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Cina e Africa, meno libertà religiosa

Aiuto alla Chiesa che soffre presenta il Rapporo 2012. Nel mondo, diminuiscono spazi e modi di professare il proprio credo religioso, ma aumenta la consapevolezza dell'opinione pubblica

indonesia-reuters_2878214.jpgMinori possibilità di professare liberamente il proprio credo religioso. Ma maggior consapevolezza che violenze, discriminazioni e divieti rappresentano abusi intollerabili. Su tutto, una certezza: «La libertà religiosa è indispensabile alla pace», come ha detto monsignor Sante Babolin, presidente italiano di Aiuto alla Chiesa che soffre, riprendendo testualmente una frase di Benedetto XVI.  

Il Rapporto 2012 sulla libertà Religiosa nel mondo, l’undicesimo da quando s’è cominciato a indagare a fondo sul fenomeno, prende in esame 196 Paesi,  di cui 131 a maggioranza cristiana. Da un lato emerge un preoccupante abbassamento del livello di tutela della libertà religiosa, come accade in Cina, ma dall’altro documenta come sia aumentato il grado di vigilanza e di giudizio nell’opinione pubblica internazionale, grazie soprattutto la lavoro dei mezzi di comunicazione di massa.

Rispetto a due anni fa, data dell’ultimo Rapporto, il quadro è cambiato anche a causa della cosiddetta primavera araba, che abbattendo regimi totalitari ha fatto emergere richieste di cambiamenti legislativi che favoriscano i musulmani.  «In Nordafrica i cristiani sono ammessi ma solo se stranieri», afferma il padre Samir Khalil Samir, gesuita, islamologo, professore al Pontificio Istituto Orientale. «Sono state approvate norme amministrative, in realtà contro la libertà, anche in Paesi “laici” come la Tunisia. Sono convinto che nell’Africa del nord non cambierà molto. Il problema serio è nella penisola arabica dove ci sono più di  due milioni di cristiani, che non possono manifestare la loro religione in nessun modo».

malesia-reuters_2878223.jpg«Quella dell’Islam in Africa è davvero una realtà complessa e sfaccettata  perché in molte nazioni manca l’autorità di uno Stato cui far riferimento a prescindere dal credo di ciascuno», interviene Christine du Coudray Wiehe, responsabile per l’Africa di Aiuto alla Chiesa che soffre. «Purtroppo si sta attuando una vera e propria  arabizzazzione dell’islam e molti pensano che devono diventare arabi per essere musulmani». Quel che avviene nella Repubblica Democratica del Congo rappresenta un esempio. «La presenza dell’Onu significa la costruzione di nuove moschee, perché spesso i soldati sono di origine indonesiana e quindi musulmani, sono ricchi e finanziano la moltiplicazioni di luoghi di culto islamici senza dedicare altrettanta cura alla protezione dei civili, specialmente di quelli di altre religioni».

Aiuto della Chiesa che soffre sta al fianco dei vescovi «nonostante le delusioni e i fallimenti, cercando di sostenere i giovani, finanziando borse di studio per formarli». L’organismo internazionale sostiene numerosi progetti , oltre 5.000 in ben 145 Paesi diversi.

La diffusione di un Islam radicale non è l’unica fonte di inquietudine. Un grido di allarme arriva anche dall’India, dove stanno aumentando le frange fanatiche e violente dell’induismo. A denunciare questa situazione è John Dayal, segretario generale dell’All India Christian Council: «L’India di fatto è uno stato laico, ma in realtà è molto più induista di quello che non sembri e così se la Chiesa dà soldi ai poveri nessuno dice nulla, ma se inizia a difendere diritti umani e giustizia allora suscita opposizioni talvolta anche sanguinose, come è accaduto nello stato di Orissa ne è un esempio, dove 56.000 persone hanno dovuto scappar per salvarsi la vita».

Francesca Baldini
 
© Famiglia Cristiana, 17 ottobre 2012
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