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Commemorazione dei fedeli defunti. Messa 1

La commemorazione dei fedeli defunti ogni anno offre un momento di silenzio e di riflessione. Molte famiglie sono state chiamate nel corso di quest'anno a vivere il distacco della morte, alcune di loro hanno dovuto farlo anche in modo drammatico

Questo è un giorno da vivere con spirito di solidarietà, quello col quale consentire che il dolore di qualcuno ci sfiori e trovi la consolazione che viene da Dio. è il giorno per ricordare quanti hanno segnato la nostra vita e non ci sono più, accoglierli ancora come un dono di Dio importante e prezioso. È il giorno in cui rivolgere un pensiero a Dio per essere in comunione con chi è davanti al suo volto, ma anche per domandargli la ragione di tante sofferenze e la forza di riuscire ad affrontarle. Pensiamo ai bambini e ai ragazzi che sono rimasti troppo presto senza genitori e viceversa ai genitori che in modo innaturale hanno visto morire i propri figli. Pensiamo a coloro che hanno accompagnato i propri cari lungo il percorso di una malattia senza possibilità di guarigione, ricordiamo anche quelli che per disperazione hanno tentato di attraversare il mare fino a Lampedusa e invece hanno trovato la morte, pensiamo a quelli che in Siria sono stati uccisi dai propri connazionali con armi tremende. Riflettendo su questi eventi (e l'esperienza personale ne potrebbe aggiungere di altri) cerchiamo di essere vicini con un solo pensiero a tutti quelli che in tanti modi, specialmente in quelli più terribili, hanno varcato quest'anno la soglia della morte.

Sia questa l'occasione per ricordarci che solo con la speranza della risurrezione si può attraversare la storia degli uomini senza cadere nella disperazione. Le letture che ci propone la liturgia lanciano in modi diversi questo messaggio di speranza. Per esempio quella di Giobbe è credibile a causa della grande sofferenza che la precede. La speranza di Giobbe suscita meraviglia nel lettore, quando, alla fine di un percorso molto difficile, Giobbe fa capire che tanta sofferenza gli ha consentito di conoscere più a fondo il mistero di Dio e degli uomini («Ti conoscevo solo per sentito dire» Gb 42,5), di sapere che non tutte le domande hanno una risposta semplice e che alla fine la cosa più importante è quella di crescere nella fede per compiere il cammino che ci porta a incontrare Dio: «Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro» (Gb 19,25). Veramente straordinario il percorso di Giobbe che riesce a trasmettere tanto coraggio.

La speranza di san Paolo ovviamente nasce dalla Pasqua del Signore. Quello della lettera ai Romani è solo una dei tanti passaggi in cui Paolo non si risparmia di condividere con noi il suo personale rapporto con Cristo, dal quale nasce la sua fiducia senza limiti: «Se infatti, quand'eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita» (Rm 5, 10).

La speranza del Vangelo invece nasce dall'affermazione forte e chiara dell'amore che Dio Padre ha per tutti gli uomini e che ci è stato manifestato in Cristo suo Figlio: «Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato» (Gv 6, 37-39). Questo appare il motivo convincente della promessa della risurrezione e della vita eterna: è l'amore che ha spinto il Padre alla ricerca degli uomini e al dono del Figlio che compie il progetto della salvezza portandoci insieme con lui alla vita eterna. Ancora san Paolo esprime con forza nella lettera ai Romani come la sicurezza dell'Amore di Dio non deve farci temere nulla e deve essere sostegno nella prova: «Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo considerati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati» (Rm 8, 35-37).

Mauro Manganozzi

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