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Carità, essenza della Chiesa

Trasparenza nell'uso dei fondi, ruolo rafforzato dei vescovi nell'organizzare le attività caritative, nel stimolarle e garantirne efficacia e operatività, sono richiesti dal Motu proprio del Papa "De Caritate ministranda", pubblicato il 1 dicembre. Si tratta di un documento che completa un iter di circa due anni di lavoro e nasce da uno spunto della enciclica di Benedetto XVI, "Deus Caritas est".

poveri180x120.jpgIl testo ribadisce che "il servizio della carità è una dimensione costitutiva della Chiesa ed è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza". Per evitare che in materia di carità i fedeli vengano "indetti in errore o in malintesi", il motu proprio chiede ai vescovi di "impedire che attraverso le strutture parrocchiali o diocesane vengano pubblicizzate iniziative che, pur presentandosi con finalità di carità, proponessero scelte o metodi contrari all'insegnamento della Chiesa".
  
Ricordando il valore della "testimonianza di sobrietà cristiana" che la Chiesa deve dare anche nelle attività caritative, il Papa chiede al vescovo "a tale scopo" di vigilare "affinchè stipendi e spese di gestione, pur rispondendo alle esigenze della giustizia e ai necessari profili professionali, siano debitamente proporzionate ad analoghe spese della propria curia diocesana".
  
Nel documento papale c'è anche un punto che ricorda come il vescovo diocesano sia "tenuto, se necessario, a rendere pubblico ai propri fedeli il fatto che l'attività di un determinato organismo di carità non risponda più alle esigenze dell'insegnamento della Chiesa, proibendo l'uso del nome "cattolico" ed adottando i provvedimenti pertinenti ove si profilassero responsabilità personali".

© Avvenire, 1 dicembre 2012

Leggi il testo integrale del Motu Proprio, clicca qui

 

La limpidezza della carità

 

Il bene va fatto bene, diciamo da sempre. E «a fin di bene esiste solo il bene», come dice Celestino V attraverso la penna di Ignazio Silone. Questo vale anche per il servizio della carità, tanto più se fatto in nome di Gesù. Fin dall’inizio della nostra avventura avevo capito che su questo punto era indispensabile adottare una linea precisa, in particolare con riferimento alla gestione dei fondi che la gente ci affida perché li trasformiamo in pane, casa, cure mediche, scuola, accompagnamento ai più bisognosi… Le tentazioni sono tante e non si può transigere.

Così il Sermig ha scelto, da subito, di avere un bilancio trasparente: chiunque deve poter vedere da dove vengono e dove vanno i soldi che transitano nelle nostre mani. Inoltre, nei limiti di legge, rispettiamo la volontà di chiunque desideri farci un’offerta restando nell’anonimato, ma siamo pronti a darne conto alle autorità preposte. L’unica eccezione sono, ovviamente, le cifre in contanti depositate da ignoti nelle cassette per le offerte. Anche queste, però, vengono gestite nel rispetto delle ultime norme sulla tracciabilità. E se un personaggio di dubbia fama volesse farci un’offerta per tranquillizzare la propria coscienza, lo inviteremmo a risarcire piuttosto le persone danneggiate dalla sua condotta non integerrima.

Mi rende felice perciò che il Papa con questo Motu proprio faccia chiarezza sia sulla gestione trasparente dei fondi da parte delle organizzazioni di carità, sia sull’importanza di mantenere le mani libere, rispetto a condizioni in contrasto con i principi cristiani. Sono contento anche di quanto dispone rispetto a stipendi e spese di gestione, che possono rivelarsi a volte sproporzionati rispetto ai fondi destinati alla carità. Per quanto ci riguarda, riteniamo che la carità in ambito ecclesiale debba sostenersi prima di tutto con la gratuità, sia in forma di donazioni che di volontariato.

Perciò all’Arsenale di Torino abbiamo 1 dipendente ogni 20 volontari. Abbiamo poi deciso di tenere distinte spese di gestione e fondi per le carità. Le prime vengono supportate prevalentemente dagli introiti di piccole attività commerciali, da contributi di enti pubblici e privati. I secondi sono dono della gratuità della gente. Questo ci permette di garantire che ogni singola offerta sia impiegata integralmente per la destinazione per cui ci è stata data. Una limpidezza che va ricercata a ogni nuova occasione. Mi spiego. Subito dopo la disastrosa alluvione del 2000, insieme a giovani di tutta Italia abbiamo portato aiuto a diversi quartieri di Torino colpiti.

Spesso, dopo che avevamo liberato dal fango le loro case, gli abitanti mettevano mano al portafoglio per un gesto di riconoscenza. I nostri giovani però avevano istruzioni precise: non accettare nulla personalmente, reindirizzando chi volesse fare un’offerta presso l’Arsenale della Pace, dove sarebbe stato possibile sceglierne la destinazione e ricevere regolare ricevuta. Una scelta che ha rafforzato la fiducia dei giovani e della gente nei nostri confronti. Ecco perché il bene va fatto bene. La stessa filosofia per cui tutti i nostri volontari si pagano le spese, affinché la gratuità resti veramente tale.

Ringrazio il Papa anche per l’invito a una «testimonianza di sobrietà cristiana». La carità comincia dal nostro stile di vita, che non deve mai creare distanza tra chi la fa e chi la riceve. Alla mia Fraternità ripeto ogni giorno: noi non falliremo mai purché restiamo poveri, disponibili, viviamo di preghiera e pubblichiamo i nostri bilanci.

 

 
Ernesto Olivero
 
© Avvenire, 2 dicembre 2012
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