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Dossier. La Caritas per un'Italia più solidale

Si è chiuso a Montesilvano (Pescara) il 36° Convegno nazionale delle Caritas diocesane. Idee e azioni: parlano il direttore don Francesco Soddu e il presidente monsignor Giuseppe Merisi

1. Il direttore don Francesco Soddu: «Dobbiamo essere segno di speranza»

 

Cinque ambiti di confronto (migranti, famiglie, persone in solitudine, giovani, persone che sperimentano dipendenze), un Coordinamento nazionale degli addetti alla comunicazione delle Caritas diocesane (sul tema dei social network), una tavola rotonda (una Chiesa povera per i poveri, nel mondo), relazioni su economia, società, progetti, dieci storie concrete raccontate sotto il titolo "Paese che vai Caritas che trovi".

I circa 600 delegati che si sono ritrovati a Montesilvano (Pescara) dal 15 al 18 aprile hanno messo a fuoco il cammino del prossimo anno confrontandosi con le esperienze fatte e analizzando il ruolo pedagogico, la pastorale  di prossimità della Chiesa «chiamata in particolare nelle emergenze e nei complessi scenari di crisi», dicono le conclusioni dei lavori, «a testimoniare il Vangelo e a dare speranza». Sul tavolo dei lavori anche il ruolo dei media nel comunicare volti e vicende della Chiesa e, con l’islamologo Samir Khalil Samir, la drammatica emergenza in Siria e il complesso scenario emerso dalla primavera araba.

«In un mondo che cambia, con le crisi che si alternano e si susseguono», ha detto don Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana, «siamo sempre chiamati a essere segno e portatori di speranza mediante l’educazione secondo la pedagogia dei fatti che tende a mettere in evidenza primariamente l’aspetto testimoniale. C’è una responsabilità certamente nell’accoglienza ai poveri, ma anche educativa, animativa, culturale, ecclesiale nel discernere il tempo presente. Questo Convegno non finisce oggi: ricomincia domani nel lavoro che ci attende, è un viaggio che continua in una chiesa della carità, in un paese solidale e accogliente».

 

2. Il presidente, monsignor Giuseppe Merisi: «Papa Francesco ci sprona a servire di più i poveri»

 

«Un magistero vissuto, gesti semplici, parole disarmanti». Per monsignor Giuseppe Merisi, vescovo di Lodi e presidente di Caritas italiana, papa Francesco «ha dato un segno molto positivo che noi della Caritas, ma un po' tutta la gente, ha colto immediatamente. Il lascito di papa Benedetto, il motu proprio, il messaggio per la Quaresima (priorità alla fede, primato alla carità), le encicliche sulla carità trovano nell’atteggiamento del Papa, nella simpatia, nel carattere popolare della sua attenzione agli altri un punto di partenza, di sintonia, che senz’altro la nostra gente coglie in modo molto positivo».  

Pensa che ci sarà una visita alla Caritas?

«Certamente avrà modo di dare qualche indicazione precisa e specifica. Comunque finora il suo atteggiamento, ripeto, il suo magistero vissuto ha creato condizioni di accoglienza, di simpatia, di accompagnamento in particolare per l’attenzione alla gente, per il riferimento alla misericordia, al combattere il male con il bene, la fratellanza, l’unità, la capacità di vivere di speranza e di gioia nonostante i vari drammi in cui ciascuno è inserito».  

Questo è il primo convegno senza monsignor Nervo, il vostro fondatore...
«Sì. Nervo era venuto a Fiuggi in occasione del convegno del quarantesimo della nascita della Caritas e dell’udienza a Roma per l’udienza con Benedetto. C’era Nervo, c’erano Pasini, tutti i direttori precedenti questi anni ed è stato una bella occasione perché Nervo ci ha dato un’ulteriore testimonianza di grande serenità, ma anche di grande chiarezza con la capacità di indicare una visione generale in cui l’attenzione, la dedizione agli altri a partire dai poveri vanno tradotti non solo in parole e gesti fatti uno dietro l’altro, ma in una prospettiva di fondo capace di cambiare il modo con cui la Chiesa stessa sta dentro il rapporto con gli altri proprio a partire da questa dedizione nei confronti degli ultimi, dei poveri, degli emarginati».

Quale messaggio arriva da questo convegno alla Chiesa?
«Per quanto riguarda la famiglia ecclesiale va sottolineato questo raccordo tra la fede e la carità che in tutte le relazioni - quella di Bruno Forte, quella di Becchetti, le testimonianze di oggi – e in tutti i lavori di gruppo è emerso, questa capacità di sentire la fede come un punto di partenza. Anche monsignor Dumas parlava di prossimità nei confronti degli altri. Una prossimità che sia verticale che orizzontale: l’incontro con il Signore per essere in grado di spendersi per gli altri. Per la vita ecclesiale vorremmo che arrivasse questo elemento: rapporto personale e comunitario con il Signore per essere in grado di spendere la vita per gli altri».   

E per la società?
«Per la società civile, nel rispetto delle distinzioni, noi portiamo questa testimonianza. Nella mia prolusione ai lavori ho insistito sulla nostra capacità, attitudine, impegno, possibilità di fare delle proposte credibili, per rendere una testimonianza autentica, per dire cose pensate e fondate accompagnate da quelle che noi chiamiamo opere-segno. Ci crediamo a tal punto, nelle cose che diciamo, da dare origine a delle opere che traducono nel concreto le convinzioni di fondo che abbiamo. Se nella Chiesa offriamo una prospettiva che accompagni, aiuti, orienti il cammino delle comunità, per la società civile diamo una testimonianza che offra valori, convinzioni, opere segno, in modo che, nella libertà della vita democratica, ciascuno si senta aiutato a pensare e a orientarsi nel civile verso una prospettiva che, secondo noi, dà senso e contenuto anche al bene comune».

Annachiara Valle


© Famiglia Cristiana, 18 aprile 2013