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Comunicazioni sociali: responsabilità singola e collettiva nel contrastare le fake news

La conclusione del messaggi contiene così un’apertura al giornalismo di pace, inteso non come un approccio buonista e ipocrita ai fatti drammatici quanto piuttosto come la professione di un impegno prezioso nella ricerca e nel racconto delle cause che realmente sono al fondamento dei conflitti, come l’assunzione di una grande responsabilità nella comprensione delle dinamiche che innescano e alimentano l’ostilità senza cui sarebbe impensabile immaginarne e prefigurarne il superamento

Il messaggio del Papa per la 52ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali interroga l’opinione pubblica su un fenomeno dilagante e oggetto di un dibattito intenso e diversificato: l’alterazione della verità e le sue drammatiche ripercussioni sui legami sociali. La premessa del messaggio è che nella fedeltà alla logica cristiana la comunicazione costituisce una dimensione essenziale tanto sul piano individuale quanto collettivo nella ricerca della verità e del bene condiviso.
Tuttavia occorre riconoscere come questa possa essere utilizzata a tutti gli effetti come un’arma per delegittimare l’altro a fini egoistici, per separare piuttosto che per unire. La prospettiva avanzata dal Papa nella prima parte del messaggio è preziosa nella misura in cui aiuta a non ricadere in una visione deterministica del rapporto tra gli strumenti della comunicazione e la manipolazione della verità; i rischi di un uso distorto della responsabilità della testimonianza sono infatti in primo luogo radicati in una visione del rapporto con l’altro che non riconosce il valore del dialogo e della fratellanza.

Significativamente nel messaggio la questione delle fake news viene così inquadrata in una prospettiva che prima ancora che tecnologica potrebbe essere definita antropologica.

Una delle caratteristiche che rendono particolarmente insidiosi i contenuti falsi è infatti la loro natura “mimetica”, il sembrare autentici per alcuni pur essendo del tutto infondati, rafforzando atteggiamenti di intolleranza, alimentando passioni negative come l’odio, il disprezzo, in ultima istanza facendo leva sulla bramosia.
Al contempo occorre evidenziare come il fenomeno dell’uso manipolatorio della comunicazione abbia assunto dimensioni e caratteristiche peculiari nel contesto dei media contemporanei e dei social network alimentandosi di una logica del conflitto tesa a screditare l’altro per ottenere un vantaggio sul piano politico ma anche a distorcere i fatti per interessi di natura economica. In questo senso viene giustamente ricordato il fenomeno ormai noto e oggetto di numerosi studi delle cosiddette “echo chambers” che rendono particolarmente complesso il lavoro di smentita della falsità e di svelamento del pregiudizio.
La parte centrale del messaggio del Papa è incentrata sul ruolo essenziale che gioca la responsabilità singola e collettiva nel contrastare la dinamica delle fake news. Appare dunque denso di significati il richiamo alla strategia della manipolazione utilizzata dal “serpente astuto”, di cui parla il Libro della Genesi che consente di rilevare come

l’efficacia drammatica della distorsione attuata tramite la comunicazione chiami sempre in causa anche il destinatario del messaggio falso, ne interroghi l’intelligenza e la compassione, ne solleciti il discernimento.

In questa senso si ricorda dunque che “nessuno di noi può esonerarsi dalla responsabilità di contrastare queste falsità”.
Il terzo passaggio del messaggio è incentrato sulla relazione tra verità e libertà intesa nella visione cristiana non solo come “svelare la realtà” – aletheia (da a-lethès, “non nascosto”) ma come una dimensione esistenziale che segna la vita intera. Ecco dunque che in questa prospettiva la verità “non si guadagna veramente quando è imposta come qualcosa di estrinseco e impersonale; sgorga invece da relazioni libere tra le persone, nell’ascolto reciproco”. Questo aiuta a cogliere il senso del richiamo a “La verità vi farà liberi” (Gv 8,32): riconoscere che la comunicazione è abitata dalla verità nella misura in cui la verità degli enunciati si accompagna a una riflessione accurata, non cancella mai del tutto la possibilità del dialogo, del riconoscimento dell’altro.
La conclusione del testo contiene così un’apertura al giornalismo di pace, inteso non come un approccio buonista e ipocrita ai fatti drammatici quanto piuttosto come la professione di un impegno prezioso nella ricerca e nel racconto delle cause che realmente sono al fondamento dei conflitti, come l’assunzione di una grande responsabilità nella comprensione delle dinamiche che innescano e alimentano l’ostilità senza cui sarebbe impensabile immaginarne e prefigurarne il superamento.

Paolo Peverini

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