Bartolomeo I apre il Concilio panortodosso
«Oggi è anche un giorno in cui gridiamo al Paraclito e lo imploriamo di venire e rimanere tra noi, di custodirci nella sua verità e santità, secondo la preghiera dolorosa del Signore nel giardino del Getsemani». E la preghiera di Gesù per l’unità è «la domanda primordiale dell’umanità in un mondo diviso».
Le parole del patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo, sono risuonate domenica scorsa nella Divina Liturgia che si è celebrata nella Cattedrale di San Mena a Candia. Nel giorno della Pentecoste per le Chiese orientali, la liturgia durata ben quattro ore è stata l’inizio ufficiale del Concilio panortodosso.
Un’Eucaristia che ha visto attorno a Bartolomeo i primati delle dieci Chiese giunte per l’evento sull’isola di Creta: i patriarchi Teodoro di Alessandria, Theophilos di Gerusalemme, Irinej di Serbia, Daniel di Romania; gli arcivescovi Chrysostomos di Cipro e Ieronymos di Atene e di tutta la Grecia, il metropolita Sawa di Varsavia e di tutta la Polonia e gli arcivescovi Anastasios di Albania e Rastislav di Cechia e Slovacchia.
Alla liturgia erano presenti anche il presidente della Repubblica di Grecia, Prokopis Pavlopoulos, membri del governo e autorità politiche locali.
Quattro le Chiese che si sono invece “ritirate” dalla convocazione – la prima di tal genere da oltre mille anni – dopo settimane di turbolenze, rivendicazioni e confronti ecclesiali felpati nei toni quanto duri nella sostanza: quelle di Antiochia, Georgia, Bulgaria e soprattutto Domenica, informa AsiaNews, è stato distribuito in tutte le chiese di Creta un opuscolo con cui si ricordava che la sinodalità è la vera essenza della Chiesa ortodossa.
E ieri mattina, all’apertura delle sessioni di studio presso l’Accademia ortodossa di Creta, a Kolymbari, Anastasios di Albania ha sottolineato come l’opera dello Spirito Santo non sia relegata al passato, ma debba ispirare anche oggi i cristiani, che devono continuare a invocarlo. Prima di leggere la sua prolusione il patriarca Bartolomeo ha ricordato quanti stanno supportando il Concilio e tra loro ha citato papa Francesco, che a sua volta, al termine dell’Angelus domenicale, aveva invitato tutti a unirsi «alla preghiera dei nostri fratelli ortodossi».
Patriarchi e arcivescovi presenti all’Accademia ortodossa lavoreranno in questi giorni a porte chiuse, seduti a semicerchio attorno a dei tavoli ricoperti da una tovaglia bianca. Dietro di loro, seduti sempre attorno a dei tavoli, le rispettive delegazioni e davanti l’intera assemblea. «Il mondo ci sta guardando», ha detto ieri Bartolomeo, e questo richiede «una responsabilità più grande». Ad elevare l’attenzione dei presenti e a richiamare «una responsabilità più grande» è anche il logo scelto per l’assise panortodossa: l’icona detta dell’“etimasia”, ossia della “preparazione”: un trono vuoto che simboleggia l’attesa per il ritorno di Cristo alla fine dei tempi, occupato per dal Vangelo e dallo Spirito Santo forma di colonna. Il tutto racchiuso in una cerchio con 14 croci bianche, le 14 Chiese ortodosse autocefale che sono state convocate, anche se non tutte pervenute.
Andrea Galli
© Avvenire, 21 giugno 2016
L'intervista all'archimandrita Evangelos Yfantidis, vicario generale dell’arcidiocesi ortodossa di Italia e Malta
«L'assenza di Mosca? Non è decisiva»
L’archimandrita Evangelos Yfantidis, vicario generale dell’arcidiocesi ortodossa di Italia e Malta, guarda con speranza all’evento di Creta e non nasconde il disappunto quando gli ricordiamo quelle “debolezze” del Concilio o Sinodo (sulla corretta definizione ci sono diverse scuole di pensiero) in corso, che secondo diversi osservatori ne ridimensionano di molto la portata.
Padre Evangelos, parliamo dell’assenza del patriarcato di Mosca, che rappresenta quasi due terzi degli ortodossi nel mondo: non poco...
Nella Chiesa ortodossa i numeri dei fedeli non ha avuto mai e non ha nessuna importanza e tutto questo in base all’insegnamento del Nuovo Testamento, all’ordinamento dei santi Canoni e alla tradizione della Chiesa. Contare il numero di fedeli è la conseguenza inevitabile di uno sviluppo «il cui inizio deve essere cercato nelle prime manifestazioni del pensiero mondano nella Chiesa, dal quale proviene uno spirito diverso dallo spirito della primitiva Chiesa unita», come sottolineava in una sua vecchia intervista il patriarca ecumenico Bartolomeo. Dunque, il peso che ha l’assenza del patriarcato di Mosca è uguale a quello che ha l’assenza della piccola Chiesa che rappresenta il patriarcato di Georgia, o delle due Chiese di Antiochia e Bulgaria. Però in relazione a queste quattro Chiese sorgono altre domande, che ha evidenziato il metropolita Gennadios, arcivescovo ortodosso d’Italia e Malta, in un suo recente testo: «Ma i santi primati delle Chiese ortodosse Locali che non verranno al Sinodo come affronteranno la grave responsabilità delle firme e dell’assenso dei loro unanimi alla convocazione del Santo e Grande Sinodo? Le loro coscienze, i loro cuori avranno pace? Non guardano alla storia?». Da sottolineare ancora che nel santo e grande Sinodo non è obbligatoria – anche se è preferibile – la partecipazione di tutte le Chiese ortodosse. Non va dimenticato che il patriarcato di Antiochia non ha voluto partecipare al grande Sinodo di Efeso nel 431 (il III Concilio ecumenico), ma che questo è stato convocato lo stesso, testimoniando la fede ortodossa con grande successo.
Però, insisto, due terzi o circa degli ortodossi... come si può pensare di “deliberare” senza Mosca?
Si dice che il patriarcato di Mosca oggi ha il più alto numero di fedeli nel mondo. Consideriamo però una cosa: l’Ucraina oggi è uno dei quattro Paesi di tradizione ortodossa che dipendono dal patriarcato di Mosca ed è il Paese con il più alto numero di battezzati e di praticanti ortodossi nella giurisdizione moscovita. Bene, lo scorso 16 giugno il Parlamento ucraino, quasi all’unanimità, ha chiesto al patriarca ecumenico di dare l’autocefalia alla Chiesa di Ucraina, che la richiede da molto tempo. Se, per ipotesi, questo dovesse succedere, allora Mosca non sarebbe più la Chiesa più numerosa e verrebbe meno l’argomentazione numerica. Dunque è meglio tacere riguardo ai numeri e non mescolare il pensiero mondano alla vita della Chiesa.
Da non pochi osservatori questo santo Sinodo o Concilio panortodosso viene visto come un passaggio vagamente simile, nelle intenzioni, a ciò che è stato il Concilio Vaticano II per la Chiesa cattolica: è un paragone che anche lei farebbe?
Faccio mio il pensiero di molti studiosi che il santo e grande Sinodo non è una copia né dei Concili ecumenici del primo millennio, né del Concilio Vaticano II. Il Sinodo, adeguato alle condizioni e alle potenzialità del XXI secolo, ha delle sue particolarità. Però vi trovo due elementi in comune con il Concilio Vaticano II. Il primo è che ambedue sono di carattere pastorale. Non ci sono più le eresie da condannare, non c’è più il bisogno di formulare la fede: gli argomenti di ambedue i Sinodi mirano alla interpretazione delle decisioni dei Concili e dei Sinodi precedenti, e a renderli pastoralmente applicabili alle condizioni della vita contemporanea del clero e del popolo. Il secondo elemento comune è la presenza, in qualità di osservatori, dei rappresentanti delle altre Chiese e confessioni cristiane. Li abbiamo visti in Vaticano e li vediamo a Creta. Ambedue le Chiese sentono il bisogno di promuovere l’unità dei cristiani, promuovere la volontà di Dio «che tutti siano una cosa sola» e dunque la presenza di osservatori delle altre Chiese esprime una apertura ecumenica verso tutti coloro che sono coinvolti nel dialogo inter-cristiano.
Andrea Galli
© Avvenire, 21 giugno 2016