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Dopo la prolusione. Natoli: «Spetta alla società civile passare all'azione»

Il filosofo: «Ha ragione il cardinale Bassetti: la vita non si difende in astratto, ma nelle vite delle singole persone»

«Ha ragione il cardinale Bassetti: la vita non si difende in astratto, ma nelle vite delle singole persone – afferma il filosofo Salvatore Natoli –. Ma il problema sta proprio in questo passaggio dal principio generale al caso particolare. È giusto che la Chiesa indichi il metodo, sta poi alla società civile trovare il modo di applicarlo». Da sempre interlocutore appassionato del mondo cattolico, specie sui temi della sofferenza e del male (alla metà degli anni Ottanta un suo importante saggio, L’esperienza del dolore, lo trasformò in interlocutore del cardinale Martini in una celebre edizione della Cattedra dei non credenti), Natoli ha seguito con attenzione la prolusione del presidente della Cei. «Mi colpisce, tra l’altro, il richiamo ad autori e argomentazioni che ci riportano alla stagione del Concilio Vaticano II – osserva –. Il pensiero di Romano Guardini sulla crisi della modernità, per esempio, ma anche le frequenti citazioni dal magistero di Paolo VI, un Papa di cui ho sempre amato l’attitudine ma- linconica e insieme ottimista nei confronti dell’attualità ».

Da dove nasce questo malinconico ottimismo?
Dalla difficoltà di passare dal principio alla pratica, appunto. Prenda i tre verbi su cui si regge la riflessione del cardinale Bassetti: ricostruire, ricucire, pianificare. Azioni oggi più necessarie che mai, che per essere compiute in modo efficace devono misurarsi in profondità con la natura drammatica del conflitto.

A che cosa si riferisce?
Al fatto che, all’origine di ogni divisione, troviamo la tendenza a far prevalere l’interesse personale sul bene della comunità. Lo sappiamo, certo, ma non sempre riusciamo a comprendere quali siano gli strumenti più adatti per giungere alla riduzione di questo egoismo, di questo eccessivo amore di sé che produce distruzione, frammentazione, lacerazione. La tradizione filosofica indica una duplice strada, che mi pare possa risultare molto efficace per la traduzione pratica dei princìpi indicati dalla Chiesa.

Di che cosa si tratta?
C’è un primo elemento, direi quasi istintivo, che è opportuno assecondare: noi tutti, infatti, intuiamo che o si vive di legami oppure ci si perde. Una volta infranto il legame, l’altro ci diventa indifferente, nel migliore dei casi. Nel peggiore, ci appare come un ostacolo, uno scarto da eliminare. Sono gli atteggiamenti che portano alla dissoluzione di una società e che possono essere contrastati soltanto sforzandosi di fare un passo ulteriore, che va al di là del riconoscimento del legame come fatto naturale e naturalmente positivo. Di per sé, lo ripeto, il legame non è sufficiente, bisogna fare qualcosa per coltivarlo e perfezionarlo. È questo il senso profondo della formula homo homini deus, coniata da Spinoza: ciascuno di noi è chiamato a farsi per l’altro occasione e strumento di salvezza, in una prospettiva di generosità che sopravanza di molto le regole della pacifica convivenza.

Ed è per questo che la vita si difende difendendo le vite?
Non sopportando che la vita sia offesa, come avrebbe detto Theodor Adorno. Nella prolusione, non a caso, il cardinale Bassetti torna a soffermarsi sulla tragedia dei migranti nel Mediterraneo, alle immagini terribili di quei corpi abbandonati al mare, di quelle morti. La vita va presa in custodia dove è più esposta, indifesa, precaria.

Ma a chi spetta governare il passaggio dal principio all’azione?
Qui ci spostiamo in una dimensione politica o, per essere più precisi, pre-politica. Siamo nel territorio del dibattito pubblico, della responsabilità civile che prelude alla rappresentanza propriamente intesa. La vivacità dell’etica applicata si esprime attraverso una serie molto ricca di agenzie e di soluzioni, che negli ultimi decenni hanno subìto modificazioni profonde. Anche per il contributo della rete, lo spazio pubblico si è ampliato e modificato. La Chiesa, saggiamente, sta tenendo conto di questi cambiamenti, affiancando alle forme di prossimità che le sono proprie (le parrocchie, le associazioni) una presenza sempre più incisiva nei nuovi luoghi del dibattito e del confronto. Sono i contesti in cui occorre intervenire con più forza, anche per fare in modo che la rappresentanza politica torni ad avere una rilevanza adeguata.

Alessandro Zaccuri

© Avvenire, martedì 23 gennaio 2018

 

Il rispetto della realtà. L'appello del presidente Cei nella stagione elettorale

A che cosa serve oggi la politica? Come può offrire soluzioni vere e non inconsistenti declamazioni? E che cosa ci stanno a fare i cattolici? Sono domande che un cittadino – e un credente, per più di un motivo in modo speciale – è invitato a porsi da ciò che vede e da quel che gli suggerisce la coscienza. I primi passi della campagna elettorale – sinora impantanata fra trattative per candidature simili a banchi del mercato, strategie opache, reciproche deprecazioni, eccessi verbali e impegni dalla sostenibilità più che dubbia – non stanno certo aiutando a sciogliere questi tre grandi nodi, aggiungendo semmai altre incertezze che vanno ad alimentare la già fragile speranza che 'stavolta' qualcosa possa davvero cambiare.

In attesa che partiti e candidati si rendano conto che scetticismo e sfiducia sono come diserbante sparso sul suolo di un Paese che vorrebbe tornare a essere pienamente fertile, il cardinale Gualtiero Bassetti, mentre sta entrando nel vivo la campagna elettorale per il nuovo Parlamento, riabilita un termine-concetto che è forse il più inconsapevolmente negletto e bistrattato tra le élite culturali, economiche e politiche: la realtà. Lo fa con la fermezza e il rispetto che gli sono caratteristici, ma intanto lanciando una formidabile provocazione a chi pare continuamente cambiare discorso: la realtà infatti seguita a parlare a tutti con il suo linguaggio onesto e semplice, che attende solo di essere nuovamente inteso, ripulendo il campo da schemi ideologici – populismi inclusi – che hanno la pretesa di costringere quella stessa realtà dentro uno stampo angusto, a scadenza programmata. Alle astrazioni demagogiche come alle promesse senza concretezza si oppone l’appello a riprendere in mano il «libro del mondo», come l’ha definito Bassetti aprendo la sessione del Consiglio permanente Cei, una definizione tratta dal pensiero di Paolo VI e dal suo ragionamento sui «segni dei tempi» ai quali rivolgere lo sguardo prima di ogni scelta.

La gente, ognuno di noi, conosce di che pasta è fatta la realtà, e sa di non poterla eludere. E mentre si approssima un passaggio della vita collettiva che è di per sé un’occasione da non sciupare per capire cosa serve al bene di tutti, pare anzitutto indispensabile riprendere a «chiamare la realtà col suo nome», come propone di fare l’arcivescovo di Perugia citando alcune parole di papa Francesco in Cile, e «soprattutto affrontare 'la realtà così come ci si presenta' e non come vorremmo che fosse». Alla consapevolezza della distanza tra il 'libro dell’Italia' e i tanti libri delle fiabe di cui si fa pubblica lettura passa ogni possibile risposta convincente alle questioni sul senso della politica come sull’impegno attivo da credenti. È l’ora dunque di prendere la strada indicata dalla realtà a un Paese a corto di speranza – e che si deve «ricostruire» – sfilacciato nella sua trama di relazioni – e che perciò attende chi lo sappia «ricucire» – minacciato da un male oscuro che il Censis ha definito «rancore sociale» – e che per il presidente dei vescovi richiede il coraggio di «pacificare».

Si potranno proporre o aggiungere altri verbi, ma i tre che la Chiesa italiana ora propone come password per volgere i problemi in soluzioni meritano di soffermarsi per un confronto sincero. Lo esige la stagione che attraversa il Paese, incerta e confusa, ma anche carica di attese e di energie inespresse. Lo richiedono le grandi questioni sociali che si impongono come determinanti agli occhi di chi non distoglie lo sguardo dalla realtà. Quando ricorda che lavoro, giovani e famiglia sono le priorità di qualunque agenda politica che voglia camminare tra la gente sapendone leggere le aspettative vere, quotidiane, concrete, dando corpo alle speranza di offrire un futuro ai propri figli, il cardinale Bassetti propone nient’altro che un esercizio di realismo, per fedeltà a ciò che il Paese dice a chi gli vuole bene davvero.

Ed è in nome di questo amore autentico che al presidente dei vescovi esce due volte una parola forte: è quando definisce senza mezzi termini «immorale» sia «lanciare promesse che già si sa di non riuscire a mantenere» sia «speculare sulle paure della gente» con evidente riferimento in questo caso al fenomeno migratorio. I tradimenti, in altre parole, vanno guardati come tali. E i cattolici? In strada o sul divano? Nel libro dell’Italia che con la sua eloquenza sta ben aperto davanti a tutti – nota Bassetti – ci sono pagine (e non note a margine) che attendono di essere ancora scritte da credenti capaci di gratuità e spirito di servizio, di memoria di ciò che il cattolicesimo è stato a lungo capace di far capire alla comunità nazionale, e di uno sguardo ampio sulla vita, della quale va riconosciuto il vero volto, incompatibile con occhiate unilaterali: i poveri e la difesa della vita «sono due temi speculari», non ci si schiera credibilmente accanto al malato terminale se non si ha a cuore il destino del migrante. «La vita – è la sintesi scolpita da Bassetti – non si uccide, non si compra, non si sfrutta, non si odia». È vita, sempre, e basta. Questa è la verità. E la realtà, sempre piena di vita, lo dice e lo conferma.

Francesco Ognibene

© Avvenire, martedì 23 gennaio 2018

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