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Anticipazione. I poveri, il valore non negoziabile del Papa

Un libro a più voci a cura di Andrea Riccardi analizza il pontificato di Bergoglio. Ecco la postfazione dello storico Agostino Giovagnoli

Come scrive Charles Maier, la globalizzazione spinge verso una separazione sempre più netta tra spazio geografico e spazio dell’identità. Anche l’istituzione ecclesiastica ha cominciato progressivamente a «deterritorializzarsi». Negli ultimi decenni del Novecento, in particolare, la Chiesa latino-americana ha cominciato a riflettere e a operare in questo senso [...]. Nella Chiesa latino-americana sono infatti cresciute la consapevolezza che tanti uomini e donne non si ritrovano nello «spazio parrocchiale» e l’urgenza di raggiungerli là dove vivono veramente. Il problema è avvertito con particolare intensità nelle megalopoli del XXI secolo, realtà cruciale in America Latina sebbene presente anche altrove, specialmente in Asia. Ad Aparecida, la V conferenza del Celam ha tirato le fila di una «teologia della città» lungamente elaborata nei decenni precedenti e messo a fuoco la sua realizzazione nelle metropoli moderne plasmate dalla globalizzazione. Benjamin Bravo spiega che, nelle megalopoli sudamericane, i luoghi dove veramente si svolge la vita di tanti – o dove almeno si collocano i momenti più importanti di molte esistenze individuali – sono spesso « luoghi della cultura » , nel senso di spazi o reti sociali dove specifiche culture o subculture svolgono una funzione aggregante: la cultura dei giovani, quella tecnicoscientifica, quella della religiosità popolare ecc.

Ed è decisivo che la Chiesa entri all’interno di tali «luoghi culturali» per raggiungere gli uomini e le donne che li popolano. Proprio in una di queste megalopoli, Jorge Bergoglio ha maturato un’importante esperienza pastorale. A Buenos Aires ha vissuto direttamente la realtà di una grande città globale e qui ha iniziato quel dialogo ecumenico e quegli incontri interreligiosi poi continuati durante il suo pontificato. Sempre qui ha maturato la consapevolezza della varietà culturale che caratterizza i tessuti urbani contemporanei e l’esigenza del dialogo interculturale che ne scaturisce. Sono entrambi presupposti della «cultura dell’incontro» su cui Francesco ha più volte insistito. A Buenos Aires, in particolare, ha conosciuto intensamente la realtà di una grande periferia urbana: quando era arcivescovo della capitale argentina ha frequen- tato assiduamente le villa miseria e i loro abitanti, celebrando in mezzo a loro l’eucaristia in posti di grande povertà. Periferie, poveri, popoli: questi temi sono stati al centro della sua riflessione prima di diventare papa e hanno poi assunto un rilievo cruciale nel suo pontificato [...].

Il tema dei poveri è stato sviluppato da Francesco nell’Evangelii gaudium in due prospettive complementari: da una parte, con un approccio economico e sociale che denuncia le cause strutturali della povertà; dal-l’altra, con un approccio culturale e storico che guarda ai poveri come gli scartati e gli esclusi e li considera dal punto di vista teologico. Ispirandosi alla visione biblica del povero, nell’esortazione programmatica di questo pontificato viene sviluppata una riflessione teologica e pastorale sul rapporto con i poveri, non come un problema che riguarda l’etica ma come una questione che interessa la dottrina: «Per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica» [...]. Sottolineandone l’appartenenza alla « dottrina », questo papa ha fatto dell’opzione per i poveri un elemento cruciale del suo pontificato. Ha respinto, in questo modo, la tendenza a ideologizzare l’opzione per i poveri, come è avvenuto non solo in alcune correnti della teologia della liberazione o del cattolicesimo «progressista» ma anche – in modo specularmente contrario – negli ambienti che insistono sulla conservazione dei valori tradizionali (per Francesco, si potrebbe dire, sono i poveri il «valore non negoziabile »).

Le conseguenze di questa scelta investono tutta la vita della Chiesa e la sua stessa architettura: i poveri devono passare dai margini al centro, poiché le periferie sono il futuro della Chiesa. Si tratta di un elemento cruciale per sostituire l’istituzione post- tridentina, per uscire dalla Chiesapalazzo stabilmente collocata al centro della città in età moderna ed edificare una Chiesa- tenda che si muova nelle periferie delle grandi megalopoli contemporanee [...]. Questo papa è convinto che sarà la sensibilità verso i poveri a determinare il futuro dell’umanità, come emerge ad esempio dalla Laudato si’. Nella sua visione, le periferie devono diventare una priorità non solo per la Chiesa ma per tutti: abbandonare una visione dei problemi a partire dal centro è una necessità anche per la politica, l’economia, la cultura. Affermando l’importanza delle periferie, Francesco ha proposto una interpretazione pastorale, evangelica, cristiana di un vasto processo storico in atto nel mondo contemporaneo. Quello del XXI secolo è un mondo di periferie e i suoi abitanti, in qualche modo, anticipano un futuro che è sempre più diffuso.

Agostino Giovagnoli

© Avvenire, giovedì 22 febbraio 2018

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