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Don Albanesi: «Vivi la carità, porterai Cristo a chi soffre»

XXV Congresso Eucaristico Nazionale. Eucaristia salvezza di chi soffre e delle persone fragili. Lo sostiene monsignor Vinicio Albanesi, 68 anni, presidente della Comunità di Capodarco, che ieri è intervenuto ai lavori del Congresso eucaristico nazionale ad Ancona

02 vinicio albanesi.jpgAbate-parroco dell’antica abbazia di San Marco alle Paludi, Albanesi è direttore della Caritas diocesana di Fermo e insegnante di diritto canonico all’Istituto teologico marchigiano.

Don Vinicio, da almeno quarant’anni lei vive quotidianamente accanto alla fragilità di disabili, persone con dipendenza, ragazzi abbandonati. L’Eucaristia aiuta con la misericordia chi soffre?
Non è solo misericordia, l’Eucaristia è salvezza. A patto però, di non collocarla solamente in una dimensione di culto. Celebrarla è un serio impegno di partecipazione di salvezza: ridurla a rito significa sottovalutare o addirittura semplificare il supremo atto di donazione del Figlio. Non basta celebrare la Messa, insomma o fare canti.

Cosa occorre fare, allora?
La persona ammalata, anziana o disabile chiede anzitutto sollievo fisico, la guarigione. Gesù nel racconto evangelico è molto concreto: opera miracoli, guarisce gli ammalati e sfama le masse, resuscita i morti. Guarisce anche gli scocciatori, qualcuno nel Vangelo qua e là ce n’è. Ma Lui non fa differenze e non dobbiamo farle neppure noi.

E se non è possibile la guarigione?
Allora il nostro compito è consolare, fare accompagnamento, ascolto, stare vicini, insomma. Le opere di carità sono in qualche modo continuazione dell’azione miracolosa di Dio, nel senso che prolungano la sua presenza salvatrice. Se il miracolo è evento eccezionale, l’azione caritativa ne è la continuità quotidiana. Se una comunità ecclesiale perciò non si fa carico delle sofferenze, è inutile a mio avviso che celebri e canti. Recentemente la celebrazione eucaristica è diventata sovrabbondante, anche quando alcune indicazioni suggerirebbero di limitarne l’uso. Gli atti iniziali di penitenza, l’ascolto della Parola, la proclamazione delle verità, le offerte dei doni e la comunione eucaristica esprimono un processo di conversione-partecipazione. Non solo singoli, ma collettivi. Nel segno di preghiera costante, partecipata. Un impegno solenne e serio, da non rendere banale.

Quali sono le nuove fragilità per cui impegnarsi?
Oggi è peggiorata la condizione degli anziani. La loro vita si è allungata, si arriva quasi a cent’anni, ma nessuno ha mai pensato a come far vivere meglio gli ultimi dieci. Spesso si ritrovano soli e assistiti male. E così spesso invocano la morte per disperazione. Poi, all’inizio della vita, è molto peggiorata la condizione adolescenziale. Oggi si è protratta fino alla soglia dei trent’anni mentre la società offre troppo poco ai giovani, gli toglie anche i sogni.

E quella più preoccupante?
La povertà materiale accompagnata dalla solitudine. Se sei povero, ma hai una famiglia, puoi cavartela. Se resti solo è difficile trovare una via d’uscita.

Come si può vivere un impegno di prossimità accanto alle persone più fragili?
Accettando il fatto che il sacrificio di Cristo è stato drammatico. Ha pagato con la morte, affrontata in solitudine, che lui tenta dopo l’Ultima Cena di allontanare. Ma il farsi carico non è un peso, va vissuto come coerenza, come impegno, come testimonianza credibile. L’opera misericordiosa della Chiesa non deriva principalmente dalla sensibilità umana, ma è parte integrante dell’azione di Cristo. Pensando alla propria e altrui vita è indispensabile perciò averne una concezione positiva. Questa impostazione «sognatrice» rende sacra ogni vita e ogni manifestazione della natura, perché poggia sull’opera creatrice di Dio.

Paolo Lambruschi
© Avvenire, 7 settembre 2011
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