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Chiesa. Ecco perché questo Sinodo: camminare con Dio, con Cristo, tra fratelli

Chi lo ha voluto, che cosa ci chiede e quali sono i primi passi da compiere. L’invito a partecipare con la preghiera, la testimonianza, il racconto della propria vita

Perché questo cammino sinodale? Perché ora? Chi lo ha voluto? Che cosa ci chiede e quali sono i primi passi che dobbiamo compiere? "Sinodalità" per la Chiesa è un termine assieme antico e recente. Antico, perché connesso alla storia dei sinodi diocesani e regionali che hanno segnato tutta quanta la vicenda della Chiesa latina. Recentemente papa Francesco, a partire dall’«Evangelii guadium» e in alcuni interventi rivolti sia alla Chiesa italiana che alla Chiesa universale, ha ridato a questo tema una rinnovata grande importanza. Che cosa ci ha voluto dire?

Il termine "Sinodo" sta in un rapporto stretto e significativo con tutta la vita della Chiesa. La parola italiana ricalca letteralmente una espressione greca composta di due termini: Syn, che vuol dire assieme, e Odós, strada. Sinodo significa dunque camminare assieme. «Chiesa e Sinodo sono sinonimi», ha scritto san Giovanni Crisostomo. Comprendiamo bene questa sua espressione così forte se riandiamo a tutto ciò che in questi anni abbiamo imparato a riguardo del tema della comunione. Essere comunione vuol dire camminare assieme, perché siamo stati rigenerati da un unico Spirito, inseriti in un unico Corpo, diretti verso un’unica meta, animati da un’unica fede e abitati da un’unica carità, spinti da un’unica speranza. Abbiamo tutti la stessa missione che rivela la nostra comune dignità di figlio di Dio e la nostra comune vocazione. Camminare assieme, con chi e verso dove?

Il primo significato, quello più profondo, della parola Sinodo, significa camminare assieme a Dio. In questo senso l’espressione Sinodo è identica a comunione: camminare assieme a Dio e camminare insieme verso Dio. Camminare assieme a Dio implica innanzitutto la nostra conoscenza di lui e della sua opera, entrare in rapporto con Lui e con la sua storia di Alleanza, con l’antico e il nuovo Patto, con la vita di Gesù, con la storia della Chiesa. Camminare assieme a Dio vuol dire conoscerlo, amarlo, chiamare tutti a questa Alleanza. Dio è il grande sconosciuto del nostro tempo. Percorrere un cammino sinodale significa conoscere Dio attraverso la preghiera, i sacramenti, la meditazione della sua Parola, di quella dei Padri della Chiesa e dei padri spirituali. Conoscere Dio attraverso i fratelli: non dobbiamo mai dimenticare che la Chiesa è la Trinità nel tempo. Il Concilio Vaticano II ha sottolineato l’importanza del "sensus fidei fidelium": il popolo di Dio, nel suo insieme, guidato dagli apostoli, non può errare nel credere. In ogni epoca la Chiesa è chiamata ad approfondire la propria tradizione affinché tutto il popolo santo di Dio cresca nella comprensione e nell’esperienza della vita cristiana. Tutte le volte che papa Francesco ha parlato di questo ha messo in guardia da una identificazione fra la Chiesa e i dinamismi della democrazia imperniati sul principio della maggioranza. Il "sensus fidelium" non coincide necessariamente con ciò che pensa la maggioranza dei fedeli. Nasce dall’adesione convinta e rinnovata a ciò che la Tradizione degli apostoli, ricevendolo da Cristo, ha affidato a tutto il popolo di Dio come beni da accogliere e rinnovare. L’ascolto non è dunque finalizzato alla conoscenza di cose nuove ma di una nuova intelligenza della verità perenne.

Il secondo significato della parola Sinodo è camminare con Cristo. È lui che ci invita a seguirlo. È lui che nel Vangelo ha detto tante volte: "venite con me", "venite dietro a me", "seguitemi". "State con me". Io sono con voi fino alla fine dei tempi (cfr. Mt 28,20). Cristo si è definito la via: è lui dunque la strada che ci fa uscire dal male, dalla menzogna, dalla solitudine. È la strada permanente di relazioni buone e vere. In terzo luogo, Sinodo vuol dire camminare tra noi fratelli. Qui forse si misura l’aspetto più delicato del cammino sinodale. Camminare con Dio può sembrarci facile, camminare con Cristo può sembrarci possibile, ma camminare assieme tra noi sembra il più delle volte un’impresa veramente ardua. Se ci guardiamo gli uni gli altri, vediamo non soltanto le nostre benefiche differenze ma anche le nostre chiusure, le nostre rivalità, tensioni, campanilismi, paure. Camminare assieme implica una vera e propria conversione, però necessaria: non c’è gioia senza conversione. Attraverso il cambiamento di mentalità scopriamo che Dio nel suo progetto originario ha voluto creare un popolo, ha sempre perdonato chi si è allontanato, ha radunato chi si è disperso, ha rianimato chi ha peccato. Oltre al cammino tra fratelli, il Sinodo è un cammino verso quelli che non conoscono Cristo. La vita di Dio è così radicata nelle profondità dell’uomo, la sua attesa è così intima dentro ciascuno di noi, che non possiamo mai perderla definitivamente.

Cammino sinodale vuol dire suscitare nelle persone la sete di Dio, affinché la riconoscano dentro di loro, svelare che Dio si è fatto uomo, chiamare ogni uomo a partecipare alla vita delle nostre comunità. Ma vuol dire anche ascoltare le attese e le domande degli uomini, le loro critiche, le loro delusioni, i loro scandali. Il senso del cammino sinodale è che si tratta di un evento ecclesiale che riguarda tutta la nostra Chiesa, tutti i suoi membri, che vi potranno partecipare in forza del loro battesimo. Innanzitutto con la preghiera, poi con la testimonianza attiva della loro fede, con il racconto della loro vita, con l’ascolto delle voci degli altri, attraverso l’incontro con coloro che ancora non conoscono Cristo o che non lo conoscono più.

Il cammino sinodale è anche un evento religioso. Nasce dalla preghiera che Cristo rivolge il Giovedì Santo al Padre: fa’ che tutti mi conoscano perché gli uomini siano una cosa sola e si radunino tutti in un unico ovile e sotto un solo pastore (cfr Gv 17). Il cammino sinodale è una dilatazione della Chiesa, è un’apertura delle sue tende (cfr. Is 54,2) affinché nuovi uomini e donne possano entrarvi, possano sperimentare l’abbraccio misericordioso di Cristo alla loro vita. Aprire i confini della nostra tenda significa concretamente uscire dalle nostre chiese e dalle nostre case per andare incontro alle persone. Troppo si parla di Chiesa in uscita e troppo poco si vive questa uscita. Dobbiamo chiedere con insistenza al Signore che i nostri cuori e le nostre menti trabocchino di grazia e di verità cosicché l’uscire verso gli altri non sia uno sforzo morale ma un desiderio incontenibile.

Il cammino sinodale sia l’inizio di una nuova missione della Chiesa. Quando nel 1954 Giovanni Battista Montini entrò come vescovo a Milano pensò a una missione cittadina a cui diede come tema «Dio, nostro Padre». Quell’intuizione rimane attuale. Il cammino sinodale non porterà nessun frutto se lo vivremo come un’inchiesta sociologica sulla fede nostra e degli altri o come un incontro psicologico che ci rassicuri a vicenda. Il cammino sinodale è un’opera di evangelizzazione che inizia come ascolto, condivisione e continua come annuncio e invito alla comunità. Il cammino sinodale è un evento teologale. Esso è chiamato a ricentrare su Dio la nostra vita. Come aveva intuito Montini, la scoperta di Dio Padre ridà alla nostra esistenza il suo punto di partenza e di arrivo, la sua sicurezza di cammino. Parlare di Dio Padre, annunciarlo, svelarlo ci porta a considerare la nostra figliolanza da lui, la nostra consanguineità con il Verbo di Dio fatto uomo, il comune destino di tutti gli uomini sulla terra.

Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia-Guastalla

© Avvenire, sabato 16 ottobre 2021