Arcivescovo

S.E. Giuseppe

Satriano

IN AGENDA

Che cosa sono, da dove vengono, che storia hanno le palme intrecciate della domenica delle Palme

Ogni anno in occasione della celebrazione liturgica della domenica che precede la Pasqua vediamo comparire in piazza San Pietro le palme intrecciate. Piccolo viaggio nella tradizione antichissima di "parmureli" e "sa pramma pintada"

Durante la celebrazione della Domenica delle palme, nelle mani del Papa e dei cardinali, vediamo artistiche palme intrecciate. Rimandano alla tradizione dell’ulivo e della palma come simbolo della Passione, le cui radici storiche potete leggere a questo link , e hanno una lunga e suggestiva storia di tradizione artigianale e popolare, che è l’evoluzione dell’antico uso di molti popoli mediterranei (in Calabria, in Sicilia, in Sardegna, in Libia) di utilizzare foglie di palma essiccate e intrecciate per produrre oggetti utili alla vita quotidiana.

Le palme intrecciate che vediamo sempre in Vaticano la domenica che precede la Pasqua, provengono in realtà dal Nord Italia e in particolare dalla zona di Bordighera e da Sanremo, sede del palmeto più settentrionale d’Europa. La donazione e il trasporto dei “parmureli” - così si chiamano in Liguria le composizioni di palma intrecciata  - hanno potuto perpetuarsi in anni recenti grazie al contributo ed alla sinergia di vari enti tra i quali il Centro Studi e Ricerche per le palme, la Cooperativa sociale “Il Cammino”, la Fondazione per i Beni e le Attività Artistiche della Chiesa, i Comuni di Bordighera e Sanremo. E anche nel 2022 la tradizione prosegue assicurata dall’organizzazione dell’Associazione Famijia Sanremasca costituita nel 1957 con lo scopo di conservare e la storia, le tradizioni, l'arte e la cultura di Sanremo e del suo comprensorio, che ha promosso la colletta, cui hanno partecipato Comune e cittadini, e la spedizione dei "parmureli", non a bordo di una nave come in origine ma di un furgoncino monovolume.

La tradizione di portare in dono al papa rami di palma ha radici antiche tra storia e leggenda. Risale all’epoca di Papa Sisto V e in particolare al 1586 quando il Papa volle posizionare in San Pietro l’obelisco egizio trasportato a Roma da Caligola nel 39 a.C.

La si riconnette a un episodio capitato durante il posizionamento dell’obelisco in piazza San Pietro. Si narra che il Papa avesse imposto il silenzio pena la morte - all’epoca in vigore in tutti gli Stati pontificio compreso -  durante il posizionamento dell'obelisco, forse per evitare che il rumore della folla potesse sovrastare il coordinamento delle difficili operazioni, affidato all’architetto Domenico Fontana. A un certo punto però, in un momento di particolare complessità, si sarebbe levato un grido in dialetto ligure: «Aiga ae corde», acqua alle corde. Era la voce di Capitan Benedetto Brasca, lupo di mare sanremese, che s’intendeva di cime e si rendeva conto che le corde asciutte si sarebbero potute spezzare. L’indicazione di bagnare le corde contribuì al successo dell’operazione.   

Capitan Brasca, lungi dall’essere punito per aver disobbedito, fu anzi onorato con i propri discendenti del privilegio di omaggiare il Papa delle palme destinate alle celebrazioni del periodo pasquale. In virtù del suo ruolo di fornitore ufficiale, durante il trasporto lungo il Tevere, la barca delle palme di Brasca poteva anche innalzare bandiera pontificia e ottenere così la precedenza su altre imbarcazioni.

Per secoli l’apporto ligure si era limitato alla fornitura delle foglie di palma Phoenix dattilifera, tenute bianche grazie a un procedimento di legatura del ciuffo che serve a preservare il colore chiaro delle foglie, bianco per la Pasqua cattolica, verde chiaro per quella ebraica. Mentre all’intreccio provvedevano a Roma le suore Camaldolesi. Da una ventina d’anni a questa parte, invece, dalla Liguria arrivano a piazza San Pietro parmureli già intrecciati in aziende della zona. Negli ultimi anni all’impiego della varietà della Phoenix dattilifera si è aggiunto quello della Phoenix canariensis, più morbida e facile da intrecciare. Ma sulla prosecuzione della tradizione ora pesano alcuni fattori che mettono in pericolo le palme, tra questi, oltre alla crisi economica sempre in agguato, l’esportazione di palme adulte che dall’Ottocento “svuota” il patrimonio ligure, ma soprattutto in tempi recenti la malattia causata dal punteruolo rosso, un parassita di origine asiatica che, arrivato in Italia nei primi anni Duemila, sta mettendo in grave pericolo le palme italiane.

Se è vero che sono liguri i parmureli che ornano Piazza san Pietro nella domenica delle Palme, è vero che la tradizione dell’intreccio non è soltanto rivierasca anzi, è antica e frequente nel sud Italia. Il particolare è molto sentita in Sardegna dove “sa pramma pintada”, la palma intrecciata, che ha origine comune con l’oggettistica sacra che nasceva dal lavoro dei conventi medievali, ha trovato impulso in epoca di Controriforma come scrive l’etnologa Maria Nevina Dore che al tema ha dedicato la monografia Sa pramma pintada: la cultura della palma in Sardegna, scritta a quattro mani con Ignazio Orrù nel 2015 (Editrice S’Alvure, Oristano): «Nel 1570 il Messale Romano fissa la “statio” per la domenica delle Palme», scrive in un piccolo saggio pubblicato su Phoenix Project France Italy, «con la concessione di tenere in mano rami di palma e d’ulivo, durante la processione e la S. Messa. Proprio per la processione è nata l’usanza di abbellire le palme “prammas” intrecciandone le foglie. Nasce così la pratica dell’intreccio delle palme per uso religioso che ha lasciato vere  opere d’arte popolare,chiamate “prammas pintadas”.

L’abilità artigianale è tale che dalle foglie escono le forme più varie e complesse anche se le figure più rappresentate hanno a che fare con i riti della Passione e della settimana Santa: il pesce (simbolo di Gesù Salvatore dell’uomo), la Croce, la pigna segno di abbondanza (della grazia) che simboleggia la tunica di Gesù che i soldati tirarono a sorte ai piedi della croce e la spiga che allude al pane spezzato dell’ultima cena.

Come si legge nella scheda intitolata L’intreccio religioso del Museo dell’intreccio mediterraneo (Mim) di Castelsardo (Sassari), attorno alla palma si intrecciano credenze popolari che vanno al di là dell’accompagnamento liturgico delle celebrazioni del periodo pasquale: «Nella tradizione sarda inoltre i ramoscelli di palma e di ulivo benedetti acquistano la virtù di difendere la persona e le cose dalle insidie del demonio. Da qui la pratica di porre la palma intrecciata in luogo predestinato della casa; la tradizione di regalare il manufatto intrecciato come buon auspicio di pace o contro mali fisici e interiori e a Santa Giusta il popolare  posizionamento della treccia di palma a protezione dei fassonis (antiche imbarcazioni da pesca costruite con le canne ndr.)».

Non a caso per non violarne la sacralità, dalla Liguria alla Sardegna, in genere si evita che le palme intrecciate in quanto benedette vengano semplicemente gettate: tradizione vuole che siano bruciate. E in alcuni luoghi diventano le Ceneri per l’inizio della Quaresima dell’anno dopo.

Elisa Chiari

© www.famigliacristiana.it, venerdì 8 aprile 2022

Prossimi eventi