Don Albanesi: «Vivi la carità, porterai Cristo a chi soffre»
 Abate-parroco  dell’antica abbazia di San Marco alle Paludi, Albanesi è direttore  della Caritas diocesana di Fermo e insegnante di diritto canonico  all’Istituto teologico marchigiano.
Abate-parroco  dell’antica abbazia di San Marco alle Paludi, Albanesi è direttore  della Caritas diocesana di Fermo e insegnante di diritto canonico  all’Istituto teologico marchigiano.
Don Vinicio, da  almeno quarant’anni lei vive quotidianamente accanto alla fragilità di  disabili, persone con dipendenza, ragazzi abbandonati. L’Eucaristia  aiuta con la misericordia chi soffre?
Non è solo  misericordia, l’Eucaristia è salvezza. A patto però, di non collocarla  solamente in una dimensione di culto. Celebrarla è un serio impegno di  partecipazione di salvezza: ridurla a rito significa sottovalutare o  addirittura semplificare il supremo atto di donazione del Figlio. Non  basta celebrare la Messa, insomma o fare canti.
Cosa occorre fare, allora?
La  persona ammalata, anziana o disabile chiede anzitutto sollievo fisico,  la guarigione. Gesù nel racconto evangelico è molto concreto: opera  miracoli, guarisce gli ammalati e sfama le masse, resuscita i morti.  Guarisce anche gli scocciatori, qualcuno nel Vangelo qua e là ce n’è. Ma  Lui non fa differenze e non dobbiamo farle neppure noi. 
E se non è possibile la guarigione?
Allora  il nostro compito è consolare, fare accompagnamento, ascolto, stare  vicini, insomma. Le opere di carità sono in qualche modo continuazione  dell’azione miracolosa di Dio, nel senso che prolungano la sua presenza  salvatrice. Se il miracolo è evento eccezionale, l’azione caritativa ne è  la continuità quotidiana. Se una comunità ecclesiale perciò non si fa  carico delle sofferenze, è inutile a mio avviso che celebri e canti.  Recentemente la celebrazione eucaristica è diventata sovrabbondante,  anche quando alcune indicazioni suggerirebbero di limitarne l’uso. Gli  atti iniziali di penitenza, l’ascolto della Parola, la proclamazione  delle verità, le offerte dei doni e la comunione eucaristica esprimono  un processo di conversione-partecipazione. Non solo singoli, ma  collettivi. Nel segno di preghiera costante, partecipata. Un impegno  solenne e serio, da non rendere banale.
Quali sono le nuove fragilità per cui impegnarsi?
Oggi  è peggiorata la condizione degli anziani. La loro vita si è allungata,  si arriva quasi a cent’anni, ma nessuno ha mai pensato a come far vivere  meglio gli ultimi dieci. Spesso si ritrovano soli e assistiti male. E  così spesso invocano la morte per disperazione. Poi, all’inizio della  vita, è molto peggiorata la condizione adolescenziale. Oggi si è  protratta fino alla soglia dei trent’anni mentre la società offre troppo  poco ai giovani, gli toglie anche i sogni.
E quella più preoccupante?
La  povertà materiale accompagnata dalla solitudine. Se sei povero, ma hai  una famiglia, puoi cavartela. Se resti solo è difficile trovare una via  d’uscita.
Come si può vivere un impegno di prossimità accanto alle persone più fragili?
Accettando  il fatto che il sacrificio di Cristo è stato drammatico. Ha pagato con  la morte, affrontata in solitudine, che lui tenta dopo l’Ultima Cena di  allontanare. Ma il farsi carico non è un peso, va vissuto come coerenza,  come impegno, come testimonianza credibile. L’opera misericordiosa  della Chiesa non deriva principalmente dalla sensibilità umana, ma è  parte integrante dell’azione di Cristo. Pensando alla propria e altrui  vita è indispensabile perciò averne una concezione positiva. Questa  impostazione «sognatrice» rende sacra ogni vita e ogni manifestazione  della natura, perché poggia sull’opera creatrice di Dio.
 
            