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Arte e sacro. Vedere e sentire il dolore di Gesù: così fiorì il Compianto su Cristo

Un volume studia l’iconografia e ai numerosi casi tra Lombardia e Piemonte di un tema centrale nella svolta dal Medioevo all’Età Moderna, anche per l’influenza di domenicani e francescani

Una delle composizioni iconografiche più teatrali, ma anche più devote, del repertorio cristiano è il Compianto su Cristo morto. Il corpo di Gesù, deposto dalla croce, giace a terra mentre una corona di piangenti gli stanno attorno: la Madonna, san Giovanni, la Maddalena, le altre donne, Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo. Così nella versione più completa, che ovviamente ammette varianti. Gli appassionati d’arte ricorderanno le emozionanti figure di Guido Mazzoni (1450-1518) a Modena e in altre città, da Ferrara a Napoli. Ma la scena fu tra le più popolari nei secoli XV e XVI. Ora vede la luce una ricognizione sistematica dei Compianti lombardi e piemontesi, a cura di Renzo Dionigi e Filippo Maria Ferro: Teatri del sacro e del dolore. I Compianti in Lombardia e Piemonte tra Quattrocento e Cinquecento (Edizioni dei Soncino, 300 pagine in grande formato, Euro 220,00).

Gli autori, ben noti nell’ambito scientifico medico, possiedono anche un curricolo mirabile nella storia dell’arte. Il volume è prefato dal cardinal Ravasi e raduna saggi di vari autori insieme a una dettagliata schedatura delle opere e alla documentazione fotografica. Si configura così come uno snodo necessario nello studio di questo argomento. Sono ben sessantanove i gruppi scultorei qui catalogati. Vanno dagli esempi milanesi di fine Trecento (Bonino da Campione a San Marco, Jacopino da Tradate a Sant’Eustorgio e Hans Fernach in Duomo) fino a quello commovente di Giovanni D’Enrico a Novara (1640) e anche più tardi. Un arco di tempo non solo molto vasto ma quanto mai variegato, che ha visto nascere la devotio moderna, le osservanze, il protestantesimo, il Concilio di Trento, il rigore dei riformatori cattolici. Eppure, una medesima, invariata ispirazione rende uniformi queste opere, che pur nella varietà di stili mantengono lo stesso afflato. E ciò pone alcune domande alle quali nel libro si cerca risposta. O forse una sola: che cosa o chi ha ispirato una tale composizione, che non trova riscontro nei vangeli e nemmeno nell’arte antica?

Si diceva prima dell’aspetto teatrale e in effetti siamo tutti d’accordo nel ritenere il Compianto una “cosificazione” di una scena che sicuramente faceva parte del teatro sacro. Come faceva parte della vita sociale il compianto di un morto. Ma con questo la domanda non fa che retrocedere di uno stadio: chi lo ispirò? Un pregevole saggio di Giovanni Gusmini esplora l’influenza degli ordini mendicanti, con speciale attenzione ai domenicani. Egli vede nel Compianto una derivazione della Vesperbild, ovvero la pietà intesa come la Madonna che tiene sul grembo il corpo irrigidito del Figlio morto. Di provenienza tedesca, l’immagine arrivò abbondante nel Nord Italia; la citata opera di Hans Fernach nel Duomo di Milano (1387) ne è ottima dimostrazione. Gusmini prende in esame la letteratura domenicana nordica, in particolare il Libretto dell’Eterna Sapienza di Enrico Suso (1330), che tra le altre considerazioni s’immedesima nel dolore della Madonna alla morte di Gesù e propone sentimenti analoghi al fedele: «I miei occhi contemplano il tuo volto morto, la mia anima copre di baci le tue ferite…».

Parallelamente ci fu, in Italia più che altrove, l’influenza del francescanesimo, come ricorda anche Dionigi. Detto brevemente: nel XII secolo, san Bernardo, raccogliendo gli spunti di san Pier Damiani e altri, elabora e propone ai monaci una devozione più sensibile e umana, incentrata sull’umanità di Cristo. San Francesco e i suoi portano questa nuova sensibilità nelle piazze, rivolti al popolo. Non solo predicano in modo comprensibile e spesso affascinante ma fanno uso di tutti gli strumenti visivi che trovano: dai grandi crocifissi che inteneriscono fino alle sacre rappresentazioni. Si crea così una cultura che permea la società, la letteratura, le arti visive, tutto. Jacopone da Todi canta il pianto di Maria, il Sacro Monte di Varallo nasce dalla luce francescana. Il Compianto è un frutto naturale di tutto ciò.

Vorrei qui amichevolmente aggiungere una tessera che merita attenzione. Le Meditazioni sulla vita di Cristo, per secoli attribuite a san Bonaventura e poi a un anonimo francescano trecentesco che ora molti identificano con Giovanni de’ Cauli. Mai libro così fu pubblicato, anche prima della stampa, né così influente. Con una semplicità e fantasia tutta francescana scrive la vita di Gesù indugiando su gustosi particolari che hanno fatto felici i pittori e gli scultori da allora in poi. Il testo fu in seguito “assorbito” nella Vita Christi di Ludolfo di Sassonia, altro bestseller assoluto. Nell’iconografia non si può sfuggire a questi libri. Ebbene, il nostro de’ Cauli (o chi per lui) si intrattiene a lungo descrivendo il dolore di Maria su Gesù morto, le lacrime della Maddalena, la solerzia di Giuseppe d’Arimatea ecc. Sono pagine che trasudano amore, compassione, una religiosità della visione e del tatto. Proprio come il nostro Compianto.

Michele Dolz

© Avvenire, mercoledì 17 febbraio 2021

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