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Chiesa e famiglia. Amoris laetitia, onda di bene

Mentre in tutte le diocesi l’Esortazione postsinodale è al centro dei programmi pastorali, il cardinale Caffarra torna a chiedere al Papa di spiegare meglio. Ma Müller stoppa: bene così

A proposito della svolta prodotta da Amoris laetitia su matrimonio e famiglia potrebbe valere quello che Giovanni XXIII disse, in punto di morte, sul Vangelo: «Non è cambiato, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio». Allo stesso modo, osservando la benefica rivoluzione prodotta in nove mesi dall’Esortazione apostolica in tutta la Chiesa si potrebbe concludere: stiamo cominciando a comprendere meglio il Vangelo dell’amore di coppia. Stiamo cominciando a togliere dalle spalle di coniugi, fidanzati, conviventi il peso e la sofferenza delle «pietre che si lanciano contro la vita delle persone», aiutandole a «trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti. Credendo che tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita e scoraggiamo percorsi di santificazione che danno gloria a Dio» (Al, 305). Non si spiegherebbe altrimenti l’entusiasmo con cui le parole del Papa sulla famiglia continuano a essere accolte, rilanciate, studiate. Limitatamente alla Chiesa italiana, lo conferma don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio famiglia della Cei: «Non c’è diocesi che non abbia organizzato o abbia in programma nei prossimi mesi conferenze, cicli di incontri, iniziative, lettere pastorali su Amoris laetitia.

E poi ci sono le facoltà teologiche, le associazioni, i gruppi, le parrocchie. Stiamo completando una rassegna sulla cosiddetta “ricezione pastorale” del documento e i risultati di questa ricognizione, che renderemo noti a breve, sono stupefacenti». Su un altro piano va avanti il lavoro di approfondimento organizzato dallo stesso Ufficio Cei con le riunioni periodiche del tavolo permanente dei teologi – una cinquantina gli esperti – che, dopo i due Simposi del maggio e dell’ottobre 2016, torneranno a riunirsi nei prossimi mesi. Sempre ad Amoris laetitia sarà dedicata anche la tradizionale Settimana nazionale di studi (Assisi, 28 aprile-1 maggio). In particolare si punterà l’obiettivo sulle “Strade di felicità” tratteggiate nel numero 38 del documento papale: «Dobbiamo ringraziare per il fatto che la maggior parte della gente stima le relazioni familiari che vogliono durare nel tempo e che assicurano il rispetto dell’altro... questo apre la porta a una pastorale positiva che, accogliente, che rende possibile un approfondimento graduale delle esigenze del Vangelo».

Proprio la legge della gradualità – insieme alle parole chiave accoglienza, accompagnamento, discernimento e integrazione – è tra le riscoperte più significative dell’Esortazione postsinodale che, lungo i suoi nove capitoli, abbraccia davvero l’intero percorso della vita di coppia in un amplissimo ventaglio di situazioni; dalla Parola alle sfide culturali, dalla vita a due all’educazione dei figli, dalla sessualità alla preghiera. Eppure il dibattito, non solo mediatico, sembra concentrarsi su un unico aspetto, i paragrafi centrali dell’VIII capitolo che affrontano, tra l’altro, il tema dell’integrazione delle situazioni difficili, compresi i divorziati risposati. La domanda risuona sempre identica: è possibile riammettere ai sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia queste persone? Il Papa si è già espresso con chiarezza sul punto (vedi articolo qui sotto) ma c’è chi non si rassegna.

L’arcivescovo emerito di Bologna, Carlo Caffarra, uno dei quattro cardinali che avevano inviato al Papa i cinque dubia su Amoris laetitia e ne avevano poi divulgato i contenuti – ne avevamo parlato lo scorso 2 dicembre – è tornato nei giorni scorsi sulla vexata quaestio in una ampia intervista al Foglio. Nessuna novità. Sul punto della riammissione all’Eucaristia, sostiene Caffarra, «non si capisce bene cosa il Papa insegna ». E visto che – lui ribadisce – parroci e fedeli si dicono disorientati per le vaghe, o presunte tali, indicazioni contenute in Amoris laetitia, è giusto tornare a chiedere lumi al Papa che, com’è noto, non aveva risposto ai dubia dei porporati (oltre a Caffarra, Walter Brandmül-ler, Raymond Burke e Joachim Meisner, tutti ormai liberi da incarichi ufficiali). Ma, come ha spiegato il cardinale Gerhard Ludwing Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, continuerà a non rispondere. Perché – ha messo in luce in un’intervista a Tgcom24 – non c’è «alcuna contrapposizione» tra gli obiettivi di Amoris laetitia che punta ad aiutare le persone che vivono una situazione matrimoniale irregolare per una nuova integrazione nella Chiesa e la dottrina del matrimonio ».

D’altra parte è compito della Chiesa «preoccuparsi di queste persone in difficoltà». Müller si è anche detto rammaricato e stupito che la lettera privata dei cardinali sia «diventata pubblica, costringendo quasi il Papa a dire sì o no» e ha definito «molto lontana» la possibilità di una «correzione fraterna» nei confronti di Francesco su questo punto specifico di Amoris laetitia, come più volte ventilato dal cardinale Burke in una delle sue numerose interviste. Ma è l’intero dibattito sull’Esortazione postsinodale che, a parere del prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, rappresenta «un danno per la fede» visto che Amoris laetitia «è molto chiara nella sua dottrina». Una linea condivisa dai vescovi di tutte le conferenze episcopali del mondo.

Nei giorni scorsi è stato diffuso un documento firmato da due vescovi maltesi, Charles Scicluna (arcivescovo di Malta, già promotore di giustizia della Congregazione per la dottrina della fede) e Mario Grech (vescovo di Gozo e padre sinodale), dedicato all’interpretazione dell’VIII capitolo di Amoris laetitia. Il testo diffuso dall’Osservatore Romano, che riprende il percorso suggerito dal testo papale per accompagnare le persone che vivono situazioni irregolari «con rispetto, cura e attenzione», facendoli sentire parte della Chiesa, ribadisce che l’obiettivo è quello di aiutare e illuminare queste persone, affinché «siano loro stesse ad arrivare a prendere una decisione sincera dinanzi a Dio e fare il maggior bene possibile ».

Qualora, al termine del processo di discernimento, «compiuto con umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa e al suo insegnamento, nella ricerca sincera della volontà di Dio e nel desiderio di giungere ad una risposta più perfetta a essa, una persona separata e divorziata che vive una nuova unione arriva – con una coscienza formata e illuminata – a riconoscere e credere di essere in pace con Dio, non le potrà essere impedito – concludono i vescovi maltesi – di accostarsi ai sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia ».

Luciano Moia

© Avvenire, mercoledì 18 gennaio 2017

 

Amoris laetitia. E il Papa disse: «Bene l'interpretazione dei vescovi argentini»

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Eucarestia? Il Papa ha già detto che si può. Esplicita la sua risposta al testo dei vescovi di Buenos Aires: «Molto buono, non c’è altra interpretazione»

 

Contraddizione, confusione, addirittura ignoranza. Sono le tre accuse che il cardinale Caffarra (vedi articolo) rivolge all’interpretazione prevalente di Amoris laetitia a proposito della riammissione ai sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia per le persone divorziate in nuova unione. «Quei cardinali sono in quattro, dall’altra parte c’è tutta la Chiesa», ha osservato un altro emerito, il cardinale brasiliano Cláudio Hummes, prefetto emerito della Congregazione per il clero. Risposta icastica che riassume però in modo efficace il lungo cammino sinodale dell’Esortazione postsinodale, frutto di due assemblee mondiali dei vescovi, di due consultazioni del popolo di Dio, di un lungo e articolato dibattito avviato nell’ottobre del 2013 e conclusosi due anni più tardi.

L’esito di Amoris laetitia insomma non è un’invenzione del Papa, ma un atto magisteriale che rappresenta la preziosa e logica conclusione di un percorso che ha visto il coinvolgimento della Chiesa intera. Se mai ci fossero state ancora delle incertezze, a chiarire la situazione, è arrivato nel settembre scorso – come abbiamo più volte ricordato – il documento dei vescovi di Buenos Aires, pubblicamente approvato da papa Fancesco, «Criteri fondamentali per l’applicazione del capitolo VIII di Amoris laetitia ». Oltre a sintetizzare quanto già scritto nel documento papale a proposito dell’accoglienza, dell’accompagnamento personale, del discernimento con cui ogni situazione va esaminata senza pretendere di omologare tutto e di inventare ricette buone per tutti i casi, i vescovi argentini scrivono: «Questo cammino non termina necessariamente nell’accesso ai sacramenti ma può prevedere altre forme di integrazione». Non si esclude la possibilità di «proporre l’impegno di vivere la continenza sessuale».

Ma, quando questa opzione non è percorribile, si può aprire la strada ugualmente alla Riconciliazione e all’Eucarestia. Il Papa legge il testo e risponde: «Molto buono, spiega completamente il senso del capitolo VIII di Amoris laetitia. Non ci sono altre interpretazioni. Sono sicuro che farà molto bene». Che cos’altro dovrebbe dire Francesco di più esplicito? Le oltre trecento pagine dell’Esortazione postsinodale sono già del resto tutto un invito a cambiare prospettiva, a mettere da parte la supremazia della legge, a non fare della Chiesa una dogana, a ricordarsi del primato della misericordia «pienezza della giustizia e manifestazione più luminosa della verità di Dio» (Al, 311). Proprio in questo modo l’hanno intesa la stragrande maggioranza dei vescovi italiani.

A proposito dell’ormai famosissima nota 351, il cardinale Agostino Vallini, vicario del Papa per la diocesi di Roma, ha osservato per esempio nel settembre scorso, proprio al convegno su Amoris laetitia della diocesi di Roma: «Il Papa usa il condizionale, dunque non dice che bisogna ammettere ai sacramenti, sebbene non lo escluda in alcuni casi e ad alcune condizioni». E il vescovo di Novara, Franco Giulio Brambilla, vicepresidente della Cei per il Nord Italia, nel suo Liber pastoralis (Edizioni Queriniana) da pochi giorni in libreria, spiega: «L’accesso ai sacramenti si colloca in un momento del dialogo di discernimento: non è una norma canonica, ma l’eventuale esito di un cammino, frutto del discernimento personale e pastorale». Chissà che cosa servirà ancora per porre fine a un dibattito che a sempre più fedeli appare pretestuoso?

Luciano Moia

© Avvenire, mercoledì 18 gennaio 2017