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Dossier 2 «Il gioco d’azzardo? Nuova forma di droga»

​Il gioco d’azzardo «è una piaga, una nuova forma di droga, da cui bisogna guardarsi con estrema determinazione e con grande consapevolezza» e «le istituzioni, a tutti i livelli - educativi, politici e sociali - devono intervenire perché questa piaga corrompe il modo di pensare e quindi i costumi».

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Ad affermarlo, ieri mattina, l’arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, a margine della tradizionale Messa di inizio anno, organizzata dalla diocesi di Genova, per i giostrai del Luna Park. L’appuntamento è diventato anche l’occasione per tornare a parlare della crisi del mercato del lavoro e della crisi economica rinnovando l’appello alla coesione e al dialogo già lanciato dal porporato nelle omelie di Natale e nel discorso di fine anno. Sul lavoro, l’appello è stato quello di attivarsi, in tutte le forme possibili, affinché questo possa essere salvaguardato «al di dà delle forme e delle tipologie».

Parlando in particolare della situazione della Fincantieri di Sestri Ponente, il cardinale ha poi spiegato che «è una situazione delicata e fonte di preoccupazione» e che «c’è la volontà e la determinazione da parte di tutti per salvaguardare il lavoro al di là forme e delle tipologie». Ha poi parlato dell’aumento dei prezzi registrato in questi ultimi giorni: «fa parte della crisi» ed «è una stretta che coinvolge tutti anche se se i punti di partenza delle persone sono diversi e quindi sono diverse le ricadute». L’arcivescovo ha quindi rinnovato l’appello all’unità ed alla concordia per scongiurare il pericolo di tensioni sociali.

L’unica strada da percorrere, ha ribadito, è «la via del dialogo». «Le tensioni sociali, purtroppo, sono sempre possibili - ha aggiunto - ma non sono fatali. Si possono affrontare e anche prevenire innanzitutto con la via del dialogo, tra le diverse situazioni ed i diversi soggetti, che è molto importante, perché parlarsi significa fare emergere i problemi e cercare soluzioni possibili» e «in secondo luogo, come in tutte le famiglie, quando le difficoltà sono più grandi, ci si stringe maggiormente». Di crisi delle difficoltà economiche degli italiani, Bagnasco è tornato a parlare alla fine della Messa. Ci sono «problemi di carattere economico, che tutti conosciamo, che sono preoccupanti».

Ha però ricordato «un dato culturale» che deve andare oltre l’immediato: «che nessuno si senta solo». Questo è un dato che «va oltre le contingenze economiche perché è un dato culturale, uno stile di vita». Per questo, ha concluso, «dobbiamo tornare a vivere insieme». Tra gli argomenti affrontati con i giornalisti presenti anche quello della libertà religiosa in particolare le tensioni in Nigeria dove i gruppi fondamentalisti hanno intimato ai cristiani di lasciare il Paese entro tre giorni. «Sono fatti estremamente dolorosi che ci fanno riflettere sul diritto alla libertà di religione di coscienza che da sempre fa parte dei  diritti fondamentali» ha detto Bagnasco aggiungendo: «Purtroppo, sono diritti che sono sì dichiarati dalle carte internazionali, e quindi appartengono alla coscienza universale, ma, di fatto, non vengono osservati ovunque. Quella dei fratelli nella fede è una testimonianza che ci deve scuotere nelle nostre tiepidezze».

Adriano Torti
 
© Avvenire, 4 gennaio 2012

 

2 La virtù batte la fortuna

Ben oltre la «cultura» delle scommesse

 

​«Vizi privati, pubbliche virtù» è il sottotitolo della nota Favola delle api (1714), di Bernard de Mandeville, che aprì un dibattito tra economia ed etica che coinvolse le migliori menti del Settecento europeo. L’idea che dai vizi dei cittadini si possa ricavare qualcosa di buono per la collettività è ancora tra le più radicate nella cultura contemporanea, che informa spesso anche l’azione dei governi (tassazione dei giochi e delle lotterie). Ieri il cardinal Bagnasco ha richiamato l’attenzione sulla «piaga» dei giochi d’azzardo, invitando con forza a un’azione urgente «a tutti i livelli».

Esistono legami evidenti, a chi li vuole vedere, tra le scommesse nello sport, il business delle slot machine, certa speculazione finanziaria, oroscopi e maghi, i giochi d’azzardo online e gli “innocui” gratta–e–vinci.
Il primo fattore che lega assieme questi fenomeni solo apparentemente distanti si chiama dipendenza (addiction): quando si è in presenza di dipendenza sappiamo che esiste un problema etico enorme, poiché se si lascia la gestione di questi ambiti al solo mercato, il risultato è lo sfruttamento a scopo di lucro dei più deboli e fragili, con gravissime conseguenze individuali, familiari e sociali. L’adrenalina che prova il giocatore di slot machine all’udire il tintinnio della cascata di monete, è molto simile a quella che prova chi specula overnight sui cambi delle monete o sul prezzo del grano. Un secondo legame è l’enorme giro d’affari che questo mondo muove: in Italia questo affare vale certamente più di 75 miliardi, in aumento esponenziale. Un terzo comune denominatore è la forte infiltrazione della criminalità organizzata in tutto questo territorio ambiguo.

La proliferazione dei giochi d’azzardo è un vero e proprio scandalo, e da troppi punti di vista, una piaga molto più pervasiva e grave di quanto comunemente si creda, e le cui radici sono profonde e serie. Stiamo, infatti, assistendo passivi a una crescita massiccia di una vera e propria “cultura” delle scommesse e della fortuna. Pensiamo, ad esempio, alla ricorrente vicenda del calcio scommesse. Questa è profondamente legata a una visione mercantile che sta trasformando il calcio da “bene relazionale” (cioè un incontro non commerciale) in bene di mercato altamente speculativo. Grazie soprattutto alla dittatura incontrastata delle televisioni commerciali, che oggi dominano il calcio professionistico determinandone vita e morte, la dimensione della gratuità è ormai scomparsa dal gioco (di cui dovrebbe invece costituirne l’essenza). Le partite di calcio stanno invadendo tutti gli altri programmi in tutti i giorni della settimana, svuotando così gli stadi per riempire le case di individui sempre più soli davanti a televisori sempre più grandi.

Uno sport ridotto a semplice merce finisce poi per rendere eticamente meno riprovevoli comportamenti invece in sé molto gravi, anche perché gli stessi tifosi vedono società di scommesse come sponsor delle loro squadre del cuore. Per non dire poi che queste imprese speculative hanno preso via via il posto dei prodotti dell’economia reale italiana che nei decenni passati erano su quelle magliette. Il mercato è un’invenzione meravigliosa, finché resta un principio accanto ad altri della vita in comune, e nei suoi spazi: diventa una grave malattia civile quando è l’unico criterio per governare tutti i rapporti sociali.

Che fare allora? Innanzitutto occorre agire “a tutti i livelli”. Un primo livello è quello politico: come mai, ad esempio, non si estende ai giochi d’azzardo (poker tv, scommesse online…) la proibizione della pubblicità che vige per il tabacco? Le dipendenze sono simili, e gli effetti di queste nuove dipendenze sono oggi forse più gravi. Perché poi non pensare anche a forme di “obiezione di coscienza” da parte di quei campioni che potrebbero rifiutarsi di fare da testimonial in tali pubblicità? C’è poi la dimensione educativa, familiare e scolastica, ma è sempre il livello civile quello davvero cruciale. Dovrebbero, ad esempio, essere gruppi di cittadini a premiare con un marchio di qualità etica quei locali e bar che rinunciano a sicure entrate eliminando le slot machine, un marchio che poi potrebbe attrarre verso quegli stessi locali più consumatori civilmente responsabili.

È la nostra ricorrente idea di «premiare gli onesti», parallelamente alla co–essenziale punizione dei disonesti. La sfida è grande. L’Occidente ha iniziato la sua straordinaria storia quando ha affermato che la «virtù batte la fortuna», che la vita buona (l’eudaimonia) non dipende dal fato, ma dalle nostre scelte improntate alla virtù, che sono la sola vera risposta di fronte alla incertezza della vita. L’invasione della cultura della fortuna dice allora, e con grande forza, la profonda crisi della cultura occidentale, e un forte ritorno di irrazionalità e di fede nel “fato”. Le pubbliche virtù, ieri come oggi, nascono solo dalle virtù private, ancor più nei tempi di crisi.

 
Luigino Bruni
 
© Avvenire, 4 gennaio 2012

 

3  Bruciati 76 miliardi. E le mafie incombono

 

Un business a nove zeri, superiore a qualsiasi manovra finanziaria. Denaro che fa gola anche ai clan, che nelle scommesse riciclano denaro e moltiplicano i profitti.
L’offerta, del resto, è varia e insistente. E per molti più che un gioco è diventato un lavoro. Impegnativo e spossante. Si comincia dalla compilazione delle schedine per il Superenealotto, poi ancora un salto in ricevitoria per consultare la smorfia e sperare di rifarsi almeno con il lotto. Il giorno dopo tocca alla sala Bingo. Infine, tra un caffè e l’altro, un paio di puntate alle slot-machine del bar sotto casa. Così per giorni, e per ore. Inseguendo il miraggio di una ricchezza che non arriva, mentre intorno la vita fa terra bruciata.

La vita dello scommettitore permanente non ha tregua. Di giorno tra le sale da gioco, di notte sul web. E non si tratta di casi isolati. Per stare al solo fenomeno Internet è come se ogni giorno tutti i residenti di una metropoli come Milano bruciassero quattrini e speranze. Su una popolazione di 1.340.000 giocatori online – sostiene uno studio dell’Università la Sapienza – il 9,7% ha comportamenti problematici. È quasi l’1% dei 19 milioni di italiani che regolarmente utilizzano la Rete. Le province Milano, Roma e Napoli guidano una classifica di cui non andare troppo fieri. Nelle tre città nel solo 2011 sono state raccolte giocate per oltre 14 miliardi di euro. Una cifra esorbitante, tanto più se assommata al giro di scommesse delle altre regioni, per un totale nazionale che nel 2011 si aggira intorno ai 76 miliardi di euro. Il triplo della manovra finanziaria varata dal governo monti per mettere in sicurezza il sistema Italia. Piaccia o no, si tratta dell’unico indicatore economico per il quale l’Italia è ormai leader mondiale.

«Proprio nella fase di gestazione del nuovo esecutivo – osserva l’avvocato Attilio Simeone, legale della Consulta nazionale antiusura –, abbiamo avuto la sensazione che parole come sobrietà, risparmio, prudenza nell’uso del denaro, stessero finalmente tornando di moda. E in effetti a cavallo tra novembre e dicembre c’è stato un calo nelle scommesse». Poi sono arrivate le festività Natalizie, «e di colpo c’è stata la corsa alle lotterie, ai gratta e vinci, alle sale da gioco. Colpa anche di scelte politiche che incentivano allo sperpero del denaro. Tanto che in molte rivendite – racconta ancora Simeone, che è anche ricercatore alla facoltà di Giurisprudenza dell’università di Bari – non si trovavano più i biglietti da 5 euro». Insomma, «quando il cardinale Bagnasco parla di "nuova droga" dice una terribile verità». I dati lo confermano: il Superenalotto ha archiviato il mese di dicembre rastrellando circa 158 milioni di euro, in calo del 23,3% sui 206 milioni raccolti nel dicembre dell’anno prima. Rispetto a novembre 2011, però, si è registrata un’impennata della raccolta con un +9,7%.

Lo "Stato biscazziere", come lo definiscono le associazioni anti-azzardo, vince (quasi) sempre. Talvolta a far saltare il banco ci pensano gli esponenti della criminalità organizzata, da sempre interessati al business delle macchinette mangiasoldi da bar.

Decine di giocatori, oltre a dannarsi l’anima per le vincite che non arrivano, non sanno di finanziarie le mafie più spietate. L’ultimo episodio lo ha scoperto la procura di Milano, facendo arrestare nel novembre scorso gli esponenti del clan Lampada-Valle. I padrini calabresi avevano escogitato un un sistema di truffa ai danni dello Stato che consentiva, manomettendo gli apparecchi da gioco, un guadagno superiore ai 100mila euro a settimana.

Nello Scavo
 
© Avvenire, 4 gennaio 2012
 
 

4 «Rubavo ai miei figli. Ora sono libero»

 
 

​ Lui ha impiegato quattro anni a venirne fuori. Ce l’ha fatta grazie alla moglie, e alla terapia dell’Associazione degli ex Giocatori d’Azzardo e delle loro famiglie (www.agita.it) guidata da Rolando De Luca, lo psicoterapeuta che ha fatto di Campoformido (Udine) l’avanguardia della riabilitazione degli scommettitori compulsivi.

«Si arriva al punto di rubare dal portafoglio della moglie, dal salvadanaio del figlio», racconta il marito, che la sua storia ha voluto metterla per iscritto come incoraggiamento per quanti decidono di "disintossicarsi". «Possono anche scattare meccanismi molto pericolosi: qualcuno arriva a commettere furti, truffe, appropriazioni indebite». Quando lui frequentava i tavoli verdi, sentiva di perdere «la misura della vita, si crede di essere sempre dentro a un casinò dove tutto è ovattato. Il mondo esterno non esiste, ci sei solo tu con la tua possibilità di vincere, di perdere».

Da Campoformido oltre un centinaio di persone, dopo anni di terapia, sono state dimesse. La riabilitazione, però, è una strada tutta in salita. Neanche quando il ciclo terapico è concluso si può dire di essere finalmente tornati alla normalità. «Per me gestire 100 euro per la spesa è ancora molto difficile – confida l’ex giocatore –, quando entro al supermercato rischio sempre di mettere nel carrello qualcosa di inutile. Dare il giusto valore al denaro è importante per il giocatore che, in quanto tale,  non ha il controllo del denaro, al tavolo da gioco cinque o cinquantamila euro sono la stessa cosa: è denaro virtuale, solo dopo si vedono le conseguenze».

Il ruolo più difficile, in casi come questo, tocca alla moglie. Se oggi Antonio può sentirsi libero sa che il merito è della donna che gli è stata accanto nonostante tutto, riuscendo a recuperare grazie alla terapia di gruppo «un rapporto che era perso, un’unità, una confidenza – spiega lei – che erano andate perdute nel corso degli anni e che sicuramente era fra le cause di ciò che era successo». Perciò «quando si diventa padroni della propria vita non c’è posto per l’azzardo».


 
N.S.
 
© Avvenire, 4 gennaio 2012
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