pensiamo alle guerre. In questo modo, si è privata la Chiesa della ricchezza di tante espressioni locali che portano con sé la tradizione culturale di intere popolazioni. Ma questo è l’esatto contrario della libertà cristiana! Per esempio, mi viene in mente quando si è affermato il modo di fare apostolato in Cina con padre Ricci o nell’India con padre De Nobili. … [Qualcuno diceva]: “E no, questo non è cristiano!”. Sì, è cristiano, sta nella cultura del popolo».

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I fedeli all'udienza generale in Aula Nervi (foto Ansa)

Il Papa sottolinea che la «visione della libertà propria di Paolo è tutta illuminata e fecondata dal mistero di Cristo, che nella sua incarnazione – ricorda il Concilio Vaticano II – si è unito in certo modo ad ogni uomo. E questo», aggiunge, «vuol dire che non c’è uniformità, c’è invece la varietà, ma varietà unita. Da qui deriva il dovere di rispettare la provenienza culturale di ogni persona, inserendola in uno spazio di libertà che non sia ristretto da alcuna imposizione dettata da una sola cultura predominante. È questo il senso di dirci cattolici, di parlare di Chiesa cattolica: non è una denominazione sociologica per distinguerci da altri cristiani. Cattolico è un aggettivo che significa universale: la cattolicità, la universalità. Chiesa universale, cioè cattolica, vuol dire vuol dire che la Chiesa ha in sé, nella sua stessa natura, l’apertura a tutti i popoli e le culture di ogni tempo, perché Cristo è nato, morto e risorto per tutti».

Francesco ricorda che «la cultura è per sua stessa natura in continua trasformazione. Si pensi a come siamo chiamati ad annunciare il Vangelo in questo momento storico di grande cambiamento culturale, dove una tecnologia sempre più avanzata sembra avere il predominio. Se dovessimo pretendere di parlare della fede come si faceva nei secoli passati», nota il Papa, «rischieremmo di non essere più compresi dalle nuove generazioni. La libertà della fede cristiana – la libertà cristiana - non indica una visione statica della vita e della cultura, ma una visione dinamica, una visione dinamica anche della tradizione. La tradizione cresce ma sempre con la stessa natura. Non pretendiamo, pertanto, di avere il possesso della libertà. Abbiamo ricevuto un dono da custodire».

Bergoglio conclude affermando che è proprio la libertà che «chiede a ciascuno di essere in un costante cammino, orientati verso la sua pienezza. È la condizione di pellegrini; è lo stato di viandanti, in un continuo esodo: liberati dalla schiavitù per camminare verso la pienezza della libertà. E questo è il grande dono che ci ha dato Gesù Cristo. Il Signore ci ha liberato dalla schiavitù gratuitamente e ci ha messo sulla strada per camminare nella piena libertà».

Dopo la catechesi, il Papa ha salutato i pellegrini in varie lingue. Rivolgendosi ai fedeli polacchi ha ricordato che questa settimana ricorrono l’anniversario dell’elezione di San Giovanni Paolo II (16 ottobre 1978) e le memorie liturgiche di San Giovanni XXIII, Santa Teresa d’Ávila e Sant’Edvige di Slesia: «Le loro vite sono chiari esempi di libertà cristiana. L’esperienza di questi Santi vi ricordi che non esiste libertà senza responsabilità e senza amore per la verità. E la più grande realizzazione della libertà è la carità, che si concretizza nel servizio».

Infine, nei saluti ai pellegrini italiani si è rivolto, tra gli altri, alle «Suore Scalabriniane, che partecipano ad un corso di formazione, e le esorto ad essere generose testimoni di accoglienza e di fraternità. Voi che lavorate tanto con i migranti, continuate così. Brave!», ha detto il Papa.

Antonio Sanfrancesco

© www.famigliacristiana.it, mercoledì 13 ottobre 2021

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