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Bagnasco: c'è bisogno di più Europa

Il presidente della Cei apre il Consiglio permanente parlando di migranti («l'Italia è ancora troppo sola»), della crisi economica e degli interrogativi aperti dall'eutanasia in Belgio

Il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco (foto tutte agenzia Siciliani)

C'è bisogno di un di più di Europa. Il cardinale Angelo Bagnasco, aprendo i lavori del Consiglio permanente oggi a Roma, ha affrontato i temi più "caldi" di questi giorni. Ecco una sintesi della prolusione.

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Il dramma del sisma
Il terremoto di fine agosto in Centro Italia non ha piegato la voglia e il coraggio di ricominciare. Più forte delle immagini di distruzione, colpiscono quelle di tutti coloro che testimoniano la «fierezza di appartenere a una terra, a un popolo, a una storia», e anche la «fierezza umile e discreta della fede».

L'estate della Chiesa
Il presidente della Cei ricorda i recenti avvenimenti che hanno coinvolto la Chiesa italiana: i campi estivi, la Giornata Mondiale della Gioventù, la canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta, il Congresso eucaristico a Genova, la preghiera per la pace di Assisi.

(foto Siciliani)

La sfida europea
Dobbiamo riaffermare che «c'è bisogno di un di più di Europa. È possibile pensare che nel vortice del mondo globalizzato sia possibile vivere allontanandosi gli uni dagli altri?» All'Europa bussano tanti disperati, e l'Italia «continua a fare tutto il possibile su questo fronte che la vede ancora troppo sola».

Ma l'Europa più che temere il flusso dei disperati, dovrebbe avere paura del cambiamento del mondo di pensare che si vuole imporre dall'esterno: il «pensiero unico», che cerca di inculcare il principio del piacere a qualunque costo, di esaltare la dea fortuna, che spinge alla ricerca di evasioni continue dalla vita reale...«tutto questo connota una mutazione culturale che aliena la persona da se stessa e dalla realtà, la imprigiona in un individualismo esasperato, propagato come libertà». A chi giova un tale cambiamento culturale, che muta gli stili di vita?, si chiede Bagnasco.

(foto Siciliani)

Dopo la Brexit però si intravvede qualche timido «barlume di coscienza su ciò che dovrebbe essere il fondamento della casa europea: la cultura, che ha costruito l'Europa nella sua varietà». Una cultura che affonda la sue radici nell'identità religiosa, a sua volta portatrice di una visione di uomo ancorata agli altri, all'essere non un'isola ma chiamato a realizzarsi insieme agli altri. «Emarginare dalla sfera pubblica il cristianesimo non è intelligente; è non comprendere che la società non può che averne del bene», perché la luce del Vangelo ha creato la civiltà europea e il suo umanesimo.

Bagnasco poi affronta il tema del burkini, ricordando che la Chiesa in linea di principio ritiene che le limitazioni alle manifestazioni del credo religioso sono accettabili solo in circostanze molto limitate.

(foto Siciliani)

Il presidente della Cei apre il Consiglio permanente parlando di migranti («l'Italia è ancora troppo sola»), della crisi economica e degli interrogativi aperti dall'eutanasia in BelgioIl cammino del Paese
Bagnasco riflette sulla crisi economica: la distanza tra ricchi e poveri aumenta, il ceto medio è ancora risucchiato dalla penuria di beni primari, il lavoro, la casa, gli alimenti, la possibilità di cura. «Con speranza sentiamo dichiarazioni rassicuranti e i provvedimenti allo studio,ma le persone non possono attendere».

La fiducia nel domani diminuisce, gli adulti senza lavoro sono avviliti o disperati, molti giovani si stanno rassegnando. "La Chiesa è vicina ai lavoratori e alle loro famiglie, e lo sarà sempre in nome della dignità di ogni persona".

Infine, Bagnasco parla di eutanasia, dopo la recente morte di un adolescente in Belgio: dove stiamo andando? si chiede. "Ogni volta che si ipotizzano leggi su questi temi decisivi, subito si cerca di pilotare la sensibilità e l’opinione pubblica appellandosi a casi eccezionali di grande impatto emotivo; e si invoca la necessità di ordinare le cose, di normare le procedure. Ma tutto questo accade senza partire dal principio di base, l’inviolabilità della vita umana sempre e comunque: se cade questo principio l’individuo passerà da soggetto da rispettare a oggetto di cui disporre. Chi decide la linea di confine tra il legittimo e ciò che non lo è in questioni che sono essenzialmente di tipo etico, cioè precedono ogni autorità statale? Lo Stato deve essere amorale? E se lo Stato stabilisse un confine anche molto rigoroso – comunque inaccettabile – perché non potrebbe allargarlo successivamente? E la persona, nella sua intangibilità, dove finirebbe? Il compito vero dello Stato di diritto non è quello di stabilire la vita e la morte, ma – molto più responsabilmente e con impegno concreto – di farsi carico delle situazioni, di non lasciar soli i cittadini specialmente nelle circostanze più drammatiche, come quelle di genitori con figli malati, per accompagnarli e sostenerli in ogni modo".

© Avvenire, 26 settembre 2016

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