Dare a Dio il primato anche nell'Ecumenismo
DARE A DIO IL PRIMATO ANCHE NELL´ECUMENISMO[1]
Le letture della celebrazione eucaristica di oggi ci conducono al fulcro della fede cristiana. Questo fulcro è la fede nel Dio vivente e la vita vissuta in un rapporto personale con lui - tutto il resto, tutto ciò che fa anche parte della fede cristiana, deriva da questo. Nella lettura dalla seconda lettera di Pietro (3, 12-18), viene posto l’accento sul “giorno di Dio”, che attendiamo insieme a nuovi cieli e a una nuova terra in cui finalmente abiterà la giustizia, e dunque che solo Dio può creare. Questa prospettiva di compimento divino ci viene ricordata affinché cresciamo “nella grazia e nella conoscenza” e riponiamo tutta la nostra speranza nel Dio vivente.
Dare a Dio ciò che è di Dio
Il Vangelo ci ricorda ancora una volta che dobbiamo riservare a Dio il primato nella nostra vita e nella convivenza umana, dando a Dio ciò che è di Dio. A prima vista, però, le parole di Gesù nel Vangelo sembrano andare in un’altra direzione: “Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio”. Qui, Dio e Cesare sembrano essere sullo stesso piano. Tuttavia, molti esegeti ci hanno mostrato che, in questo tipo di parallelismi antitetici, tutto il peso è sempre sulla seconda parte. La congiunzione che collega le due righe non è un innocuo “e”, ma un “kai adversativum” e quindi un “ma”. Le parole di Gesù significano allora che dobbiamo dare a Cesare ciò che appartiene a Cesare, ma soprattutto dobbiamo dare a Dio ciò che appartiene a Dio.
Con queste parole-guida, Gesù non mette in discussione l’autorità dello Stato. Riconosce la necessità del potere dell’ordine pubblico. Ma non pone assolutamente sullo stesso piano lo Stato e Dio: all’imperatore è certamente “riconosciuto il diritto di garantire l’ordine. Ma in questo parallelismo antitetico, egli non è affatto sullo stesso piano di Dio”[2]. Perché a Dio appartiene tutto, tutta la nostra vita e tutto nel mondo. E chi vuole seguire Gesù Cristo deve dare a Dio ciò che è di Dio, e per questo gli deve riconoscere il primato su tutto.
Il Vangelo odierno vuole inscrivere in modo nuovo questo primato nei nostri cuori, e ciò è particolarmente necessario nel mondo attuale. Il mondo di oggi, infatti, non è contrassegnato da un’intensa ricerca di Dio, ma piuttosto da un’ottusa sordità nei suoi confronti. Nella società odierna, Dio è percepito sempre meno come presente: è spesso relegato in panchina o emarginato dalla vita sociale. La vita di molte persone è caratterizzata da una profonda dimenticanza di Dio, al punto che esse si sono scordate di averlo scordato.
Anche nella Chiesa, sempre più cristiani oggi non riescono a immaginare un Dio che sia percepito come presente nel nostro mondo, che agisca in esso e che si prenda cura dell’individuo. Dio, se esiste, può aver dato inizio al Big Bang, ma questo è tutto ciò che gli resta nel mondo illuminista. Molti cristiani trovano ridicolo immaginare che a Dio possano interessare le nostre azioni e i nostri peccati, dato che noi umani ci sentiamo così piccoli di fronte all’immensità dell’universo.
Naturalmente, un Dio così inteso non può essere né temuto né amato. Manca la passione per Dio. Questo è probabilmente il problema di fede più profondo del nostro tempo e, insieme, la sfida che ci viene lanciata per capire che è arrivato il momento di pensare intensamente a Dio, di convertirci a lui e di restituirgli ciò che è suo.
Confessare Gesù Cristo come vero Dio e vero uomo
E poi c’è un altro aspetto. Come cristiani, non crediamo semplicemente in un Dio qualsiasi, nel senso di un essere supremo al di là del mondo. Piuttosto, confessiamo un Dio che vuole essere in relazione con noi uomini ed essere presente per noi, che quindi non tace ma parla, che ha parlato al suo popolo Israele e ha comunicato se stesso in modo definitivo nel suo figlio Gesù di Nazareth, mostrandoci il suo vero volto. La fondamentale professione cristiana di fede nel Dio vivente è quindi indissociabile dalla professione di fede in Gesù Cristo, che è vero Dio e vero uomo, che ha vissuto con noi e ha sofferto per noi, che è morto per noi e che, con la sua risurrezione, ci ha aperto la porta della vita eterna.
Ma che ne è di questa fede nella Chiesa di oggi? Molte persone sono profondamente toccate da tutte le dimensioni umane di Gesù di Nazareth; tuttavia, la confessione di fede in Gesù come unigenito Figlio di Dio, presente tra noi come risorto nella persona dello Spirito Santo, e dunque la fede cristologica stessa della Chiesa, causa loro grandi difficoltà. Anche nella Chiesa di oggi spesso non si riesce più a riconoscere nell’uomo Gesù il volto del Figlio di Dio stesso, perché si tende a vedere in lui semplicemente un essere umano, anche se eccezionale e particolarmente buono.
Tuttavia, la fede cristiana si basa sulla professione di fede in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. Infatti, se Gesù fosse stato solo un uomo vissuto duemila anni fa, come molti pensano oggi, allora sarebbe irrimediabilmente relegato al passato e solo la nostra memoria potrebbe riportarlo in qualche modo al presente. Solo se è vera la fede cristiana secondo cui Dio stesso si è fatto uomo e Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo e quindi è partecipe della presenza eterna di Dio, che abbraccia tutti i tempi, Gesù Cristo vive anche oggi tra noi, può farsi nostro vero contemporaneo e può essere la luce della nostra vita, non solo ieri ma anche oggi.
Imparare a vedere nuovamente Gesù Cristo in tutta la sua grandezza e bellezza e rinnovare la nostra fede in Cristo è quindi l’imperativo del tempo presente. Siamo invitati a farlo in modo speciale nel prossimo anno, non solo perché nella Chiesa cattolica celebreremo un Anno Santo, ma anche perché l’intero mondo cristiano celebrerà il 1700° anniversario del primo Concilio Ecumenico della storia della Chiesa, che ebbe luogo a Nicea nel 325. Allora era diffusa l’eresia, sostenuta principalmente dal teologo alessandrino Ario, secondo cui Gesù non poteva essere creduto “Figlio di Dio” nel vero senso della parola, ma era solo un mediatore usato da Dio nelle sue relazioni con gli uomini. Al contrario, il Concilio di Nicea proclamò il credo secondo cui Gesù Cristo è “consustanziale al Padre”. È significativo e giusto ricordare tutto ciò soprattutto a Bari, perché San Nicola di Myra si distinse nel Concilio di Nicea come un confessore particolarmente zelante della fede in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.
Il Concilio di Nicea si svolse in un’epoca in cui la Chiesa non era ancora stata lacerata dalle numerose divisioni successive. Per questo motivo, il credo niceno unisce ancora oggi tutte le Chiese cristiane e le comunità ecclesiali, e grandissima è la sua importanza ecumenica. Il 1700° anniversario del Concilio di Nicea sarà quindi un’occasione propizia per commemorare questo Concilio in comunione ecumenica e per riaffermare la sua fondamentale confessione di fede in Gesù Cristo.
Ripristinare l’unità nella fede apostolica
Il ripristino ecumenico dell’unità della Chiesa richiede un accordo sui contenuti essenziali della fede, non solo tra le Chiese esistenti nel presente, ma anche tra le chiese e comunità cristiane presenti e la Chiesa del passato e soprattutto la sua origine apostolica. L’unità della Chiesa come comunità che vive nella fedeltà al Vangelo e alla fede apostolica, ovvero l’unità che l’impegno ecumenico tenta di ripristinare, tocca profondamente la verità della fede. L’unità della Chiesa non può mai essere altro che l’unità nella fede apostolica.
Ciò è evidente nel battesimo, in cui la fede apostolica viene trasmessa e affidata a ogni nuovo membro del Corpo di Cristo. Questa è la ragione più profonda per la quale il battesimo unisce noi cristiani di Chiese diverse e per la quale noi riconosciamo il battesimo gli uni degli altri. La fede che ci viene data nel battesimo ci unisce a Gesù Cristo e ci unisce gli uni agli altri. L’ecumenismo è quindi profondamente una questione di fede e non deve essere frainteso come un problema politico da risolvere con compromessi concordati per interessi umani.
Il fatto che l’ecumenismo sia profondamente una questione di fede è stato espresso da Papa Francesco durante la sua visita al Patriarca Ecumenico Bartolomeo I a Costantinopoli nel 2014 in occasione della festa di Sant’Andrea, patrono del Patriarcato, con queste toccanti parole: “Voglio assicurare a ciascuno di voi che, per giungere alla meta sospirata della piena unità, la Chiesa cattolica non intende imporre alcuna esigenza, se non quella della professione della fede comune... L’unica cosa che la Chiesa cattolica desidera e che io ricerco come Vescovo di Roma, <la Chiesa che presiede nella carità>, è la comunione con le Chiese ortodosse.”[3]
Nello stesso spirito, grazie alla premurosa ospitalità di Sua Eccellenza Mons. Giuseppe Satriano, Arcivescovo di Bari-Bitonto, vescovi e teologi ortodossi e cattolici si sono riuniti questa settimana per discutere le questioni ancora aperte che ci hanno finora separati e per cercare di superare queste differenze, in modo che non siano più fonte di divisione nella Chiesa. Vi chiediamo, care sorelle e cari fratelli, di accompagnarci con la preghiera affinché possiamo progredire su questa strada.
E ci affidiamo in modo particolare all’intercessione di San Nicola di Myra, affinché si realizzi il desiderio espresso con appassionata speranza dal Patriarca Ecumenico Atenagora in un telegramma indirizzato a Papa Paolo VI nel 1968: “È giunta l’ora del coraggio cristiano. Ci amiamo gli uni gli altri; professiamo la stessa fede; mettiamoci insieme in cammino verso la gloria del santo altare comune per compiere la volontà del Signore, in modo che la Chiesa risplenda, affinché il mondo creda e la pace di Dio venga su tutti.”[4] Noi cattolici possiamo rispondere a queste parole solo con un’affermazione: così sia - Amen.
Kurt Cardinale Koch
[1] Omelia durante la celebrazione eucaristica in occasione dell’incontro del Joint Coordinating Committee of the Joint International Commission for the Theological dialogue between the Roman Catholic Church and the Orthodox Church nel Duomo di Bari il 4 giugno (martedì della IX settimana) 2024.
[2] G. Lohfink, Jesus von Nazareth – was er wollte, wer er war (Freiburg i. Br. 2011) 256.
[3] Francesco, Discorso durante la Divina Liturgia nella chiesa patriarcale di San Giorgio a Istanbul, il 30 novembre 2014.
[4] Télégramme du patriarche Athénagoras au pape Paul VI, à l’occasion de l’anniversaire de la levée des anathèmes le 7 décembre 1969, en : Tomos Agapis. Vatican-Phanar (1958-1970) (Rome – Istanbul 1971) Nr. 277.