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Dossier. Canna libera, ecco l'inciucio

La Lega, i grillini, Sel, il Pd. Si allarga e diventa trasversale che si batte per la legalizzazione delle droghe leggere.

“I tempi sono maturi” dice la deputata Pina Picierno, deputata del Pd e membro della segreteria di Renzi. Maturi per che cosa? Per un piano di investimento sul lavoro? Per una nuova legge elettorale? Per un piano di alleggerimento del fisco? Macché: i tempi sono maturi per la legalizzazione della cannabis. Con lei Nichi Vendola, presidente di Sinistra-Ecologia e Libertà, numerosi deputati del Pd e persino l’assessore leghista lombardo Gianni Fava e il vice capogruppo alla Camera del Carroccio Gialnuca Pini, che evidentemente hanno scambiato il Sole delle Alpi per una foglia di marijuana.
Da oggi anche la “regal Torino” fa parte del gruppo. Il consiglio comunale ha approvato un documento sulla legalizzazione delle droghe leggere con 15 voti a favore (Sel, mezzo Pd, Idv e 5 stelle) e un astenuto, il sindaco Piero Fassino. Torino fa da apripista ed è possibile che altri Comuni escano allo scoperto per imitazione, come in un effetto domino, tutti a osannare la strada luminosa del governo dell’Uruguay, che recentemente ha legalizzato la produzione e il commercio della Cannabis.

In Italia l’Urugay è diventato un faro di civiltà per tutto l’Occidente. Todos tupamaros della canna libera, anche nel nostro Paese. O aspiranti cittadini del Colorado, dove da quando è passato il referendum per la vendita di marijuana anche a scopo ricreativo, il numero di coffee shop ha doppiato i punti vendita Starbucks e i ristoranti di Mc Donald’s.

In questo clima di euforia antiproibizionista nessuno parla degli effetti deleteri della legalizzazione. Tutti a far finta di non sapere che la marijuana crea dipendenza e fa da ascensore per le droghe pesanti (il 96 per cento dei cocainomani abituali hanno iniziato con le droghe leggere), raddoppia il rischio di malattie psicotiche, crea lesioni permanenti al cervello, aumenta il rischio di incidenti stradali. Tutti a insinuare surrettiziamente la questione spacciandola per esigenze terapeutiche mediche (molto discutibili nella comunità scientifica e comunque che nulla hanno a che fare con le canne fumate da giovani e ragazzi). Oppure con la legge Giovanardi.
Ad ammonire i politici sulle conguenze nefaste della legalizzazione sono scese in campo con un documento drammatico le comunità terapeutiche, da don Picchi a don Mazzi alla Comunità di San Patrignano (tutta gente che di droga, e soprattutto delle conseguenze della droga, se ne intende). O davvero qualcuno crede, come sostiene lo scrittore Roberto Saviano e altri tupamaros della canna libera, che legalizzando le droghe leggere si mettano in ginocchio le organizzazioni criminali che la spacciano e la diffondono, come nella Chicago degli anni ’20? Semmai, semplicemente, le mafie legalizzeranno i loro traffici sporchi, mantenendone il monopolio, come già fanno per mille altre attività legali.

Secondo il documento firmato dalle comunità terapeutiche la questione delle droghe leggere è affrontata con una “leggerezza, pressapochismo e mancanza di competenza” tali che da far pensare alla strumentalizzazione. Un sospetto da cui non riusciamo a liberarci, in un Paese che si trova in campagna elettorale perenne. Perché un conto è agire contro una legge liberticida e restrittiva che tiene imprigionati migliaia di ragazzi, cercando percorsi alternativi di recupero, reinserimento, cura e riabilitazione, e un altro è legalizzare tutto per tutti, con una scelta che procurerà solo qualche voto in più, ma soprattutto tanto dolore nelle famiglie.

Francesco Anfossi

© Famiglia Cristiana, 14 gennaio 2014

 

Don Mazzi: "La cannabis è una porcheria"

 

 

La proposta della legalizzazione parte del principio "massimo capriccio minimo sacrificio", che contrasta con qualunque principio di seria educazione. I danni per i ragazzi.

Non voglio perdermi in parodie fantapolitiche, perciò tiro diritto per la mia strada, sotto la sassaiola dei progressisti e degli ultrà dell’antiproibizionismo. Per me la cannabis è una porcheria pacchiana e laida come lo sono il gioco d’azzardo, l’alcol, il motorino truccato, il bullismo metropolitano, la coca e il computer “cerca-malanni”. La cannabis è un capriccio. E sui capricci non c’è un più o un meno.

La teoria del minore dei mali può giustificarsi in chiave economica, terapeutica e antimalavitosa. Ma per la pedagogia e l’educazione si parte da lontano per prevenire. Il principio “massimo capriccio, minimo sacrificio” non fa parte dei nostri comandamenti. Insisto sul prevenire e sull’educare. Perché anche a tanti cattolici la parola educazione non è molto familiare. Abbiamo dato parecchio risalto al lavoro, alla scuola, alla famiglia. L’educazione è creativa, impegnativa, sempre nuova e non la si impara sui libri, ma attraverso una vita vissuta “controcorrente”. L’educazione è la scienza che insegna ai grandi e ai piccini come liberarsi dai bisogni superflui per librarsi più leggeri.

Questa società debosciata in adorazione di idoli sballati e impegnata nella svogliata ricerca del trastullo idiota butta sul mercato, nel momento più delicato e doloroso della nostra Italia, una delle sostanze più equivoche e pericolose. Pericoloso, per me, va riferito soprattutto alla salute mentale. Per molti la motivazione principale del no sarebbe la pericolosità fisica. Vorrei, invece, arrivare prima di questa pericolosità, anche se non va sottovalutata. Il vizio, il capriccio, la dipendenza sono infamanti e disgustosi in sé.

Penso ai nostri figli: gli adulti, anziché preoccuparsi di proporre loro sogni positivi, impegni carichi di motivazioni, avventure solidali, permettono che si avvicinino a esperienze vuote di senso. Altre volte ho scritto che l’Italia non può ripianare i suoi debiti moltiplicando le multe, permettendo bische televisive e riempiendo i bar di macchinette mangiasoldi. Oggi, aggiunge un diadema in più. Vedo già il dibattito parlamentare infuocato: domani la cannabis legalizzata passerà davanti alla disoccupazione galoppante, agli stipendi da fame, alla burocrazia imperante.

don Antonio Mazzi

© Famiglia Cristiana, 14 gennaio 2014

 

Le comunità terapeutiche: perché proprio adesso?

 

 

 

"Proprio mentre le neuroscienze dimostrano i danni dei cannabinoidi, soprattutto se assunti prima dei vent'anni", scrive don Mimmo Battaglia, presidente della Fict, "si parla di legalizzazione. Perché proprio adesso?".

Pubblichiamo la dichiarazione di don Mimmo Battaglia, presidente della Federazione Italiana delle Comunità Terapeutiche, sula legalizzazione della cannabis.

"Osservo attonito l’ennesima discussione sul tema della legalizzazione della cannabis. Istintivamente sarei tentato di sottrarmi al discorso, disturbato dalla necessità di porre l’accento, proprio in questo momento, su una questione di rilievo minimo rispetto alle priorità del tempo che stiamo vivendo. Perché ancora questa storia? Perché adesso?

Adesso che, più che in passato, le neuroscienze hanno ampiamente dimostrato i danni dei cannabinoidi sul sistema nervoso, specie quando assunti prima dei vent’ anni, nell’età del maggiore sviluppo cerebrale. Adesso che la questione sulla legalizzazione ha smarrito anche quel substrato ideologico a cui si riferiva in passato per divenire un mero tema commerciale. È forse un modo in più per fare cassa per un paese in affanno? O una strategia per ricercare consenso facile da parte di una classe politica dall’immagine a dir poco appannata?

Perché parliamo ancora di questioni non essenziali? Non sarebbe più utile, più opportuno, un impegno concreto e programmatico sull’emergenza lavorativa o smettere finalmente di rincorrere le droghe e le dipendenze per investire chiaramente sull’educazione, sulla prevenzione, sul sistema scolastico, sul sostegno alle famiglie, sul recupero delle dipendenze?

Non è la canna libera, o meglio controllata, che può salvarci oggi, ma la ricostruzione lenta e faticosa di un sistema autentico di valori che abbiamo smarrito … O forse, anziché far rinascere un moto di sano conflitto, preferiamo mantenere calme le acque di questa palude, anestetizzare le menti, tranquillizzare per tranquillizzarci, magari fumandoci su?

Non voglio arrendermi alla rassegnazione, al pensiero che l’unico modo per risolvere un problema è smettere di chiamarlo problema normalizzandolo, all’idea che solo il fatto che una pratica sia diffusa la renda dapprima normale e poi legale. Se questo vale per il fumo di cannabis perché non dovrebbe valere anche per l’evasione fiscale e la corruzione?

Questo tema mi disorienta al punto tale che, spesso, è nel confronto con gli ospiti della comunità che trovo risposte che mi convincono. Oggi, a tavola, mi hanno rassicurato sul fatto che se la produzione e la distribuzione della marijuana diventasse legale non si correrebbe nemmeno il solo rischio di cambiare padrone ( dalla mafia allo Stato) ma si creerebbero due mercati paralleli come già succede per parecchi prodotti.

Il ravvivarsi del dibattito sembra partire dal numero di carcerati legati a reati connessi con la droga; anche se ancora non mi è chiaro quanto l’uso di cannabinoidi incida su queste carcerazioni, ho sempre pensato che il carcere sia la struttura non idonea per questi reati e per tanti altri. E’ mia convinzione che tutte le possibilità che si possono mettere in campo per attivare percorsi di prevenzione, di riscatto e di recupero anche dal carcere, troveranno il mio appoggio e quello dei centri della federazione.

Nell’ampio dibattito che il tema ha sollevato poche volte ho sentito pronunciare la parola “educazione”, quando invece il compito della società, confermato dalla Carta Costituzionale, è quello di attenersi al ruolo educativo e formativo che le è proprio.

Capisco l’imbarazzo della politica e dei politici nel doversi confrontare con un tema così complicato, ma la mia posizione rimane quella di mettere al centro la persona, sempre! I nostri sforzi, le nostre intelligenze e le nostre competenze hanno bisogno di trovare un alleato importante nello Stato e nelle istituzioni così da permettere il diritto alla cura anche per chi, utilizzando marijuana, ne rimanga in qualche modo compromesso. Ma la sfida più importante resta quella educativa!".

don Mimmo Battaglia

© Famiglia Cristiana, 14 gennaio 2014

 

Grosso: legalizzazione non liberalizzazione

 

 

 

Parla Leopoldo Grosso, vicepresidente del Gruppo Abele, già consulente, sulle tossicodipendenze, del ministero per le politiche sociali

«Ci può essere una prudente sperimentazione all’interno della categoria della legalizzazione, non della liberalizzazione. Non si può pensare a un libero mercato, si può pensare a una legalizzazione di alcune sostanze, ma in un mercato molto controllato, molto vigilato, molto monitorato, molto protetto, perché siamo consapevoli dei rischi collegati». Leopoldo Grosso, vicepresidente del Gruppo Abele e già consulente del ministero per le Politiche sociali proprio sul tema delle tossicodipendenze, interviene nel dibattito sulla liberalizzazione delle droghe leggere spiegando la complessità del fenomeno e le distorsioni prodotte finora dalla legge Fini-Giovanardi. «Mi riferisco soprattutto alla maggiorazione del danno che avviene con la carcerazione dei piccoli spacciatori/consumatori (a volte dipendenti, a volte solo consumatori), tendenzialmente in giovane età, che fanno l’esperienza del carcere. Un'esperienza che sappiamo inutile e dannosa. Sarebbe più importante, invece mettere in campo esperienze di accompagnamento e di cura. Quindi un primo punto sarebbe quello di insistere per la depenalizzazione piena del consumo con un superamento della legge Fini-Giovanardi».
Leopoldo Grosso richiama anche la riflessione dell'Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodc), che ha sede a Vienna, per dire che «in tutte le valutazioni in sedi istituzionali, compresa la stessa Vienna, si è concluso che siamo in una fase di post proibizionismo. Ormai si è preso atto che 20 anni di guerra alla droga non hanno portato, ahimé, a grandi risultati e quindi bisogna cercare di capire quali altri strategie sono utilmente perseguibili».
In altre parole, spiega l'esperto, «vanno sperimentate nuove strade a cominciare da quelle che presentano minor rischio. E una di quelle che presenta minor rischio sicuramente riguarda le droghe leggere. Credo che, intanto, bisogna reitrodurre la distinzione tra sostanze in base a quelle che fanno maggior danno e quelle che fanno danno, ma minore. Cioè reintrodurre la distinzione tra droghe leggere e pesanti e cercare di capire come agire sui due fronti. Per esempio sull’hashish e la marjuana sono proponibili ragionevoli e prudenti proposte di sperimentazione che in qualche modo facciano emergere il fenomeno, legalizzino alcune modalità di consumo. Ovviamente non per i minorenni, limitando ad alcune quantità, ad alcune sostanze, appunto hashish e marjuana, il cui principio attivo dovrebbe essere controllato e non deve superare certe soglie, limitando acnhe il consumo ad alcune aree ben precise».
Secondo Grosso questo permetterebbe di capire se si possono ottenere vantaggi su due fronti: «Il primo è quello dell’individuazione delle situazioni di consumo problematico dove, cioè, lo scopo del consumo non è solo ricreativo, ma ha anche funzione di autocura e, quindi, è finalizzato all’illusoria e momentanea soluzione di problemi che invece dovrebbero essere affrontati diversamente. Far emergere questi consumatori significherebbe, forse, avere più probabilità di approccio con le persone che fanno consumo problematico». Una seconda questione riguarda invece il narcotraffico: «Tutta la produzione e distribuzione di droghe leggere oggi è tendenzialmente, quasi dappertutto, illegale. Il fatto di portare questo mercato, almeno in parte, in un'economia legale avrebbe dei vantaggi e sarebbe un piccolo colpo contro il narcotraffico. Certo non ci si illuda di sconfiggerlo, non si è riusciti a debellare totalmente il traffico illegale neppure con il tabacco. Però sicuramente per il narcotraffico sarebbe un danno ed eviterebbe anche che chi consuma sia fuorilegge».
Il vicepresidente del Gruppo Abele non nasconde che «questo terreno è sdrucciolevole e quindi, se da una parte ci possono essere vantaggi, dall’altra sono ben rappresentati i rischi di una legalizzazione di consumo. Sappiamo, per esempio, che l’alcol è legale, ma l’alcol legale comporta tutta una serie di problemi con un rischio principale che è quello dell'aumento della domanda. Questo rischio, però, dovrebbe essere contrastato con un investimento più forte delle risorse economiche, sia di quelle risparmiate che di quelle introiettate con la legalizzazione della vendita. Risorse da investire in campagne di prevenzione rispetto al consumo e soprattutto per fortificare la scelta di chi decide di non consumare. Per gli altri ci deve essere un’educazione a un consumo limitato, consapevole e prudente, magari all’interno di locali di consumo dove il ragazzo può essere più raggiungibile».
Non una generale apertura, dunque, ma «una prudente, prudentissima sperimentazione».

Annachiara Valle

© Famiglia Cristiana, 14 gennaio 2014

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